"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


venerdì 26 aprile 2019

Bilancio Kwizera 2018: inviati in Rwanda 67.000 euro

Il bilancio 2018 dell’associazione Kwizera onlus si è chiuso con una raccolta fondi di 69.585  euro, in diminuzione rispetto  a 79.467 euro dell’anno precedente. Le principali voci della raccolta riguardano: le adozioni a distanza e il sostegno all’infanzia per 25.219 euro, contro 21.743 euro del 2017, contributi ed erogazioni liberali per 33.422 euro (45.584 euro euro nel 2017)  e 7.245 euro revenienti dal 5 per mille per l'anno 2016 (7.605 per il 2015), e 3.050 euro da sponsor del calendario.
 In Rwanda sono stati inviati 67.000 euro (75.150 euro  nel 2017), oltre il 93% di quanto raccolto, essendo le spese di funzionamento contenute nei limiti fisiologici di  3.882 .
Poiché all’inizio del 2018 c’era una giacenza in Rwanda di un corrispettivo 19.000 euro e a fine anno una disponibilità di 31.000 euro, nel corso dell’intero 2018 sono stati impiegati sul territorio, a favore della popolazione locale,  un totale di circa 55.000 euro, tenuto conto anche di un rientro di un prestito di 3.000 euro.
L’intervento più significativo del 2018 ha riguardato la realizzazione del Posto di Sanità di Mubuga che ha richiesto un investimento a tutto il 2018 di circa 17.000 euro, comprensivo di terreno, arredi ed attrezzature. La realizzazione intitolata ad Alfredo Pierotti, conosciuto gestore del Quadrifoglio in Sarita nella media Valle in provincia di Lucca, è stata finanziata dalla moglie Marinella e dai tanti amici e completata e inaugurata all'inizio del 2019.  
Altri 20.500 euro sono andati al Progetto Adozioni, che coinvolge poco meno di  200 bambini e ragazzi, e alla gestione dell’asilo Carlin. Un esborso di 3000 euro, attinto ai fondi per le adozioni e l’assistenza è andato ad alimentare il Progetto JMV, borse di studio agli studenti del Petit Seminaire di Rwesero.
 Circa 11.500 euro (26.000 euro nel 2017)  sono stati destinati al  Progetto Amazi  per l'acquisto di altre 15 cisterne: portando il numero complessivo delle cisterne distribuite in questi anni a oltre 185 cisterne.
I richiamati interventi hanno quindi richiesto  una spesa complessiva di 52.000 euro.
Tra le altre spese vanno ricordate: 600 euro per avvio Progetto Mikan Baby, 400 euro spese di missione, 1.000 compensi a collaboratori locali, mentre i residui 1.000 euro sono andati alle spese di funzionamento della struttura locale (affitto ufficio,  spese amministrative d'ufficio e spedizioni).

giovedì 11 aprile 2019

Rwanda 1994-2019:un percorso di riscatto e di riconciliazione


Riprendiamo nostro articolo apparso su Il Settimanale della diocesi di Como.
Il 30 settembre 2018, il presidente del Rwanda, Paul Kagame, in qualità di presidente dell’Unione Africana, nel summit di Buenos Aires chiede che l’UA venga ammessa a far parte del G 20. Simbolicamente il “piccolo” Rwanda, anche e soprattutto in forza della sua storia di riscatto di questi ultimi 25 anni, dà voce alla voglia della “grande” Africa di entrare nel consesso dei Grandi del Mondo. Quei Grandi e quelle Organizzazioni sovranazionali che nel 1994 permisero, per ignavia e per inconfessabili interessi geopolitici, che in un piccolo e sconosciuto Paese africano si perpetrasse uno dei più tragici massacri della seconda metà del XX secolo. Le immagini di “un fiume di sangue, persone che si uccidevano a vicenda, cadaveri abbandonati senza che nessuno si curasse di seppellirli, un abisso spalancato, un mostro spaventoso, teste mozzate” si irradiarono allora sui televisori di tutto il mondo, portando nelle nostre case il dramma ruandese. Quello che sembrerebbe il commento di un inviato chiamato a coprire quei cento di giorni di follia, è in realtà la sconcertante descrizione che tre giovani veggenti diedero della sconvolgente e profetica visione che ebbero il 15 agosto 1982, durante una delle apparizioni della Madonna, riconosciute ufficialmente dalla Chiesa, che si susseguirono dal 1981 e al 1983, a Kibeho nel sud del Rwanda. Di quel periodo ricordiamo l’incontro con tre giovani seminaristi ruandesi, Paolo, Roberto e Cirillo, sottratti al massacro e portati in salvo dal ponte aereo organizzato da Maria Pia Fanfani, presidente della CRI, ospiti della comunità di Grosio.Anni dopo, nel 2003, il primo viaggio in Rwanda ci portò a misurarci con i segni esteriori lasciati dalla guerra civile, ma, ancor più, con le lacerazioni interiori che la stessa aveva lasciato nelle persone con cui venivamo a contatto. Molte, qualunque fosse la loro appartenenza tra le parti in conflitto, piangevano la morte cruenta di qualche congiunto. Una sorta di cappa opprimeva la comunità ruandese prigioniera dei fantasmi del suo recente passato, tanto che la diffidenza e la paura dell’altro erano la cifra caratterizzante i rapporti interpersonali, di cui noi stessi eravamo, di volta in volta, testimoni e vittime. Nelle successive missioni compiute con l’Ass. Kwizera, abbiamo assistito al progredire, lento ma deciso, nella ricostruzione delle strutture dello Stato e nella ricucitura lenta, sofferta, a volte combattuta, del tessuto sociale lacerato da tanto sangue versato. Oggi, alla quindicesima missione, siamo testimoni di un Rwanda diverso. Pur tra immancabili contraddizioni, siamo in presenza di un Paese che sta recuperando un clima comunitario più confidente e che legittimamente si accredita, per i progressi sociali (sanità ed istruzione) ed economici conseguiti, come esempio di sviluppo per l’intero continente. Se gli osservatori più critici non mancano di sottolineare i ritardi ancora evidenti sul terreno delle conquiste democratiche – ma attenzione a voler misurare l’Africa con i nostri criteri di giudizio occidentali- ci pare di poter cogliere, anche su questo fronte, tanti piccoli segnali che possono preludere a possibili positivi sviluppi.Uno importante:la grazia recentemente concessa a due importanti oppositori, il cantante Kizito Mihigo, e la candidata alle presidenziali del 2010, Victoire Ingabire, condannati rispettivamente a 10 e 15 anni di carcere per "complotto e cospirazione contro il governo”. L’altro simbolico: l’abolizione, l’anno scorso, del visto d’entrata in Rwanda e, quest’anno, della compilazione di un questionario informativo su cosa si viene a fare, dove si alloggia, chi sono i referenti locali. Che la prossima sfida sia appunto quella di attivare un processo che porti a una dinamica di potere pienamente democratica, ne è cosciente lo stesso presidente, Paul Kagame, l’artefice del successo del Rwanda, spesso accusato di essere un dittatore. In una recente intervista al settimanale Jeune Afrique, dopo aver sottolineato i buoni risultati conseguiti in questi venticinque anni e aver richiamato i suoi ministri e amministratori “a fare ancora meglio”, Kagame non ha mancato di sottolineare come democrazia e crescita debbano marciare di pari passo, perché “non c'è democrazia se le condizioni socio-economiche non sono soddisfatte e le disuguaglianze sono troppo grandi. E non c'è crescita sostenibile senza lo stato di diritto”. Ecco quindi le prossime sfide che attendono il Rwanda se si vuole dare continuità al trend di crescita economica intrapresa: ridurre le disuguaglianze tra città e campagne e marciare decisi sulla strada che porta a uno stato di diritto, senza dimenticare la necessità di creare una classe politica che se ne faccia interprete.

lunedì 8 aprile 2019

Card Sarah su migrazioni, globalizzazione ed Europa

Card. Robert Sarah
Riprendiamo qui di seguito ampi stralci dell'articolo apparso ieri, a firma Antonio Socci, su Libero, riportante pensieri del card. Robert Sarah su argomenti di stretta attualità come migrazioni, gloablizzazione, Europa. I temi sono ripresi dall'intervista concessa dallo stesso cardinale a Valeurs Actuelles, in sede di presentazione del nuovo libro, appena uscito in Francia (in italiano arriverà a fine estate), che s' intitola Le soir approche et déjà le jour baisse, titolo che richiama il passo del Vangelo sui pellegrini di Emmaus.
"A chi si è addormentato con le chiacchiere monotone e "politicamente corrette" delle élite clericali che lisciano il pelo ai salotti delle ideologie dominanti, scrive Socci, il nuovo libro del card. Robert Sarah provocherà uno choc. È sulla linea del magistero di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II non solo sui temi dottrinali, ma anche sulle questioni sociali del presente.
Il cardinale africano giganteggia nella Chiesa attuale per la sua autorevolezza, la sua spiritualità, per il suo distacco dalle lotte curiali e per la sua coraggiosa voce di verità.  Specialmente sul tema dell' emigrazione lui, africano proveniente da un villaggio poverissimo, è totalmente controcorrente rispetto al clericalismo di sinistra.
Mette in guardia dalla «barbarie islamista» (come dalla barbarie materialista), appoggia i paesi di Visegrad che difendono le loro identità nazionali e boccia il Global Compact sulle migrazioni. Ormai - dice - «ci sono molti paesi che vanno in questa direzione e ciò dovrebbe indurci a riflettere. Tutti i migranti che arrivano in Europa vengono stipati, senza lavoro, senza dignità È questo ciò che vuole la Chiesa? La Chiesa non può collaborare con la nuova forma di schiavismo che è diventata la migrazione di massa. Se l' Occidente continua per questa via funesta esiste un grande rischio - a causa della denatalità - che esso scompaia, invaso dagli stranieri, come Roma fu invasa dai barbari. Parlo da africano. Il mio paese è in maggioranza musulmano. Credo di sapere di cosa parlo».
LE IDEE
Così, in un' intervista

È un grido d' allarme sulla Chiesa, sull'Europa e sulla sua Africa che ritiene danneggiata dall' ondata migratoria: «C' è una grande illusione che consiste nel far credere alla gente che i confini saranno aboliti.
Gli uomini si assumono rischi incredibili. Il prezzo da pagare è pesante. L' Occidente è presentato agli africani come il paradiso terrestre (). Ma come si può accettare che i paesi siano privati di così tanti loro figli?
Come si svilupperanno queste nazioni se così tanti loro lavoratori sceglieranno l' esilio?» Il prelato si chiede quali sono le strane organizzazioni «che attraversano l' Africa per spingere i giovani a fuggire promettendo loro una vita migliore in Europa? Perché la morte, la schiavitù e lo sfruttamento sono così spesso il vero risultato dei viaggi dei miei fratelli africani verso un eldorado sognato? Sono disgustato da queste storie. Le filiere mafiose dei trafficanti devono essere sradicate con la massima fermezza. Ma curiosamente restano del tutto impunite».

giovedì 4 aprile 2019

La Cina investirà 214 milioni di dollari nella nuova centrale Nyabarongo II

Nyabarongo I
Gli sforzi del Rwanda per ottenere l'accesso universale all'elettricità entro il 2024 hanno ricevuto una forte spinta dall’annuncio che la Cina SynoHydro investirà $ 214 milioni nella centrale idroelettrica di Nyabarongo-II. L'impianto da 43,5 MW dovrebbe essere operativo tra cinque anni. Secondo Energy Development Corporation Limited (EDCL), una volta completato, il progetto contribuirà a oltre l'11,5% dell'elettricità totale sulla rete nazionale, che nel 2014 dovrebbe avere una potenzialità di  400 MW. Attualmente circa il 42% delle famiglie ruandesi ha accesso all'elettricità, con il 31% collegato alla rete nazionale e l'11% ai sistemi off-grid. EDCL e SynoHydro Ltd hanno firmato un emendamento al loro accordo del 6 giugno 2018 sulla progettazione, fornitura, costruzione, installazione e messa in servizio dell'impianto.Oltre alla produzione di elettricità, la prevista diga multiuso sarà utilizzata per il controllo delle inondazioni e per alimentare i sistemi di irrigazione e bonifica dei terreni per attività agricole a valle. A regime la nuova centrale dovrebbe creare circa 900 opportunità di lavoro diretto e indiretto. La centrale Nyabarongo-II andrà ad affiancarsi al progetto idroelettrico Nyabarongo I, realizzato in collaborazione con l’indiana Angelique International Limited, costato 110 milioni di dollari e  con una capacità di 28 MW .

martedì 2 aprile 2019

L'ultima intervista del presidente Kagame a Jeune Afrique


Riprendiamo alcuni passaggi dell'ultima, ampia intervista concessa dal presidente Paul Kagame al settimanale Jeune Afrique.
Dal genocidio alle relazioni con la Francia, dalla disputa con l'Uganda e con il Burundi, fino alle elezioni presidenziali nella Repubblica Democratica del Congo, il capo dello stato non si è sottratto ad alcuna domanda, anche a quelle meno scontate, come quelle riguardanti la sorte di certi oppositori che, negli anni, sono stati oggetti di attentati, per alcuni anche mortali.
Dopo le recenti polemiche sorte in Italia in occasione del recente Congresso delle famiglie di Verona, ci pare interessante anche la risposta data da Kagame sulle politiche da tenersi nei confronti degli omosessuali oggetto di forti discriminazioni in certi Paesi africani. 
Ecco i passaggi interessanti.
Durante l'ultimo ritiro della leadership nazionale, svoltosi nel campo militare di Gabiro, lei ha menzionato alcune "debolezze" e alcuni "fallimenti" nell'esperienza ruandese. A cosa si riferiva?
Mi riferivo alla lentezza  nell'attuazione delle nostre politiche e dei nostri programmi. Dobbiamo andare più veloce di noi. Non ha senso essere soddisfatti dei nostri progressi e del nostro alto tasso di crescita: coloro che a tutti i livelli sono responsabili dell'attuazione degli obiettivi devono sapere che possono e devono fare molto meglio. Una crescita superiore al 7% nel 2018 è buona. Ma perché non l'8% o il 9% nel 2019?
Possiamo dire che il Ruanda è una democrazia inquadrata?
Il Ruanda è una democrazia. Una democrazia, inquadrata, se vuoi, da leggi e regole universali, ma la cui espressione e realizzazione ci appartengono.
La democrazia è una condizione o una conseguenza della crescita economica?
La democrazia è necessaria per la crescita e la crescita è importante per la democrazia. Non c'è democrazia se le condizioni socio-economiche non sono soddisfatte e le disuguaglianze sono troppo grandi. E non c'è crescita sostenibile senza lo stato di diritto.
Da ultimo ecco la risposta sugli omosessuali.
In Tanzania e in Uganda, la comunità omosessuale è discriminata e abusata anche con il sostegno delle più alte cariche dello stato. Lei è favorevole a una legislazione per difendere i loro diritti?
In Rwanda, l'omosessualità non è un crimine e i membri della comunità gay non vengono né arrestati né molestati né insultati. Quindi non è un problema per me o per i ruandesi. D'altra parte, voler legiferare su questo argomento a tutti i costi è il modo migliore per creare un problema in una società che ha avuto per secoli norme, valori e codici. Gli omosessuali esistono, sappiamo che esistono. La loro libertà non deve interferire con quella degli altri e viceversa. Fermiamoci lì.