"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


lunedì 11 settembre 2023

La speranza africana: l'ultimo libro di Federico Rampini

Federico Rampini presenta al Festival della comunicazione di Camogli il suo ultimo libro La speranza africana ed. Mondadori, in uscita il prossimo 19 settembre, 



sabato 9 settembre 2023

Se l'emergenza sbarchi ci fa dimenticare l'Africa con i suoi 1.300 milioni di abitanti

Con il superamento della soglia, anche psicologica, dei centomila arrivi di migranti sulle nostre coste, il dibattito sul fenomeno migratorio ha trovato nuovo impulso, sia in ambito politico che ecclesiale. Un dibattito che negli anni si è sempre caratterizzato per un’analisi unilaterale del fenomeno, evidenziandone i riflessi sulla comunità nazionale, senza mai andare a fondo circa l’origine dei flussi migratori, spesso confondendo strumentalmente migranti economici e rifugiati, e conseguentemente cercare possibili soluzioni per disinnescarne le cause. In questi anni, anche in ambito cattolico, il dibattito non ha mai  superato il contingente. Ci si è limitati ai doverosi salvataggi nel Mediterraneo, alla conseguente accoglienza temporanea, senza  però che la stessa abbia poi portato significativi risultati nel perseguimento di un processo d’integrazione. Si sono sì accolti tanti migranti, ma quanti di loro sono stati accompagnati in un percorso d’inserimento nel mondo del lavoro? Ricordo al riguardo come ad una simile domanda, l’addetto di una Caritas diocesana rispose, quasi infastidito, che non erano un ufficio di collocamento. Anche nella gestione contingente dei flussi migratori non si può dire, quindi, che il modello di accoglienza in essere da noi sia in grado di dare risposte efficaci alle persone approdate in Italia alla ricerca di un avvenire migliore, almeno il 90% degli arrivati essendo il rimanente 10% formato da aventi diritto all’asilo, che avevano attraversato  deserti e Mediterraneo proprio per cercare uno sbocco lavorativo. Un simile approccio è figlio anche di un grave errore di prospettiva. Se ci si concentra sul bagnasciuga di Lampedusa senza mai alzare lo sguardo per guardare più lontano, all’Africa, i problemi dei 1.300 milioni di africani che vi vivono, di cui qualche centinaia di milioni sotto la soglia di povertà, mai potranno trovare una soluzione degna, neppure in una traversata del Mediterraneo. Quello che manca nel dibattito sul fenomeno migratorio è proprio una “proposta” che tenga conto della realtà, oscurata, che esiste al di là dell’orizzonte lampedusano: l’Africa ed i suoi abitanti.

venerdì 25 agosto 2023

Il mondo moderno ha le radici in Africa

Cos'ha portato alla nascita del mondo moderno? A scuola ci è stato insegnato che l'origine della modernità affonda le proprie radici nelle grandi scoperte geografiche del XV secolo; nello sviluppo del metodo scientifico e delle innovazioni industriali; nel diffondersi di nuove abitudini alimentari e di consumo; nel ruolo giocato dalle società del Vecchio Continente, con la loro ingegnosità e inventiva, e nel fermento dei grandi ideali civili... Il libro L'Africa e la nascita del mondo moderno ( ed. Rizzoli, euro 25) del giornalista e scrittore americano, Howard W. French, in cui si  racconta la storia dell'Africa dal 1400 al 1900, ci presenta una storia diversa ,evidenziando  il ruolo che il continente africano, attraverso le sue società ed i suoi abitanti, ha giocato nello sviluppo del mondo moderno.  In un'ampia narrazione che abbraccia oltre sei secoli, dalle prime relazioni commerciali tra Portogallo e Africa all'abolizione delle leggi segregazioniste negli Stati Uniti, l'autore ricostruisce come il destino dell'Occidente sia stato forgiato sfruttando risorse e manodopera africane. French inizia il suo libro con una descrizione della ricchezza e della complessità delle società africane prima dell'arrivo degli europei. Mostra come l'Africa fosse sede di grandi imperi e come fosse un importante centro di commercio e di scambio culturale. Proprio le coste di questi imperi furono le prime mete ad attirare i navigatori europei, attratti dalle ricchezze ivi presenti, a partire dall'oro. Subito dopo l'oro, l'attenzione degli europei si riversò sulle braccia dei tanti schiavi che i regnanti africani del luogo erano in grado di mettere a disposizione dei mercanti. Sulla forza lavoro di oltre dodici milioni di schiavi deportati dall'Africa verso le Americhe come manodopera a bassissimo costo sorsero le piantagioni, prima della canna da zucchero e poi del cotone, le materie prime che crearono ricchezza a partire dall'Atlantico per i Paesi europei ed alimentarono le rispettive economie fino ad innescare i processi che portarono alla rivoluzione industriale dell'Occidente, Stati Uniti compresi, dove l'importanza della schiavitù è così riassunta nell'Introduzione,  "Il valore creato dal commercio e dalla proprietà di schiavi negli Stati Uniti – distinto da quello del cotone e di altri prodotti coltivati dagli schiavi – era superiore a quello di tutte le fabbriche, le ferrovie e i canali del paese messi insieme."  L'introduzione del libro è leggibile cliccando qui.