"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


lunedì 11 settembre 2023

La speranza africana: l'ultimo libro di Federico Rampini

Federico Rampini presenta al Festival della comunicazione di Camogli il suo ultimo libro La speranza africana ed. Mondadori, in uscita il prossimo 19 settembre, 



sabato 9 settembre 2023

Se l'emergenza sbarchi ci fa dimenticare l'Africa con i suoi 1.300 milioni di abitanti

Con il superamento della soglia, anche psicologica, dei centomila arrivi di migranti sulle nostre coste, il dibattito sul fenomeno migratorio ha trovato nuovo impulso, sia in ambito politico che ecclesiale. Un dibattito che negli anni si è sempre caratterizzato per un’analisi unilaterale del fenomeno, evidenziandone i riflessi sulla comunità nazionale, senza mai andare a fondo circa l’origine dei flussi migratori, spesso confondendo strumentalmente migranti economici e rifugiati, e conseguentemente cercare possibili soluzioni per disinnescarne le cause. In questi anni, anche in ambito cattolico, il dibattito non ha mai  superato il contingente. Ci si è limitati ai doverosi salvataggi nel Mediterraneo, alla conseguente accoglienza temporanea, senza  però che la stessa abbia poi portato significativi risultati nel perseguimento di un processo d’integrazione. Si sono sì accolti tanti migranti, ma quanti di loro sono stati accompagnati in un percorso d’inserimento nel mondo del lavoro? Ricordo al riguardo come ad una simile domanda, l’addetto di una Caritas diocesana rispose, quasi infastidito, che non erano un ufficio di collocamento. Anche nella gestione contingente dei flussi migratori non si può dire, quindi, che il modello di accoglienza in essere da noi sia in grado di dare risposte efficaci alle persone approdate in Italia alla ricerca di un avvenire migliore, almeno il 90% degli arrivati essendo il rimanente 10% formato da aventi diritto all’asilo, che avevano attraversato  deserti e Mediterraneo proprio per cercare uno sbocco lavorativo. Un simile approccio è figlio anche di un grave errore di prospettiva. Se ci si concentra sul bagnasciuga di Lampedusa senza mai alzare lo sguardo per guardare più lontano, all’Africa, i problemi dei 1.300 milioni di africani che vi vivono, di cui qualche centinaia di milioni sotto la soglia di povertà, mai potranno trovare una soluzione degna, neppure in una traversata del Mediterraneo. Quello che manca nel dibattito sul fenomeno migratorio è proprio una “proposta” che tenga conto della realtà, oscurata, che esiste al di là dell’orizzonte lampedusano: l’Africa ed i suoi abitanti.

venerdì 25 agosto 2023

Il mondo moderno ha le radici in Africa

Cos'ha portato alla nascita del mondo moderno? A scuola ci è stato insegnato che l'origine della modernità affonda le proprie radici nelle grandi scoperte geografiche del XV secolo; nello sviluppo del metodo scientifico e delle innovazioni industriali; nel diffondersi di nuove abitudini alimentari e di consumo; nel ruolo giocato dalle società del Vecchio Continente, con la loro ingegnosità e inventiva, e nel fermento dei grandi ideali civili... Il libro L'Africa e la nascita del mondo moderno ( ed. Rizzoli, euro 25) del giornalista e scrittore americano, Howard W. French, in cui si  racconta la storia dell'Africa dal 1400 al 1900, ci presenta una storia diversa ,evidenziando  il ruolo che il continente africano, attraverso le sue società ed i suoi abitanti, ha giocato nello sviluppo del mondo moderno.  In un'ampia narrazione che abbraccia oltre sei secoli, dalle prime relazioni commerciali tra Portogallo e Africa all'abolizione delle leggi segregazioniste negli Stati Uniti, l'autore ricostruisce come il destino dell'Occidente sia stato forgiato sfruttando risorse e manodopera africane. French inizia il suo libro con una descrizione della ricchezza e della complessità delle società africane prima dell'arrivo degli europei. Mostra come l'Africa fosse sede di grandi imperi e come fosse un importante centro di commercio e di scambio culturale. Proprio le coste di questi imperi furono le prime mete ad attirare i navigatori europei, attratti dalle ricchezze ivi presenti, a partire dall'oro. Subito dopo l'oro, l'attenzione degli europei si riversò sulle braccia dei tanti schiavi che i regnanti africani del luogo erano in grado di mettere a disposizione dei mercanti. Sulla forza lavoro di oltre dodici milioni di schiavi deportati dall'Africa verso le Americhe come manodopera a bassissimo costo sorsero le piantagioni, prima della canna da zucchero e poi del cotone, le materie prime che crearono ricchezza a partire dall'Atlantico per i Paesi europei ed alimentarono le rispettive economie fino ad innescare i processi che portarono alla rivoluzione industriale dell'Occidente, Stati Uniti compresi, dove l'importanza della schiavitù è così riassunta nell'Introduzione,  "Il valore creato dal commercio e dalla proprietà di schiavi negli Stati Uniti – distinto da quello del cotone e di altri prodotti coltivati dagli schiavi – era superiore a quello di tutte le fabbriche, le ferrovie e i canali del paese messi insieme."  L'introduzione del libro è leggibile cliccando qui. 

venerdì 18 agosto 2023

Giovanni Davite è il nuovo Console onorario italiano a Kigali

Giovanni Davite
Dal giugno 2023, il nuovo Console onorario d’Italia in Rwanda è Giovanni Davite, che subentra al Sig. Bruno Puggia, che ha prestato servizio come Console Onorario per quasi 20 anni. Il nuovo console onorario è comproprietario della catena di farmacie Kipharma e Agrotech in Ruanda è anche presidente della European Business Chamber of Rwanda e membro del consiglio di amministrazione di AIG Pharm, l'Associazione degli importatori farmaceutici in Rwanda.In occasione della nomina sono stati anche inaugurati i nuovi uffici del Consolato che sono situati nel centro di Kigali (KG 639 Street, Tel. +252 575238 . Serviranno la comunità italiana residente a Kigali, fornendo assistenza e servizi consolari, nonche’ facilitando i contatti con l'Ambasciata d'Italia in Uganda. Il Consolato Onorario rappresenta inoltre un punto di riferimento per promuovere il rafforzamento della cooperazione tra i due Paesi.

giovedì 17 agosto 2023

Come l'Africa può diventare destinataria degli insediamenti industriali ad alta intensità tecnologica

 Con le sue abbondanti risorse e un mercato dei consumi in crescita, l'Africa può diventare una delle principali destinazioni manifatturiere per le industrie ad alta intensità tecnologica e un anello vitale nelle catene di approvvigionamento globali. Lo sostiene la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD) nel suo Rapporto 2023  sullo Sviluppo economico in Africa  rilasciato nei giorni scorsi a Nairobi. Le catene di approvvigionamento comprendono i sistemi e le risorse necessarie per sviluppare, produrre e trasportare beni e servizi dai fornitori ai consumatori. L'abbondanza di minerali e metalli essenziali in Africa, come alluminio, cobalto, rame, litio e manganese, componenti vitali per le industrie ad alta intensità tecnologica, rende il continente una destinazione attraente per i settori manifatturieri, in particolare quelli dell'automobile, dell'elettronica, delle energie rinnovabili, dei prodotti farmaceutici e dei dispositivi medici. L'Africa offre anche vantaggi come un accesso più breve e più facile agli input primari, una forza lavoro più giovane, esperta di tecnologia e adattabile e una fiorente classe media, nota per la sua crescente domanda di beni e servizi più sofisticati. Il Rapporto sottolinea che la creazione di un ambiente favorevole per le industrie ad alta intensità tecnologica consentirebbe un aumento dei salari nel continente, attualmente fissato a un minimo di $ 220 al mese, rispetto a una media di $ 668 nelle Americhe. Un'ulteriore integrazione nelle catene di approvvigionamento globali diversificherebbe anche le economie africane e rafforzerebbe la loro resilienza agli shock futuri. L'espansione delle catene di approvvigionamento energetico in Africa è anche un'opportunità per accelerare l'azione per il clima.

lunedì 7 agosto 2023

Come finalizzare al meglio i fondi inviati in Africa: il modello Kwizera

Qualche anno fa, navigando su internet, ci imbattemmo nel sito di un'importante Ong svizzera in cui veniva illustrato un progetto che la stessa Ong diceva di aver realizzato in Rwanda. Quel progetto ci era particolarmente familiare. Si trattava infatti del terrazzamento di una  collina nel villaggio di Niynawimana, un villaggio situato nel nord del Rwanda, con annessa realizzazione di una moderna fattoria ( stalla, cisterne e magazzino di stoccaggio), né più né meno della medesima realizzazione portata a termine a partire dal 2004 dall’Associazione Kwizera, come documentato nella nostra pubblicazione Kwizera Rwanda del 2011, a partire da pag 119. L'intervento era stato attuato, appoggiandosi su referenti locali, don Paolo Gahutu, allora responsabile dell'Economato diocesano e fratel Francois, esperto in opere di terrazzamento, e seguendo i lavori dall'Italia, secondo modalità operative  messe in campo dall’associazione nella realizzazione dei propri progetti in terra ruandese. Modalità molto semplici: seguire ogni singolo progetto con propri uomini di fiducia sul campo, dall'iniziale fase progettuale, agli stati di avanzamento fino alla sua realizzazione, dal budget di spesa al rendiconto finale. Perché raccontiamo questo episodio? Lo raccontiamo perché abbiamo letto nei giorni scorsi l'intervento dell'africanista Anna Bono sul La Nuova Bussola Quotidiana in cui si paventava che un piano Marshall per l'Africa possa comportare il rischio che i fondi che i governi occidentali stanziano per interventi in Africa possano andare ad ingrassare le autocrazie locali invece che a finanziare reali progetti di sviluppo. Se è lecito portare la piccola esperienza di una realtà dalle dimensioni contenute come l'Ass. Kwizera, che ha pur sempre realizzato in Rwanda  progetti per oltre un milione e mezzo di euro negli ultimi 15 anni, possiamo dire che la malversazione dei fondi degli aiuti può essere evitata se il donatore si fa carico di seguire e realizzare direttamente  i progetti che intende finanziare, avvalendosi di propri fiduciari in zona. Nel momento in cui si applicano queste prassi la possibilità che i fondi dei donatori siano utilizzati  in maniera fraudolenta per altri fini  o piuttosto che vadano a finanziare figurativamente progetti che sono già stati finanziati da altri donatori, come nel caso illustrato, si riduce drasticamente. Quindi se il donatore si fa carico di seguire localmente l'individuazione, con le autorità locali, dell'opera da finanziare, di richiedere i relativi budget a realtà locali, confrontandoli tra loro e  con i prezzi di mercato esistenti su piazza, il rischio di malversazione sui fondi dei donatori si riducono effettivamente al minimo, anche se sicuramente anche qualche euro dall'Associazione sarà finito impropriamente in qualche tasca dove non doveva arrivare per qualche costo gonfiato, ma la grossa parte dei fondi stanziati si sono concretizzati nei relativi progetti. Volendo trasferire questa piccola esperienza ad una realtà più grande come quella governativa si potrebbe pensare che gli stanziamenti governativi a favore di un paese africano possono concretizzarsi in realizzazione di opere strutturali, nei più vari campi, effettuate direttamente dal donatore, piuttosto che farli transitare dalle mani delle varie autorità locali, perché non succeda, nel migliore dei casi, quello che è successo con la Ong straniera che aveva sì mandato proprio i fondi in Rwanda, non seguendone però il conseguente utilizzo, salvo vedersi riconosciuto la realizzazione del progetto,  realizzato e finanziato da altri, con il conseguente dirottamento dei fondi stanziati ad altre finalità più o meno nobili. Se poi l'esperienza di una piccola realtà associativa non risultasse convincente, forse andrebbero studiate le politiche messe in atto dalla Cina  in Africa, certo non sempre convincenti e condivisibili sotto diversi aspetti, ma che comunque difficilmente si prestano alle malversazione paventate dalla brava, anche se un po' pessimista, professoressa Bono.

mercoledì 26 luglio 2023

Rwanda: brilla l'export di oro in attesa di una moneta d'oro ruandese

Quando, in occasione della Missione 2015, sulla strada che da Kiruri porta a Byumba, ci imbattemmo in questi cercatori d’oro improvvisati, non immaginavamo che l’attività estrattiva del metallo prezioso rivestisse una significativa importanza per l’economia ruandese. Ne sono conferma i dati delle esportazioni di minerali nel primo semestre del 2023 in cui le esportazioni di circa 7,78 tonnellate di oro hanno portato ricavi per oltre 
492 milioni di dollari, emergendo come la più alta fonte di entrate tra tutti i minerali, tra cui cassiterite, coltan, wolfram e altri. Nello stesso periodo, le esportazioni del famoso coltan, pari a 730 tonnellate, hanno generato ricavi per 52,1 milioni di dollari. Importi inferiori hanno portato l’export di cassiterite 35,17 milioni e di wolfram 16,35 milioni di dollari.
Cercatori d'oro nella zona di Miyove 
 Nel 2022, il Rwanda ha registrato ricavi totali dalle esportazioni di minerali per oltre 772 milioni di dollari, in aumento significativo rispetto ai 516 milioni di dollari del 2021. Il Paese mira a raggiungere 1,5 miliardi di dollari di entrate annuali da esportazione di minerali entro il 2024. A tal fine, il governo cerca attivamente di attrarre investimenti nel settore minerario e posiziona il Rwanda come hub regionale per la lavorazione e il commercio dei minerali. A proposito di lavorazione dell'oro, perchè non pensare a coniare una moneta d'oro del Rwanda, sul modello del Kruggerand sudafricano, come avvenne nel lontano 1965 quando furono coniate monete d'oro da 10, 25 e 50 Franchi? 

sabato 22 luglio 2023

Continua la digitalizzazione della giustizia ruandese

Prosegue la digitalizzazione dell'amministrazione della giustizia in Rwanda, dopo che nel 2017 era stato adottato il Sistema integrato di gestione elettronica dei casi (IECMS), che consente la gestione digitale  dei casi giudiziari, la cui documentazione è tutta consultabile on-line dalle diverse parti in causa (clicca qui). Ora, come riferisce The New Times qui, si compie un ulteriore passo con l'introduzione di un nuovo strumento informatico, il Judicial Management Performance System (JPMS). Il nuovo sistema migliora le prestazioni della magistratura, monitorando l'avanzamento del lavoro rispetto agli obiettivi, il rispetto dei budget, i tempi di trattazione di una causa, dal momento in cui un caso viene portato all'attenzione dei giudici a quando arriva a processo. Uno strumento che potrebbe trovare applicazione anche da noi visti tempi e modi con cui viene amministrata la giustizia italiana. 

sabato 24 giugno 2023

Pubblicati gli elenchi dei destinatari del 5x1000 del 2022

Sono stati pubblicati sul sito dell’Agenzia delle entrate gli importi che gli enti che hanno accesso al 5 per mille 2022 riceveranno. La parte del leone lo hanno fatto le solite organizzazioni, come evidenziato qui di seguito.

L'Associazione Kwizera odv e' stata scelta da 49 contribuenti, ai quali va il nostro ringraziamento, per un ammontare di 2.985 euro.


martedì 13 giugno 2023

In accordo con l l'UNHCR, arrivati in Rwanda 134 rifugiati dalla Libia

Sono arrivati ieri all’aeroporto di Kigali, 134 rifugiati e richiedenti asilo, provenienti dalla Libia nell’ambito dell’accordo tra il governo del Rwanda, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l'Unione Africana.Firmato per la prima volta nel 2019 e successivamente rinnovato nel 2021, l'accordo ha portato alla creazione di un Meccanismo di Transito di Emergenza (ETM) che fornisce protezione, assistenza e soluzioni a lungo termine ai rifugiati vulnerabili e ai richiedenti asilo che si trovano intrappolati in Libia. L’ultimo arrivato è il 14esimo gruppo accolto nel Paese dall'inizio dell'evacuazione nel 2019 per un totale di oltre 1.600 persone. Secondo il ministero responsabile della gestione delle emergenze , l'ultimo gruppo comprende eritrei (64), sudanesi (35), somali (15), etiopi (17), due camerunesi e un maliano. Saranno alloggiati nel centro di transito di Gashora nel distretto di Bugesera. Da qui potranno trasferirsi in paesi terzi, ritornare nei paesi d'origine oppure optare per rimanere in Rwanda come cittadini. La validità dell’accordo trova conferma in una recente dichiarazione  rilasciata al The New Times in aprile, dalla portavoce dell'UNHCR Rwanda, Lilly Carlisle, che ha espresso il desiderio dell'agenzia di estendere l'accordo in scadenza nel dicembre 2023.

venerdì 26 maggio 2023

Bilancio 2022 dell'Ass. Kwizera odv

Il bilancio 2022 dell'Associazione Kwizera odv, predisposto secondo il modello previsto dalla normativa vigente in materia, evidenzia una raccolta fondi di 17.040 euroIn Rwanda sono stati inviati 15.000 euro, mentre 500 euro, come l’anno scorso, sono stati donati a padre Damiano in Libano ed altri 500 euro sono stati inviati alla Caritas diocesana per gli aiuti alle popolazioni dell’Ucraina, mentre 2.000 euro della Raccolta parrocchiale sono stati inviati all’Ufficio missionario diocesano a favore di don Filippo Macchi. Si ricorda che in Rwanda è stato anche portato e consegnato al Posto di Sanità di Mubuga un ecografo portatile del valore circa 3.000 euro, donato dalla dottoressa Marinella Poggi. Complessivamente è stato quindi inviato in Rwanda un controvalore di 15.000 euro. Le spese sono state contenute in un totale di euro 1.242, per spese postali, bancarie e assicurative oltre alle spese inerenti la Missione 2022, per le quali si è attinto, come sopra detto, a specifica contribuzione. Al Progetto Adozioni, che coinvolge 33 bambini e ragazzi, sono andati Frw 2.930.000.Alla gestione dell’Asilo Carlin sono stati destinati per il pagamento degli stipendi delle tre insegnanti e le refezioni di mezza mattina Frw 2.660.400, non comprensiva degli stipendi dei primi 8 mesi, i cui conteggi non sono ancora stati confermati dalla parrocchia di Nyagahanga, a cui vanno aggiunti Frw 2.294.500 per la sostituzione della cisterna ed altri lavori di manutenzione (rifacimento pavimenti). Al Progetto Batwa, che questo anno si è concretizzato nella distribuzione  di 5 kg di fagioli e 5 kg di farina di mais ai 65 nuclei familiari  della comunità dei pigmei di Kibali e ai 28 nuclei della comunità di  Miyive, sono stati destinati Frw 800.000,  mentre il sostegno al monastero delle Clarisse di Nyinawimana, consistente in un contributo mensile di 100.000 Frw, sono stati destinati complessivamente Frw 1.310.000. Tra le altre spese vanno ricordate quelle erogate ai collaboratori locali e per sante messe per 800.000 Frw, a cui si aggiungono le spese  relative alla gestione in loco (affitti, missione, spese varie) ammontanti a Frw 750.000Altre spese hanno riguardato: l’acquisto di 4 cisterne, a ricordo del matrimonio di Gigi e Claudia, per un controvalore di Frw 1.440.000; il finanziamento di un alveare della parrocchia di don Paolo per Frw 500.000; interventi caritativi vari per Frw  1.150.000 (un intervento sanitario, l’acquisto di lamiere in occasione di danni da maltempo e consegna  di beni di conforto ai carcerati).


lunedì 15 maggio 2023

La lettura del fenomeno migratorio da parte del presidente del Rwanda

Nel momento in cui il Rwanda ritorna all'attenzione dei media per il controverso accordo (clicca qui) sottoscritto con la Gran Bretagna sulla gestione dei migranti, ci pare interessante andare a conoscere come la pensi in materia di migrazioni il presidente ruandese Paul Kagame. Al riguardo ci  sembrano chiarificatrici due prese di posizione del 2018 di Kagame, quando ricopriva il ruolo di presidente dell’Unione Africana. Nella prima, del 7 dicembre 2018, in margine all’incontro con il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, in visita ufficiale in Rwanda, Kagame, parlando della cooperazione Europa-Africa, con particolare riferimento al problema migratorio era stato particolarmente diretto nello smontare certa vulgata immigrazionista da noi particolarmente diffusa. Infatti, come riferito dalla stampa locale, dopo aver ricordato i molti africani che hanno perso la vita nei loro viaggi e dei molti ancora bloccati ai punti di confine, Kagame si era posto il problema di come il fenomeno migratorio “possa essere gestito correttamente anche se avremmo dovuto farlo molto tempo fa, ma non è mai troppo tardi per fare la cosa giusta”. Ha detto che l'immigrazione è aumentata perché alcuni africani sentono che il loro continente non offre le condizioni di base per vivere una vita dignitosa. Per questo, "la partnership tra Europa e Africa dovrebbe mirare a creare un ambiente per mantenere i nostri giovani e garantire loro che stare nel proprio continente o Paese è meglio per loro potendo trovare sicurezza e lavoro". Purtroppo, secondo Kagame, andando all’origine del fenomeno, la crisi dell'immigrazione è peggiorata, per certi versi, da quando a causa dell'invito e dell'istigazione, prima della crisi, di una parte di alcuni Paesi europei agli immigrati africani ad andare in Europa, promettendo loro una vita migliore. "Se si guarda alla storia di questa migrazione, da molto tempo, l'Europa incita o invita le persone ad andare in Europa. Il messaggio era "i tuoi paesi africani sono governati male e tu dovresti venire da noi". L'impressione è stata che se hai un problema nel tuo paese, sia esso falso o vero, vieni nel nostro paradiso. E la gente è venuta. Al punto che le persone non possono più avere immigrati ", ha detto il presidente, aggiungendo altresì che col tempo, l'Europa è stata travolta dall'ondata di immigrati. Andando avanti, ha aggiunto, i due continenti dovrebbero concentrarsi sulle opportunità disponibili per ridurre la necessità per gli africani di cercare fortuna altrove. Creando le opportunità ed eliminando la necessità dell'immigrazione, ha spiegato, Europa e Africa spenderanno meno fondi: "Il tipo di investimento effettuato per gli immigrati è così grande che se investito in Africa, potremmo creare industrie. Il problema non è l'Europa, abbiamo la nostra giusta parte della colpa che dobbiamo assumere ", ha concluso Kagame. Riprendendo l’argomento sempre nel dicembre 2018 ( clicca qui), alla conclusione degli stati generali del Rwanda, l’Umushyikirano una sorta di assemblea nazionale in cui politici e amministratori si confrontano pubblicamente sui problemi del Paese, il presidente ruandese ha ulteriormente sottolineato come nessun giovane africano debba lasciare il continente rischiando la propria vita  per cercare fortuna altrove, dovendo essere invece  in grado di trovare tutte le soluzioni e le opportunità nel proprio Paese d'origine. “Se proprio devono emigrare - in Europa o in qualsiasi altra parte del mondo - allora lo facciano in modo ordinato, dove non abbiamo a che fare con un'ondata di persone in fuga dai loro paesi sotto qualsiasi pretesto, o alcune vere ragioni che potrebbero essere affrontate in modo genuino senza che ciò si traduca in problemi ", ha affermato Kagame. E per quelli che sono già emigrati dovrebbe esserci una collaborazione tra l'Europa e l'Unione Africana per garantire un adeguato processo d’integrazione o, diversamente, un ordinato e facilitato ritorno a casa. Non c’è altra soluzione magica nell'affrontare la crisi dell'immigrazione se non risolvere problemi socioeconomici irrisolti nel continente, in modo che “per coloro che non hanno ancora lasciato l'Africa, possiamo lavorare a situazioni migliori in termini di sicurezza e garantire che abbiano tutto ciò di cui hanno bisogno per soddisfare le loro aspirazioni e rimanere nei loro paesi.” Un’analisi lucida e realistica di un fenomeno che sulle due sponde del Mediterraneo ha letture contrastanti; con la parte africana, dove alla voce dei politici si accompagna anche quella dei vescovi, da ultimi quelli del Ghana e della Nigeria, che manifesta la volontà di offrire ai propri giovani le condizioni perché il diritto a non emigrare diventi realtà.

mercoledì 3 maggio 2023

A proposito dei confini tra Rwanda e R.D. del Congo

Un recente intervento del presidente ruandese Paul Kagame a proposito dei confini tra Rwanda e R.D. del Congo ha risollevato il problema delle  affinità culturali di lunga data dei ruandofoni nei Grandi Laghi che potrebbero sembrare rafforzare le affermazioni storiche di Kigali su parti del Congo orientale, ma, come appare in questo contributo apparso sulla rivista African Arguments a firma Gillian Mathis, le cose sono  più complicate di quanto sembri.

Le affinità culturali di lunga data dei ruandofoni nei Grandi Laghi possono sembrare rafforzare le affermazioni storiche di Kigali su parti del Congo orientale, ma è più complicato di quanto sembri.Due settimane fa, il presidente ruandese Paul Kagame ha dato la sua opinione storica sul confine che separa il Ruanda dal Congo, spinto dalla risorgente ribellione dell'M23. "I confini che sono stati tracciati durante il periodo coloniale hanno diviso i nostri paesi", ha detto. “Gran parte del Ruanda è stata lasciata fuori, nel Congo orientale, nell'Uganda sudoccidentale e così via. Hai popolazioni in queste parti di altri paesi che hanno origini ruandesi. Ma non sono ruandesi, sono cittadini di quei paesi che hanno assorbito quelle parti del Ruanda in epoca coloniale. Quindi questo è un dato di fatto. È un fatto storico... E a queste persone sono stati negati i loro diritti". Sebbene non vi fosse alcuna esplicita rivendicazione territoriale nella sua proposta, è stata interpretata negli ambienti congolesi come un desiderio di ridisegnare i confini del Ruanda e di annettere parte del Congo . Questa interpretazione non è del tutto sorprendente data una storia più lunga di tali rivendicazioni territoriali nei discorsi pubblici ruandesi che risalgono almeno alla prima guerra del Congo nel 1996-1998. Inoltre, alimenta i timori congolesi di "balcanizzazione": l'idea che il Rwanda (e talvolta l'Uganda) voglia annettere una parte del territorio congolese per beneficiare delle sue risorse naturali a scapito dei congolesi . La battaglia sul terreno nel Nord Kivu si prolunga così come una battaglia di parole, in cui la storia è diventata un'arma nelle lotte di potere su identità e geopolitica. Mentre in Rwanda queste argomentazioni storiche risalgono al periodo precedente alla spartizione della regione da parte dei colonizzatori tedeschi e belgi, in Congo queste argomentazioni utilizzano anche rivendicazioni imperiali nonché il principio dell'intangibilità dei confini africani come stipulato dall'Organizzazione dell'Unità Africana in 1964 . L'eminente storico congolese Isidore Ndaywel è Nziem, ad esempio, ha ribattuto che invece di aver perso il Ruanda con il Congo, era vero il contrario: “Per quanto riguarda i confini ruandesi-congolesi, non c'è ambiguità. Se torniamo alla prima mappa della regione…del 1885, è il Congo che ha terra da reclamare dal Rwanda, e non viceversa, perché in questa mappa iniziale, la parte occidentale del Rwanda era congolese ” .

giovedì 27 aprile 2023

"Dentro il Rwanda" presentato al presidente della Toscana, E. Giani

L' amico Angelo Bertolucci, compagno di tante missioni in Rwanda, presenta il nostro libro "Dentro il Rwanda" al presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, prensente a Gallicano (Lu) per l'inaugurazione di una scuola materna.

 

martedì 11 aprile 2023

La Casa di Catia comincia a vivere

Gli auguri pasquali delle suore della Fraternità del Buon Pastore di RWAMIKO alle quali avevamo affidato la Casa di Catia ci hanno riservato una piacevole sorpresa. Come avevamo avuto modo di constatare in occasione della nostra ultima missione, nel settembre 2022, causa anche la pandemia, la messa in funzione della Casa era andata a rilento, ma avevamo avuto assicurazione da suor Donata e dalla stessa superiora dell'ordine che a breve avrebbero messo a frutto il dono ricevuto dall'Associazione. E così è stato. Infatti, nel formularci gli auguri pasquali, suor Donata ci informa che nei locali è stato avviato un asilo per i figli delle ragazze madri che gravitano sul Centro di formazione professionale gestito dalle stesse suore del Buon Pastore. Una ventina di bambini, compresa una bimba portatrice di un handicap mentale, sono accolti e curati dal lunedì' al venerdì, dal mattino fino alle 17 dalle suore. Non appena, in occasione della prossima missione, avremo presa piena contezza di come questa esperienza viene concretizzandosi, vedremo come l'Ass. Kwizera potrà sostenere le suore in questo loro impegno.

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sabato 8 aprile 2023

Buona Pasqua - Pasika nziza

Buona Pasqua - Pasika nziza
accompagniamo i nostri auguri con quelli dei giovani ospiti del Centro Izere di Niynawimana





 

lunedì 3 aprile 2023

Grosio per l'asilo Carlin e per la missione di don Filippo in Mozambico

Anche questa volta, come l'anno scorso, la comunità di Grosio ha risposto con generosità alla chiamata da parte dell'Azione Cattolica locale che ha lanciato una raccolta fondi, attraverso una pesca benefica, a favore dell'Asilo Carlin, gestito in Rwanda dall'Associazione Kwizera odv, e di don Filippo, già vicario di Grosio, ora fidei donum in Mozambico. In totale sono stati raccolti 3.800 euro ( l'anno scorso erano stati 3.900 ) che saranno equamente divisi tra i due beneficiari. Non resta che ringraziare tutti coloro che si sono impegnati in questa iniziativa che ha richiesto tempo per raccogliere gli oltre 450 regali messi in palio e per il  confezionamento dei relativi sacchetti. Ai partecipanti più generosi è stata regalata anche una copia del nostro libro "Dentro il Rwanda".

sabato 11 marzo 2023

Il card. Kambanda interviene sui migranti inviati in Rwanda dalla Gran Bretagna

Dall'intervista rilasciata dal card. Antoine Kambanda, Arcivescovo di Kigali, rilasciata all'Agenzia Fides, riprendiamo questo passaggio relativo al problema migratorio ed in particolare al ruolo del Rwanda chiamato ad accoglire migranti respinti da altri Paesi.

D) Come è vista in Rwanda la politica di alcuni Stati, come ad esempio la Gran Bretagna, di deportare nel vostro Paese i richiedenti asilo?

CARDINALE KAMBANDA: Il Rwanda è molto sensibile al problema dei profughi e dei migranti anche perché abbiamo dei dirigenti che sono stati profughi e sanno cosa significa. Hanno quindi simpatia nei confronti dei richiedenti asilo. Tutto è cominciato quando sono emersi in Libia i casi dei migranti tenuti in ostaggio dai gruppi criminali costringendoli a chiedere denaro ai propri familiari per essere liberati. Queste persone nella speranza di giungere in Europa si mettono nelle mani di veri e propri clan mafiosi che spesso abusano di loro. Questo problema è stato sollevato in una riunione dei Capi di Stato dell’Unione Africana che si sono detti “è una vergogna. Questi sono i nostri figli. Cosa facciamo?”. Il Rwanda si è detto disponibile ad accoglierli in collaborazione con l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati. Spesso sono giovani onesti che hanno una formazione professionale. Una volta giunti in Rwanda vengono presentati a Paesi che hanno bisogno di manodopera (Canada, Norvegia, Svezia, Danimarca e altri) dove vengono accolti con un contratto di lavoro. Circa tre quarti dei migranti provenienti dalla Libia sono partiti per i loro nuovi Paesi d’accoglienza. La Gran Bretagna vuole probabilmente collegarsi a questo meccanismo già in opera. Quello che importante è contrastare i gruppi criminali che gestiscono le migrazioni clandestine, creando canali regolari per chi vuole farsi una vita all’estero. (L.M.) (Agenzia Fides 10/3/2023)

venerdì 3 marzo 2023

C'era una volta il Progetto Mikan...perchè non rilanciarlo?

Era l’agosto 2018, quando a Nyagahanga, da dove tutto era partito nove anni prima, il Progetto Mikan dell’Associazione Kwizera visse un momento particolare quale quello di raggiungere l’obiettivo, 5.000 capre distribuite ad altrettante famiglie, che mai i promotori dell’idea avrebbero immaginato possibile. Era, infatti, il marzo del 2009, quando l’incontro tra due giovani sposi, che volevano ricordare il giorno del loro matrimonio con un gesto di generosità, e i bisogni di coppie meno fortunate, quali quelle africane, aveva dato origine a un circuito virtuoso che aveva portato a dare avvio al Progetto Mikan. Alla ricerca di qualcosa che consentisse di condividere la propria gioia con persone meno fortunate, scartate le iniziative di cui erano a conoscenza ( invio di un vaccino o di un'offerta a persone bisognose di paesi in via di sviluppo) ebbero l’idea di assegnare a un certo numero di giovani famiglie ruandesi una piccola capra. Così in un gemellaggio ideale, una quarantina di giovani coppie della parrocchia di Nyagahanga ricevettero, nel marzo del 2009, una capretta con l’impegno di donare, in una ideale catena di solidarietà, il primo capretto a un'altra famiglia trattenendosi la capra originaria. Da allora il Progetto Mikan, acronimo dei nomi della coppia promotrice dell’idea, Michele e Anna, e di Kwizera, ne ha fatta di strada: inanzitutto, strutturandosi come un vero e proprio progetto, dandosi quindi un’organizzazione fatta di formazione, supportata da un agile manualetto, e di regole di funzionamento, ma soprattutto diventando uno strumento della pastorale familiare della diocesi di Byumba.Proprio per questa sua valenza pastorale, al raggiungimento della cinquemila capre distribuite nell’ambito del Progetto ad altrettante coppie, suddivise in gruppi di 25 coppie cadauno, il Progetto Mikan passò definitivamente dalla gestione diretta dell’Associazione Kwizera a quella della diocesi, nella persona dell’incaricato della pastorale familiare diocesana, al tempo don Isidoro. Quota 5.000 è era stata raggiunta negli anni attraverso i frutti di quelle 40 capre iniziali cui se ne sono aggiunte altre messe a disposizione direttamente dall’ass. Kwizera.

Nel momento in cui la gestione del Progetto Mikan passava alle dirette dipendenze della Diocesi, erano 50 i gruppi attivi, così distribuiti nelle varie parrocchie della diocesi, che avrebbero dovuto proseguire in questa ideale catena di solidarietà tra coppie.

Se oggi ci rivolgessimo ai vari parroci ne troveremmo ancora traccia?Per rispondere a questa domanda, ma , soprattutto, per tentare di rivitalizzare un Progetto che aveva dato così buoni frutti, abbiamo deciso, per la verità senza troppe illusioni, di fare una ricognizione sulle varie parrocchie per vedere se mai sia rimasta traccia di questa esperienza. Per questo ci rivolgiamo a tutti i parroci delle parrocchie dove erano attivi gruppi del Progetto Mikan per chiedere loro di fare una verifica e, se possibile, recuperare e rilanciare quell’esperienza. Ci aspettiamo che qualche parroco possa confermarci la sopravvivenza in parrocchia di un gruppo attivo oppure di avere la possibilità di avviare un nuovo gruppo fornendo ad ogni coppia una capretta recuperata presso i vecchi beneficiari che non avevano adempiuto al loro impegno di consegnare il primo nato ad un’altra coppia. Ad ogni parroco che ci darà un riscontro positivo a questa nostra richiesta siamo intenzionati di riconoscere un premio personale. Restiamo in fiduciosa attesa.

mercoledì 22 febbraio 2023

Cosa non potevano fare le donne ruandesi nel passato

La donna ruandese, come noto, ha da tempo conquistato una posizione di rilievo nella vita sociale e politica del proprio Paese, conseguendo dei veri e propri primati, come quello di avere la maggior rappresentanza femminile in parlamento a livello mondiale. Proprio per questo sorprende apprendere come fino a cinquanta anni fa ci fossero alcune cose che erano precluse alle donne ruandesi.  Ne ricordiamo qui cinque.

Mangiare carne di pollo o di capra

Nella cultura ruandese si riteneva che la carne di pollo o di capra fosse un piatto da uomini. Alle donne ruandesi veniva consigliato di evitare la carne di capra. E secondo l'antica credenza culturale, le donne o le ragazze che mangiavano carne di capra rischiavano di vedersi crescere la barba.

Costruire case o arrampicarsi sugli alberi

A causa degli abiti indossati dalle donne ruandesi, in passato, non era loro permesso arrampicarsi sugli alberi o costruire case. Questo era visto come un tabù, in quanto arrampicandosi o lavorando nella costruzione di una casa  le donne esibivano i loro corpi, tanto che ancora oggi l’arrampicarsi sugli alberi è ancora ritenuto poco femminile o signorile

Battere i tamburi

Le donne ruandesi praticavano altre forme di intrattenimento come cantare o ballare. Potevano ballare e cantare con gli uomini. Tuttavia, quando si trattava di battere i tamburi, solo gli uomini erano ammessi. La danza Intore, la danza tradizionale più popolare in Rwanda, viene eseguita in tre forme tra cui il balletto, o gushayaya, spesso eseguito da donne. C'è anche la danza degli eroi eseguita da uomini e, infine, i tamburi che un tempo erano eseguiti da uomini. Ma ora, le donne che suonano i tamburi non sono più un tabù nel Rwanda moderno, avendo superato da tempo ogni stereotipo e le troviamo quindi a suonare accanto alle loro controparti maschili.

Fischiare

Le donne che fischiettavano erano considerate maleducate e poco rispettose. Nella cultura ruandese si credeva che il fischio non fosse femminile e quindi si giudicava poco dignitosa una donna che fischiasse.

Mungere le mucche

La cosa più sorprendente, tenuto conto del ruolo che le mucche hanno nella cultura ruandese, era il divieto di mungere, essendo questo compito di esclusiva competenza degli uomini. Si arrivava al punto che una donna single era costretta a chiedere aiuto a qualche familiare o vicino per la mungitura.  Si credeva che durante la mungitura di una mucca la posizione o la postura seduta usata non desse dignità alle donne a causa degli abiti che indossavano in passato. Questo è il motivo per cui non erano autorizzati a mungere le mucche

venerdì 10 febbraio 2023

L'UE sostiene l'accordo UNHCR-Rwanda per il reinsediamento dei rifugiati dei campi libici

L'Unione Europea ha stanziato 22 milioni di euro  per il sostegno ai rifugiati e ai richiedenti asilo libici ospitati in Rwanda, presso il centro ETM (Emergency Transit Mechanism), istituito a suo tempo in base ad  un accordo tripartito firmato tra il governo del Rwanda, l'Unione Africana e l'UNHCR. Il centro può ospitare un totale di 700 rifugiati contemporaneamente. Secondo Aissatou Ndiaye, rappresentante nazionale dell'UNHCR, il finanziamento consente all'organizzazione di fornire una serie di servizi tra cui alloggio, accesso alla salute, supporto psicosociale e formazione sui mezzi di sussistenza per gli sfollati durante l'elaborazione dei loro documenti per il reinsediamento in paesi terzi. Nei prossimi anni, si ipotizza di supportare circa 3.000 persone in più. Per L'ambasciatrice UE in Rwanda, Belén Calvo Uyarra "L'ETM in Rwuanda è un'iniziativa salvavita cruciale per evacuare le persone che affrontano gravi minacce e condizioni disumane in Libia verso la sicurezza in Rwanda. È un esempio significativo di solidarietà africana”. "Il finanziamento aggiuntivo per i prossimi quattro anni è una testimonianza del successo che questa iniziativa ha ottenuto nella fase iniziale", ha aggiunto. Quest'ultima tornata di finanziamenti si basa su un precedente pacchetto di sostegno di 12,5 milioni di euro tra il 2019 e aprile 2022. Sono 1.453 rifugiati giunti in Rwanda attraverso 12 voli di evacuazione dalla Libia dal settembre 2019; di questi, 919  sono partiti per Paesi terzi per il reinsediamento e altri percorsi legali complementari, per la maggior parte verso Canada, Francia, Norvegia, Svezia.

domenica 29 gennaio 2023

Rwanda: le donne conquistano i vertici di finanza e banche

 Dopo aver conquistato la maggioranza  in Parlamento, collocandosi al primo posto al mondo, e nel Governo (leggi qui), le donne ruandesi hanno rivolto la loro attenzione al mondo della finanza ed a quello bancario. Nel settore assicurativo, 2 società sono guidate da donne CEO, Annie Nibishaka (UAP Rwanda) e Ovia Tuhairwe (Radiant Yacu, mentre altre 4 società hanno il loro consiglio di amministrazione guidato da donne, così come l'Associazione degli assicuratori ruandesi. Donne guidano anche importanti istituzioni finanziarie, tra cui gestori di fondi come BK Capital (Carine Umutoni) e Mobile Money.Le donne occupano anche oltre il 30% delle posizioni nei consigli di amministrazione delle istituzioni finanziarie locali. Ma è soprattutto il settore bancario che parla al femminile. Basti pensare che ben 6 delle 16 banche locali, sono guidate da donne: Diane Karusisi (Bank of Kigali), Alice Kilonzo (Ecobank), Lina Mukashyaka (NCBA), Christine Baingana (Urwego Bank), Arah Sadava (AB Bank) e Kampeta Sayinzoga (BRD). Anche i consigli di amministrazione di due altre banche locali sono guidati da donne: Evelyn Kamagaju (Equity Bank) e Chantal Mubarure (Access Bank). Senza dimenticare Soraya Hakuziyaremye, Vice Governatore della Banca Centrale dal 2021, dopo essere stata ministro del commercio e dell'industria dal 2018.Tutte queste donne hanno raggiunto le posizioni ricoperte grazie ad un ambiente, quello raundese, dove la presenza femminile ha da sempre infranto quel soffitto di vetro, incubo delle femministe di casa nostra, ma anche grazie a curricula di tutto rispetto, sia a livello di studi che di esperienze professionali dal respiro internazionale (leggi qui).

venerdì 27 gennaio 2023

Se "ogni Paese è anche dello straniero", come recita la Fratelli tutti, che succederà in Africa?

 Alla vigilia del viaggio in Africa di papa Francesco, in Sud Sudan e nella R.D. del Congo, forse il paese al mondo che conserva le maggiori ricchezze minerarie, torna di attualità un punto dell’enciclica Fratelli tutti, a suo tempo non particolarmente trattato dai commentatori. Ci riferiamo al paragrafo 124 della terza enciclica di papa Francesco, che così recita: “La certezza della destinazione comune dei beni della terra richiede oggi che essa sia applicata anche ai Paesi, ai loro territori e alle loro risorse. Se lo guardiamo non solo a partire dalla legittimità della proprietà privata e dei diritti dei cittadini di una determinata nazione, ma anche a partire dal primo principio della destinazione comune dei beni, allora possiamo dire che ogni Paese è anche dello straniero, in quanto i beni di un territorio non devono essere negati a una persona bisognosa che provenga da un altro luogo. Infatti, come hanno insegnato i Vescovi degli Stati Uniti, vi sono diritti fondamentali che «precedono qualunque società perché derivano dalla dignità conferita ad ogni persona in quanto creata da Dio».”               E' di tutta evidenza come una simile affermazione assuma risvolti particolarmente rilevanti in un continente particolare come l'Africa. Se, infatti, in altri continenti, dove gli Stati hanno confini storicamente consolidati e nessuno oserebbe avanzare rivendicazioni di tipo territoriale o sulle ricchezze altrui, questa tesi non dovrebbe suscitare particolare interesse, non sembra si possa dire altrettanto se riferita alla realtà africana. L'artificiosità di quasi tutti i confini dei Paesi africani, frutto del processo di decolonizzazione della metà del secolo scorso, la grande disponibilità di risorse minerarie e fossili, o semplicemente di terreni coltivabili, diversamente distribuite fra i diversi Paesi, la debole struttura statuale di molti di questi Paesi: sono tutti elementi che potrebbero innescare un uso strumentale ed improprio dell'annuncio che  ogni Paese è anche dello straniero nel senso che la destinazione comune dei beni della terra richiede oggi che essa sia applicata anche ai Paesi, ai loro territori e alle loro risorse. Non è sicuramente azzardato ipotizzare che un simile principio  possa essere agevolmente brandito da diversi governi come giustificazione per dare sfogo ai propri rivendicazionismi nei confronti di vicini più beneficiati da madre natura, in termini di ricchezze naturali e di spazi. Ne scaturirebbe una serie infinita di dispute di confine, con inevitabili risvolti militari, così da portare in breve tempo a una sostanziale riconfigurazione della carta politica del continente. Si pensi per un attimo a quale destino andrebbe incontro  l'area del Kivu, teatro  in questi mesi di una vera e propria escalation militare di un conflitto che si trascina da almeno un ventennio. La regione del Kivu è un territorio dalle immense ricchezze minerarie, facente parte di uno Stato, la Repubblica democratica del Congo, con una densità abitativa estremamente contenuta di 39 abitanti per kilometro quadrato, a fronte di quella dei Paesi vicini: 195 dell'Uganda e 495 del Rwanda. In questa area da oltre un ventennio si confrontano, tra scontri e violenze,  diversi protagonisti, dai padroni della guerra locali ai Paesi confinanti, Rwanda e Uganda in primis, tutti ben decisi a non mollare la presa sul ricco forziere congolese. Già in passato era stata avanzata l'ipotesi da esponenti dell'amministrazione americana di arrivare a una vera e propria spartizione del Kivu tra i vari paesi confinanti, obiettivo non troppo nascosto del Rwanda e dell'Uganda. Tale idea fu però accantonata per non creare un pericoloso  precedente che avrebbe innescato una corsa di diversi Paesi africani alla revisione dei confini, con conseguente destabilizzazione, in breve tempo, dell'intero  continente africano. Ma ora, alla luce di questo importante imprimatur, siamo sicuri che qualcuno non colga l'occasione per dare una base "ideale" ai propri progetti espansionistici?    

domenica 8 gennaio 2023

La storia dei 41 orfani ruandesi portati in salvo in Italia nel 1994

Avevano tra i 4 mesi e i sei anni quando, nell’aprile del 1994, furono strappati dalla guerra civile in corso in Rwanda e portati in salvo a Castenedolo, in provincia di Brescia. Sono i 41 bambini, ora diventati giovani uomini e donne, che vivevano nell’orfanotrofio Santa Maria a Rilima (a 60 chilometri dalla capitale Kigali), sostenuto dalla Fondazione Tovini, da Medicus Mundi e dall’associazione Museke. La loro storia viene ricordata in questo articolo del Giornale di Brescia (clicca qui). I 41 orfani di Rilima si salvarono  grazie all’iniziativa di un gruppo di bresciani, impegnati in Africa come volontari. Quando, dopo l’inizio dei massacri in seguito all’attentato all’aereo presidenziale, i miliziani armati si presentarono all’orfanotrofio agli 11 bresciani non restava che scappare, ma all’aeroporto i soldati belgi scortarono solo i cittadini europei. Solo l’insistenza dei volontari convinse il comandante belga  a tornare all’orfanatrofio a riprendere  e salvare anche i bambini.Il salvataggio viene così ricostruito nell’articolo. “Gli italiani tornarono in patria il 13 aprile e da quel momento scattò la mobilitazione. Il politico bresciano Mino Martinazzoli sollecitò il ministro della Difesa, Beniamino Andreatta, fino a che un primo gruppo di 21 piccoli ruandesi avvolti in coperte militari venne caricato su un aereo, che atterrò a Ciampino il 14 aprile 1994. Per portarli poi a Verona, vennero fatti sedere in braccio ai passeggeri di un volo civile. «Feci l’appello dal telefono di casa e venne diffuso con l’altoparlante in aeroporto - spiega don Roberto Lombardi, tra i protagonisti della vicenda e all’epoca responsabile della Pastorale universitaria -: non c’erano soldi per i biglietti dei bambini e per non pagare dovevano occupare il posto con un adulto. Ventuno passeggeri si fecero subito avanti».Gli altri 20 orfani arrivarono all’aeroporto di Ghedi alla mezzanotte del 15 aprile, trasportati con un Dc-9 dell’Aeronautica militare e poi riuniti con i compagni.” In una gara di solidarietà, che vide coinvolte quasi 200 persone e le istituzioni locali, gli orfani trovarono ospitalità nell’ex asilo di Castenedolo per quasi due anni. Dopo che l’Organizzazione internazionale per le migrazioni e la Croce Rossa confermarono l’impossibilità di far rientrare gli orfani in Rwanda, causa la precaria situazione esistente nel Paese, e nonostante l’insistenza delle autorità ruandesi per il loro rientro, la magistratura italiana dispose l'affidamento dei bambini a famiglie bresciane, che nella maggior parte dei casi poi li adottarono. Diciassette ruandesi restarono con famiglie di Castenedolo, gli altri furono adottati in provincia. Uno dei bambini è stato adottato da don Roberto Lombardi cofondatore dell’associazione Museke: un caso eccezionale, considerando la sua condizione di prete e di single. Nel 2001, l’ambasciatore ruandese a Bruxelles tornò a chiedere, in linea con le politiche governative in materia,  il rimpatrio dei minori, ma il caso si chiuse ancora prima di aprirsi; il decreto di adozione fu ritenuto inappellabile stante che i bambini erano tutti ormai cittadini italiani e dalle indagini fatte in Rwanda non risultavano avere parenti stretti disponibili o in grado di provvedere al loro futuro. Oggi quei 41 bambini si ritrovano una volta all'anno: alcuni di loro sono laureati, altri hanno un lavoro stabile, altri sono ancora alla ricerca della loro strada, altri hanno costruito la loro famiglia. Tutti loro onorano la memoria del loro passato e delle loro origini e, nel periodo natalizio, siedono allo stesso tavolo per ricordare, insieme.