"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


giovedì 27 settembre 2018

La nostra fuga dal Rwanda inseguiti dagli zombie


Rwanda, maggio 1994. Fausto Biloslavo e Gian Micalessin sono tra i pochissimi giornalisti occidentali a raccontare gli  ultimi giorni della guerra civile ruandese.A Kigali sono i testimoni di una storia che dieci anni dopo Hollywood trasformerà un film di successo. Una storia raccontata in Guerra, guerra, guerra (ed. Mondadori , il nuovo libro dei due reporter del Giornale.

La nostra fuga dal Rwanda inseguiti dagli zombie
Tra le mura e i giardini di un palazzone di cinque piani all'inizio del viale della Repubblica si nasconde un altro girone della disperazione. La scritta «Hotel des Milles Collines» all'entrata è sopravvissuta ai combattimenti. Più difficile è dire se riusciranno a sopravvivere ai machete i cinquecento rifugiati tutsi che hanno trovato rifugio nell'albergo un mese fa. Fino a oggi sono incredibilmente sfuggiti alle stragi. Sono giovani, donne, vecchi e bambini. S'aggirano muti e atterriti tra vetrate infrante e miasmi di escrementi ammassati tra camere atri, corridoi e sottoscala. Sono agnelli nella tana del lupo, ma devono la loro salvezza a Mbaye Diagne, un coraggioso e sempre sorridente capitano senegalese dei Caschi blu rimasto qui a difenderli con un pugno di uomini. Fin dai primi giorni dei massacri ha trasformato quest'hotel in un'oasi inviolabile bloccando ogni tentativo d'incursione dei massacratori. E nonostante le regole Onu impediscano di salvare i civili, lui non si tira mai indietro. Ogni qualvolta sa di un bambino o di una famiglia tutsi isolata, esce da solo con il suo fuoristrada per salvarli. Ora però è stanco, disilluso, preoccupato per il corso degli eventi. «Siamo sempre stati alla loro mercé, ma ora è peggio perché non hanno più nulla da perdere», sospira indicando i miliziani governativi davanti all'albergo. «Se vogliono entrare e farli fuori possono farlo quando vogliono. Siamo nel loro settore, e io e i miei uomini non siamo certo in grado d'impedirlo». Ma il primo a morire sarà proprio Mbaye. Due giorni dopo, mentre guida da solo come sempre per le strade di Kigali, un colpo di mortaio esplode dietro il suo fuoristrada ferendolo alla nuca e uccidendolo sul colpo.L'epicentro della disperazione è sulla cima della collinetta alla fine del viale della Rivoluzione. Qui sorgono i resti del Centro ospedaliero di Kigali, un ammasso di rovine tra cui vegetano malati e feriti e si decompongono i cadaveri. Dal 7 aprile è il palcoscenico di reciproci massacri. Incominciano gli hutu penetrando nelle corsie, prelevando i pazienti tutsi e massacrandoli nel piazzale antistante. Continuano i ribelli che, con la scusa di martellare una caserma adiacente, innaffiano di bombe l'edificio. Una settimana fa, in una notte di bombardamenti, sono morti sessanta pazienti. All'indomani i seicento militari feriti ancora in corsia sono stati evacuati a Gitarama mentre duecento pazienti si sono ritrovati abbandonati al loro destino. I "dimenticati", in gran parte civili dalle ferite sanguinanti e imputridite, sono riuniti in quello che un tempo era un giardino e ora è una via di mezzo tra un lazzaretto e un obitorio. Quando entriamo ci scambiano per medici della Croce Rossa internazionale ci chiedono disperati dove siano le ambulanze arrivate per portarli via. Io e Fausto ci guardiamo e non proferiamo parola. La scena è straziante. I feriti sono ammassati in lunghe file all'ombra degli alberi. Un giovane con una benda insanguinata sull'occhio vaga senza meta. Un anziano con la gamba amputata fissa il vuoto da una sedia a rotelle. Decine di altri feriti agonizzano sulle lettighe o accasciati sulla nuda terra in un concerto di gemiti e lamenti. Trincerato in una stanzetta devastata dell'ospedale, il direttore dell'ospedale Gabo Kanonanga riempie con i tre medici rimastigli i registri dei decessi. «La sala operatoria è inutilizzabile, una granata ha forato la parete mentre stavamo operando», racconta accompagnandoci tra le corsie invase da calcinacci e vetri infranti dove l'odore della morte sovrasta quello dei medicinali. «Non ho più né medicine né acqua né sale operatorie... posso soltanto annotare i decessi. Quando avrò finito deciderò se fuggire o restare qui a morire». Mentre il medico parla, una fila di zombi con stampelle e ferite aperte si avvicina, indica la nostra jeep parcheggiata poco distante. Io e Fausto capiamo. Quella macchina è la loro ultima speranza, per averla sarebbero pronti a tutto. Ci guardiamo stringiamo la mano a Gabo Kanonanga, corriamo verso il nostro fuoristrada e partiamo a tutta birra. Il corteo di zombie affacciato all'ingresso ci insulta e ci maledice.

mercoledì 26 settembre 2018

Lavori agricoli presso la comunità batwa di Kibali

Giornata di semina delle patate nella comunità batwa di Kibali. Dopo che il precedente raccolto era andato praticamente perso causa il maltempo, la nuova stagione di semina ha necessitato del sostegno dell'Ass. Kwizera che ha dovuto finanziare l'acquisto dei concimi e delle patate da semina. I lavori sono stati coordinati dalla sezione locale della Croce Rossa che ha coordinato gli aderenti alla cooperativa attiva presso la comunità.

sabato 15 settembre 2018

Kagame concede la grazia a Victoire Ingabire e Kizito Mihigo

Il cantante Kizito all'uscita dal carcere
Il presidente Paul Kagame ha concesso ieri, esercitando le proprie prerogative presidenziali, un'amnistia che ha comportato il rilascio anticipato a oltre 2.000 detenuti condannati per vari crimini.Tra i beneficiari ci sono anche il  musicista Kizito Mihigo ( la sua storia qui), che doveva scontare  una pena di 10 anni per l'accusa di cospirazione, e Victoire Ingabire ( la sua storia qui), che è in detenzione dal 2010 quando era rientrata in Rwanda per candidarsi alle elezioni presidenziali.
Plaudiamo al gesto presidenziale, un importante passo sulla strada di una completa riconciliazione, ricordando quanto auspicato nelle conclusioni del recente libro Aiutiamoli a casa loro Il modello Rwanda qui riportato.
L’ora dell’autocrate ragionevole
La signora Ingabire all'uscita dal carcere
 Un autocrate ragionevole e, per molti, illuminato quale può essere appunto definito Paul Kagame, forte della grande investitura e dell’oggettivo appoggio della stragrande maggioranza dei ruandesi, dovrebbe essere capace, in presenza di un potere ormai consolidato, anche di quei gesti di “benevolenza” che ne affinino l’immagine, soprattutto a livello internazionale, senza che possa essere messa a rischio la sicurezza interna in cui si trova a vivere il Paese. Un politico attento come il presidente ruandese dovrebbe essere capace di alcuni segnali di apertura, che lungi dall'apparire gesti di debolezza ne confermerebbero al contrario l'autorevolezza. Un passo in questa direzione potrebbe tradursi in un gesto di clemenza verso Victoria Ingabire, piuttosto che del famoso cantante Kizito Mihigo condannato a 10 anni di carcere essendo stato riconosciuto colpevole di "complotto contro il governo”. Un allentamento dei forti vincoli imposti ai media e alle voci della società civile e un’interruzione di certe pratiche, che portano alla scomparsa di oppositori più o meno famosi, non inficerebbero né la credibilità, né l’autorevolezza di un leader riconosciuto e consolidato. 

giovedì 13 settembre 2018

Aumentano gli impegni di investimenti esteri in Rwanda

Da  un rapporto del Rwanda Development Board (RDB) emerge  come lo scorso anno il totale degli investimenti realizzati nel Paese – inclusi quelli domestici – sia stato pari a 1,67 miliardi di dollari.Secondo i dati messi a disposizione dalla RDB, il flusso di investimenti esteri in Rwanda è cresciuto nel 2017 di oltre il 50% rispetto all’anno precedente, raggiungendo 1,157 miliardi di dollari.Il flusso di investimenti diretti esteri (FDI/IDE) ha superato, per la prima nel 2017, il miliardo di dollari, un livello superiore a quello di cui sono destinatari i ben più grandi  Kenya e Uganda. La provenienza degli investimenti esteri è illustrata nelle seguente tabella, dalla quale si ricava come l'apporto più significativo provenga dal Portogallo che ha finanziato i lavori di costruzione del nuovo aeroporto di Bugesera da parte della società portoghese Monta-Engil. Il progetto prevede il finanziamento, la costruzione, l'esercizio e la manutenzione dell'aeroporto per un periodo di 25 anni, con un'opzione di estensione di 15 anni.Altri settori destinatari degli investimenti esteri riguardano il comparto minerario, minerario (16%) ed energia (12,2%).
 I dati forniti dal RDB necessitano però di una spiegazione, alla luce dei dati diversi forniti dalla Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo (UNCTAD), che pubblica il World Investment Report, che  indica che gli afflussi di investimenti esteri diretti (IED) ammontavano a 366 milioni di dollari nel 2017 - un importo di circa 4,6 volte inferiore a quello fornito da RDB - contro 672 milioni in Kenya e 700 milioni in Uganda.Questa discrepanza è spiegata dal diverso approccio adottato dalle due istituzioni. Se i dati RDB contano gli impegni di investimento, quelli dell'organizzazione internazionale integrano solo i flussi di FDI effettivi. Potrebbe quindi esserci un ritardo, più o meno uno, prima che le somme sollevate dal RDB compaiano sulla scheda Unctad. Come sostenuto dall'OCSE, i FDI sono investimenti "motivati ​​dalla volontà di un'impresa residente in un'economia [...] di acquisire un interesse duraturo in un'impresa [...] residente di un'altra economia". Vi è un interesse duraturo, e quindi un investimento diretto, quando una società detiene almeno il 10% del capitale o dei diritti di voto di una società residente in un paese diverso dal proprio. Secondo il Fondo Monetario, "nostante gli sforzi del governo per attirare gli IDE, questi rimangono al di sotto del 3 per cento del PIL", pur in presenza dei continui miglioramenti del Rwanda nella classifica Doing Business, dove è salito dal 56 ° posto nel 2016 al 41 ° posto nel 2017.

giovedì 6 settembre 2018

Rwanda: per la prima volta l'opposizione entra in parlamento


In attesa di conoscere i risultati definitivi delle recenti elezioni per il rinnovo della Camera, che saranno resi noti solo nei prossimi giorni, va registrato il fatto nuovo: per la prima volta nella storia del Rwanda post 1994, due partiti che non fanno parte della coalizione al potere capeggiata dal FPR, il partito del presidente Kagame, hanno portato propri rappresentanti in parlamento. Il Green Party-Partito verde democratico del Rwanda e il Parti Social- PS-Imberakuri, due partiti che sono stati riconosciuti nel 2010, come prevede la legge, sono riusciti a superare la soglia di sbarramento del 5% e hanno eletto due deputati ciascuno nella Camera bassa del Parlamento. I due nuovi parlamentari del Green Party sarebbero Frank Habineza che è anche il presidente del partito e Jean Claude Ntezimana il segretario generale del partito. Per il PS-Imberakuri, dovrebbero risultare eletti: Christine Mukabunani 46, la presidentessa del partito e Jean Claude Ntezirembo.Parlando con The New Times, i leader di entrambe le parti hanno espresso entusiasmo affermando che, mentre si aspettavano di più, almeno sono riusciti a ottenere il 5% richiesto per ottenere seggi in parlamento. Il leader del Green Party,  Frank Habineza, che l'anno scorso aveva corso per la presidenza, ottenendo però un insignificante  0,5 per cento dei voti contro il presidente Paul Kagame ha sottolineato come "si sia in presenza di un passo verso la democrazia" , promettendo altresì che "alzeremo la voce come partito verso la continua democratizzazione del nostro Paese ".

martedì 4 settembre 2018

Avviati a Nyinawimana i lavori del nuovo monastero delle clarisse

La prima pietra

A distanza di circa un anno da quando per la prima volta si parlò di realizzare un nuovo monastero delle clarisse di Kamonyi sulla collina di Nyinawimana nelle diocesi di Byumba, il progetto, a suo tempo promosso con il titolo “Non di solo pane vive l’uomo”, sta prendendo corpo (vedi post precedenti cliccando qui). La prima pietra è stata posata e benedetta il 18 marzo scorso dal vescovo di Byumba, mons Servillien Nakazamita;  ora da poche settimane sono iniziati i lavori veri e propri che, come si vede dalla galleria fotografica, procedono speditamente.Il desiderio della comunità delle clarisse di Kamonyi, guidata da Madre M. Letizia Mukampabuka, subentrata dal 2015 alla fondatrice, l'italiana  suor Chiara Giuseppina Garbugli,  di realizzare un nuovo monastero  in aggiunta al vecchio monastero ormai non   più in grado di accogliere le giovani rwandesi che sempre più numerose chiedono di poter abbracciare la vita monastica, comincia così a trovare realizzazione. Sui terreni messi a disposizione dalla diocesi sulla collina di Nyinawimana, dove fino al 1994 era attiva una comunità di frati francescani, sorgerà inizialmente una struttura atta ad accogliere le prime  monache, una decina, che saranno chiamate, nel tempo, a dare vita a una  nuova comunità.Questa prima struttura, il cui costo è stato preventivato attorno ai 150 milioni di Frw, circa 150.000 euro, in futuro potrà diventare una sorta di foresteria per persone desiderose di momenti di raccoglimento e di preghiera.A sostegno dell’iniziativa, l’Ass.  Kwizera si era mossa per promuovere una raccolta fondi, nella convinzione che anche la missione contemplativa e di preghiera delle clarisse meritasse un convinto sostegno, al pari delle tante opere fin qui portate a termine in loco. A tal fine, l'Ass. Kwizera ha destinato al progetto una somma pari al 5% dei fondi destinati al Rwanda, nella  speranza che l’esempio  potesse essere seguito anche dalla tante associazioni italiane e straniere attive nella diocesi, in modo che il piccolo contributo di ognuno potesse consentire  una grande realizzazione. Perchè, come autorevolmente auspicato da un grande figlio dell'Africa, il card. Robert Sarah, "quasi tutte le organizzazioni caritative in Africa sono impegnate unilateralmente ed esclusivamente nella risoluzione delle situazioni di povertà materiale, ma l’uomo non vive di solo pane" bisogna quindi "incoraggiare a continuare a costruire chiese e seminari e a fornire aiuti per la formazione di sacerdoti, religiosi, religiose e  seminaristi”. 

lunedì 3 settembre 2018

Election day in Rwanda

Circa 7,1 milioni di ruandesi si recheranno oggi alle urne per rinnovare la Camera bassa composta di 80 eletti, di cui 27 espressione di gruppi di interesse speciale [Donne (24), Giovani (2) e Persone con disabilità (1)].Si contenderanno i seggi una coalizione di sette partiti guidati dal partito al potere dal 1994, il Fronte Patriottico del Rwanda, e i altri quattro partiti politici, vale a dire il Partito socialdemocratico (PSD), il Partito liberale (PL), il Partito verde democratico del Rwanda (DGPR) e il Partito sociale (PS) -Imberakuri, oltre a  quattro candidati indipendenti.Il sistema elettorale è proporzionale con soglia di sbarramento al 5%.La tornata odierna è stata preceduta ieri dalle votazioni dei ruandesi della dispora, che hanno votato in 115 seggi presso le varie rappresentanze ruandesi all'estero. Lo stesso  presidente Paul Kagame e la First Lady Jeannette Kagame, in Cina per la partecipazione al Forum sulla cooperazione Cina-Africa (FOCAC), hanno votato presso  l'ambasciata del Rwanda a Pechino.Le votazioni odierne hanno avuto un anticipo  ieri quando le persone portatrici di handicap hanno eletto come proprio rappresentante, Eugene Mussolini. Un cognome, ingombrante o impegnativo a seconda dei punti di vista, di cui francamente non sappiamo  come possa essere stato attribuito  49 anni fa a un bambino ruandese. Domani andranno a votare le donne e i giovani per eleggere i rappresentanti di loro pertinenza. Le operazioni di voto vedranno impegnati circa 75.000 volontari distribuiti sui quasi ventimila seggi elettorali in tutto il paese. Una commissione dell'Unione Africana vigilerà sulle operazioni di voto che comporteranno un costo di circa 5 milioni di euro.