"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


mercoledì 30 novembre 2016

Rwandese emula di Renzi: da Firenze a Kigali per partecipare alle presidenziali 2017

Nadine Claire Kasinge
Ha cominciato con gli scout dell’Agesci a Firenze poi si è avvicinata al PD toscano, ha quindi lavorato per la  Florence Multimedia, la società che curava la comunicazione per la Provincia presieduta da Matteo Renzi, adesso vuole rientrare nel suo paese, il Rwanda, per buttarsi nell’agone politico e partecipare, come portavoce di un piccolo partito politico di opposizione, Ishema, alle prossime elezioni presidenziali, sempre che riesca ad approdare a Kigali, la capitale. Stiamo parlando della trentaseienne rwandese Nadine Claire Kasinge che, con il piccolo figlio, Kejo Skyler, di sette mesi,  è stata bloccata, mercoledì scorso 23 novembre, nell’area transiti dell’aeroporto di Nairobi, in Kenya, dove era sbarcata da  un volo  Kenya Airways proveniente da Amsterdam con destinazione finale Kigali, unitamente a padre Thomas Nahimana, segretario del partito Ishema, e di un altro compagno di partito. La piccola delegazione che intendeva rientrare in Rwanda per partecipare alle prossime elezioni presidenziali del 2017, a cui padre Nahimana vorrebbe candidarsi, è rimasta bloccata a terra non avendo ricevuto l’ok delle autorità rwandesi all’ingresso in Rwanda, per motivi burocratici.
Ecco la storia di questa  emula di Renzi, almeno per la parte di formazione giovanile, così come l’interessata l’ha raccontata in occasione di una manifestazione pubblica tenutasi in Canada nel 2015.
Originaria della prefettura di Byumba, si trovava in città quando nella notte del 06-07 Aprile 94, tutta la sua famiglia, che si era trasferita nella capitale per lavoro, viene sterminata dalle milizie ribelli: muoiono la madre, il ​​padre, un fratello e 3 sorelle. Rimasta orfana a tredici anni, come migliaia di altri bambini rwandese, si rifugia da profuga in Zaire, attuale R.D. del  Congo, passando per Goma, condividendo la miseria dei campi profughi.
Nell'agosto del 1995 ha la possibilità di lasciare il campo profughi di Kibumba e approdare a Firenze, dove può  tornare sui banchi di scuola. “Quando sono arrivato in Italia - ricorda Nadine -  ho avuto la possibilità di essere accolta e integrata in un gruppo scout che mi ha insegnato molto sulla vita nella società e ha risvegliato la mia consapevolezza sul ruolo di ciascuno nella costruzione o distruzione di un paese. E’ stata l’Agesci (Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani), che ha instillato nella mia mente i valori essenziali come il coraggio, il patriottismo, la libertà, la condivisione, l'efficienza del lavoro di squadra, ecc ... E nel movimento scout che sono stata sedotta dall’importanza del lavoro in rete, ma, soprattutto, ho capito il valore del senso di responsabilità “.

domenica 27 novembre 2016

Biogas e cisterne per la comunità delle Suore Domenicane di Matimba


Durante una cerimonia tenutasi ieri sul lago Muhazi,   il primo ministro rwandese, Anastase Murekezi, ha esortato tutti i rwandesi a coltivare, preservare e utilizzare in modo efficiente le risorse naturali adottando l'uso di gas e biogas per la cottura dei cibi e per l'illuminazione, in particolare per coloro che vivono nei villaggi. Perchè, come ha affermato il Primo Ministro, "il biogas è anche più economico rispetto alla legna e al carbone, garantendo l'igiene e senza influire sulla qualità del letame utilizzato".L’invito del Primo Ministro è già stato fatto proprio dalla  comunità delle Suore Domenicane Missionarie d’Africa di Matimba che, con l’aiuto dell’Ass. Kwizera, hanno portato a termine in questi giorni il loro impianto di biogas, come dimostrano le foto che pubblichiamo. La comunità, una delle cinque dell'ordine operanti in Rwanda, è attiva nell’istruzione professionale delle giovani, con corsi di cucito e di economia domestica,  oltre che nella formazione di giovani 
aspiranti alla vita religiosa; gestisce anche un Centro di sanità. La comunità di Matimba ha altresì usufruito, nell’ambito del Progetto Amazi dell’Ass. Kwizera, di due cisterne, a cui se ne aggiungeranno presto altre due, per la raccolta dell’acqua piovana, in una zona, come quella di Matimba, particolarmente secca. 

giovedì 24 novembre 2016

Scuse dei vescovi insufficienti, per il governo rwandese servono quelle del Vaticano

Sono trascorsi solo tre giorni dalla lettera di scuse dei vescovi rwandesi per le colpe che singoli componenti della Chiesa abbiano potuto commettere nell'ambito del genocidio, e ieri è arrivata, abbastanza prevedibile, la reazione ufficiale del Governo. In un comunicato ufficiale,  il governo, dopo aver sottolineato " la profonda inadeguatezza" della presa di posizione dei vescovi rwandesi, che evidenzia come "la Chiesa cattolica sia ancora lontana da una resa dei conti completa e onesta con le sue responsabilità morali e legali", chiede esplicitamente "le scuse da parte del Vaticano, come è accaduto più volte con altri casi di minore entità". Non piace, in particolare, al governo rwandese che " i vescovi sembrino escludere qualsiasi colpa della Chiesa cattolica nel suo complesso in relazione al genocidio" quando "ogni ricostruzione storica contraddice questa affermazione di divisione". Il documento del governo deplora altresì "che alcuni sacerdoti si siano apparentemente rifiutati di leggere il messaggio dei vescovi ai fedeli come previsto, dissociandosi quindi anche da questo  debole espressione di rammarico". Rimane il parziale apprezzamento per "la presa di posizione dei vescovi sull'importanza della lotta contro l’ideologia del genocidio" cui si aggiunge l'assicurazione che le autorità "continueranno a impegnarsi in un dialogo aperto e franco con dirigenti della Chiesa con l’intento di  incoraggiare la Chiesa cattolica ad affrontare il proprio passato, senza scuse o  paura, proprio come hanno fatto  gli stessi rwandesi negli ultimi ventidue anni".

martedì 22 novembre 2016

Merkel african style: pronta al quarto mandato

Deve aver suscitato qualche sorriso beffardo sul viso di tanti autocrati africani la notizia che la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha sciolto la riserva decidendo di candidarsi nel 2017 per la quarta volta a cancelliera, naturalmente al solo scopo di“continuare a servire ancora per quattro anni la Germania” . E’ dal novembre del 2005, quando l'allora 51enne leader della Cdu, il partito cristiano-democratico tedesco, fu chiamata a formare il suo primo governo, che non ha più lasciato la sua poltrona. Seppur in un contesto costituzionale totalmente diverso dotato di pesi e contrappesi, dove peraltro i cancellieri precedenti sono stati al potere anche 16 anni di seguito, siamo in presenza di una cancelliera che è al potere da un lasso di tempo inferiore  di solo due anni a quello del presidente rwandese, ma anche di altri esponenti africani.Di fronte a questo esempio proveniente da una delle democrazie dell’occidente, risulta meno facile, per lo meno agli occhi degli interessati e magari della loro gente, impartire lezioni di democrazia a quegli autocrati africani che brigano per togliere, naturalmente passando al vaglio elettorale della propria gente,  dalle rispettive costituzioni i limiti ai mandati presidenziali, magari complessivamente inferiori alla durata in carica della dama di ferro tedesca. D’altronde, anche per la Merkel,  proprio come per i suoi colleghi africani, la parola d’ordine è sempre la stessa: come può andare avanti il paese in questi momenti difficili senza di me che ho ancora molto da dare alla mia gente?
Naturalmente abbiamo scherzato....... ma non troppo!

lunedì 21 novembre 2016

La Chiesa rwandese chiede perdono per il genocidio

 In una lettera emanata a conclusione dell'anno del 'Giubileo della Misericordia di Dio'  ( al momento disponibile solo in Kinyarwanda) e letta ieri a conclusione delle messe festive nelle chiese rwandesi, i vescovi cattolici delle nove diocesi del Rwanda hanno chiesto perdono per il ruolo che la Chiesa ha potuto avere nel genocidio del 1994.  Come ha spiegato all'agenzia Fides il  Presidente della Conferenza Episcopale, Mons. Philippe Rukamba, Vescovo di Butare,“la lettera è divisa in 14 punti. Nella prima parte ringraziamo Dio per tutto quello che ci ha donato, la vita, i figli, la cultura, la Chiesa che ha più di 100 anni. Nella seconda parte chiediamo perdono per il genocidio come individui, perché non è la Chiesa in quanto tale che ha commesso questi crimini, ma sono i suoi figli che hanno peccato. Si condanna anche l’ideologia del genocidio che è stato un elemento importante nel scatenare la tragedia che comportato la distruzione di così tante vite e del tessuto sociale del nostro Paese”.
Nella lettera, che fa seguito al mea culpa che nel 2000, in occasione del centenario di fondazione della chiesa rwandese, i vescovi avevano già formulato in maniera meno esplicita, si può leggere, secondo quanto riferito dalle agenzie internazionali," Ci scusiamo a nome di tutti i cristiani per tutte le forme di torti che abbiamo commesso. Ci dispiace che i membri della Chiesa abbiano violato il loro giuramento di fedeltà ai comandamenti di Dio". I Vescovi hanno anche ufficialmente condannato l’ideologia del genocidio, ricordando, peraltro, come appena un mese dopo l’inizio del genocidio, Papa Giovanni Paolo II sia stato il primo, a livello mondiale, a condannare ufficialmente le atrocità in atto, bollandole esplicitamente come un genocidio, e a invocare per i responsabili il giudizio di Dio e della storia.Nella lettera, i Vescovi hanno chiesto perdono per l’odio diffuso nel paese, “fino al punto di odiare anche i nostri confratelli a causa della loro appartenenza etnica e di non aver dato dimostrazione di essere una sola famiglia, uccidendoci invece  a vicenda." E ancora, " ci scusiamo per tutte le guerre che si sono verificate in questo paese. Perdonaci per i crimini commessi da sacerdoti e suore e dalla leadership della chiesa che hanno promosso divisionismo etnico e odio, ".Questo passo della Chiesa, che nel lacerante periodo della guerra civile piange, a sua volta, ben 248 vittime tra il personale ecclesiastico, ivi compresi tre vescovi, è stato accolto favorevolmente dalle autorità che da tempo, praticamente dall’indomani della conclusione della guerra civile,  hanno più volte invocato  un simile gesto

mercoledì 16 novembre 2016

Singapore, Rwanda e l'uso libero del web

Freedom on the Net nel mondo
Da tempo, in maniera più o meno esplicita, la leadership rwandese ha espresso ammirazione per il modello di sviluppo economico della piccola città stato di Singapore, tanto che  ormai da tempo i media internazionali parlano del Rwanda come la Singapore dell’Africa.I riferimenti a questa realtà attengono, da parte rwandese,  prevalentemente all’aspetto economico che ne ha caratterizzato lo sviluppo in questi ultimi decenni, non disdegnando anche qualche attenzione circa  il modello di governance politica. Già in passato abbiamo rappresentato la realtà di Singapore ( clicca qui), oggi ne facciamo un aggiornamento segnalando questa analisi del sociologo canadese Derrick de Kerckhove, che sul quotidiano Avvenire, partendo appunto dall’esperienza di Singapore, denuncia i rischi di una deriva possibile che la «datacrazia» (il potere dei dati), potrebbe produrre sui comportamenti dei cittadini, costretti ad adeguarsi ai modelli sociali imposti, attraverso la tecnologia, da chi detiene il potere. Per leggere l’articolo clicca qui.
 A proposito dell’uso e del controllo del web, a inizio mese è stato rilasciato il rapporto annuale Freedom on the Net redatto dalla fondazione americana Freedom House. Il giudizio rilasciato sul Rwanda è quello di un paese “parzialmente libero”, con uno score di 51/100 mediano nella classifica mondiale e migliore di quello di Singapore che è di 41/100, in cui è di molto migliorato l’accesso a internet dal punto di vista tecnologico, ma il cui uso deve parallelamente scontare significativi controlli e limiti da parte delle autorità.  Il giudizio completo sul Rwanda contenuto nel Rapporto è consultabile cliccando qui.

sabato 12 novembre 2016

Continua il ping pong giudiziario Francia-Rwanda

I rapporti franco–rwandesi stanno rivivendo un momento particolarmente delicato, dopo che già in passato si era arrivati a una rottura diplomatica tra il 2006 3 il 2009. La materia  del contendere, come nel passato, è l’azione della magistratura francese che all'inizio di ottobre  ha imprevedibilmente riaperto il dossier sull’abbattimento, il 6 aprile 1994, dell’aereo presidenziale, che aveva portato alla morte dell'ex presidente Juvenal Habyarimana  e del suo omologo burundese, oltre naturalmente all’equipaggio francese. Alla mossa francese ha risposto la giustizia rwandese con l’esplicita minaccia di incriminazione di esponenti francesi con l’accusa di aver '' deliberatamente assistito nella progettazione ed esecuzione di genocidio ruandese che ha ucciso più di un milione di persone. '' La reazione rwandese fa seguita all’intenzione dei  giudici francesi che hanno deciso di rilanciare la loro indagine per  sentire l'ex capo di stato maggiore rwandese e da ultimo ambasciatore in India, gen. Faustin Kayumba Nyamwasa, attualmente in esilio in Sud Africa, dove è stato oggetto di un  attentato. Dopo che la Commissione nazionale contro il Genocidio (CNLG) aveva  pubblicato nei giorni scorsi un rapporto “La manipolazione del dossier dell’aereo di Habyarimana, un occultamento di responsabilità francesi nel genocidio ", in cui comparivano i nomi di 22 alti ufficiali francesi accusati di essere coinvolti nel genocidio del 1994, ieri il ministro degli Esteri rwandese, signora  Louise Mushikiwabo, reagendo a quella che ha definito  “l'intimidazione giudiziaria francese", ha preannunciato una nuova lista contenente i nomi di alti funzionari francesi accusati di complicità nel genocidio, aggiungendo che  "come paese, siamo arrivati ​​a un punto in cui dobbiamo dire che l'attività, l'impunità, l'atteggiamento e le azioni della Francia belligerante non sono più accettabili” arrivando a minacciare di rendere pubbliche tutte le informazioni che indicano chiaramente il coinvolgimento di vari funzionari francesi, militari, politici e dei servizi segreti e tutte le persone che hanno giocato un ruolo nel genocidio.
Alla luce degli ultimi avvenimenti è probabile che l'ambasciata francese a Kigali rimarrà ancora per qualche tempo senza ambasciatore; lo è da oltre un anno, dopo che  l'ambasciatore inizialmente designato dalla Francia non ha raccolto il gradimento delle autorità rwandesi e, nel frattempo, è già stato  inviato nella Guinea equatoriale. 

lunedì 7 novembre 2016

A Matimba il Progetto Mikan diventa strumento di pastorale familiare

Al termine del suo mandato pastorale a Matimba, il parroco abbé Emmanuel Ntadimana, ora trasferito presso la parrocchia di Nyagatare, ha voluto fare il punto di come il Progetto Mikan si è sviluppato nella parrocchia, evidenziandone tutte le potenzialità che lo stesso Progetto può assumere nell'ambito della pastorale familiare parrocchiale. A fine estate ha avuto luogo la cerimonia di consegna  delle capre (kuzitura in Kinyarwanda) da parte delle vecchie famiglie, che le avevano ricevute dall'Ass. Kwizera e si erano impegnate a consegnare il primo capretto, a 6 nuovi gruppi, per un totale di 150 nuove famiglie. Tutte le famiglie coinvolte fanno parte del Forum delle coppie,  IHURIRO RY’INGO, e sono state adeguatamente preparate in momenti formativi curati da don Deogratias Nshimiyimana, parroco di Nyagahanga e cappellano diocesano per la pastorale familiare, affiancato da una coppia della propria parrocchia, Emile Gisagara e Florence Nyiramucyo. Oltre le informazioni specifiche sulla
conduzione del progetto, regole e nozioni circa l'allevamento delle capre, una addetta del locale Centro di sanità ha altresì fornito a tutte queste famiglie anche nozioni di salute riproduttiva e regolazione delle nascite.Le vere specificità dell'esperienza delle coppie di Matimba è però quella di aver sfruttato lo stare insieme, il fare gruppo, come momento per una ulteriore collaborazione: si è proceduto alla costituzione di una cassa comune in cui mensilmente ogni coppia, secondo le proprie capacità, versava una somma da destinare alla realizzazione di un progetto comune.

martedì 1 novembre 2016

Svolta del Papa sui migranti:accoglienza con prudenza e calcolo

Riportiamo qui di seguito, nella trascrizione riportata dal Corriere.it, la risposta che papa Francesco ha dato a una domanda che gli è stata posta nel consueto colloquio con i giornalisti a bordo dell'aereo papale, durante il viaggio di ritorno dalla Svezia. Forse per la prima volta,  papa Francesco affronta il problema dei migranti con un sano realismo introducendo nel dibattito in argomento alcuni elementi di sicura novità dai quali, da qui in avanti, non si potrà più prescindere: la necessaria distinzione tra rifugiati e migranti, le regole che devono presiedere all'esercizio del diritto di migrare, i rischi della mancata integrazione e, soprattutto, la prudenza con la quale i governanti devono fare il calcolo di quanti migranti possono accogliere.  Qui di seguito riportiamo la trascrizione della risposta papale che può essere ascoltata anche nel video di TV2000.
«Prima di tutto, come argentino e sudamericano, ringrazio tanto la Svezia per la sua accoglienza perché tanti argentini, cileni, uruguaiani sono stati accolti al tempo delle dittature militari. La Svezia ha una lunga tradizione di accoglienza: non solo nel ricevere ma anche nell’integrare, nel cercare subito casa, scuola, lavoro, integrare in un popolo. Mi hanno detto una statistica, che su nove milioni di abitanti 850 mila sarebbero nuovi svedesi, cioè migranti, rifugiati, o il loro figli. In secondo luogo, si deve distinguere tra migrante e rifugiato. Il migrante deve essere trattato con certe regole, migrare è un diritto ma un diritto molto regolato. Invece un rifugiato viene da una situazione di guerra, fame, angoscia terribile. Un rifugiato ha bisogno di più cura, di più lavoro, e anche in questo la Svezia ha sempre dato un esempio. Fare imparare la lingua, integrare nella cultura. Non dobbiamo spaventarci per l’integrazione delle culture perché l’Europa è stata fatta con una integrazione continua delle culture, di tante culture. Cosa penso dei Paesi che chiudono le frontiere? Credo che in teoria non si possa chiudere il cuore a un rifugiato. Ma c’è anche la prudenza dei governanti che credo debbano essere molto aperti nel riceverli ma anche fare un calcolo di come poterli sistemare. Perché un rifugiato non lo si deve solo ricevere ma lo si deve integrare. E se un Paese ha una capacità di integrazione faccia quanto può, se ha di più faccia di più, ma sempre con il cuore aperto. Non è umano chiudere le porte e il cuore, e alla lunga questo si paga, si paga politicamente, come anche una imprudenza nei calcoli, nel ricevere più di quelli che si possono integrare. Qual è il pericolo? Quando un rifugiato o un migrante non è integrato, si ghettizza, entra in un ghetto, e una cultura che non si sviluppa in un rapporto con un’altra cultura entra in conflitto, e questo è pericoloso. Credo che il consigliere più cattivo dei Paesi che tendono a chiudere le frontiere sia la paura. E il consigliere più buono la prudenza. In questi giorni ho parlato con un funzionario del governo svedese e mi diceva che hanno qualche difficoltà, perché vengono in tanti e non si fa in tempo a sistemarli, a trovare scuola, casa, lavoro, a far imparare la lingua…La prudenza deve fare questo calcolo. Io non credo che se la Svezia diminuisce la sua capacità accoglienza non lo faccia per egoismo o perché ha perso la capacità. Se c’è qualcosa del genere è per quello che ho detto: tanti oggi guardano alla Svezia perché ne conoscono l’accoglienza, ma non c’è il tempo necessario per sistemare tutti».