A lettura ultimata del libro di Federico Rampini, La speranza africana, non possiamo nascondere una certa delusione. Si tratta sicuramente di un ottimo reportage giornalistico con un'apprezzabile visione geopolitica, con forse qualche ripresa di troppo di vecchie corrispondenze dell'autore.il contenuto tradisce però le attese create da un importante lancio editoriale e dalle numerose e intriganti presentazioni che ne aveva fatto l'autore, una delle quali ripresa nel precedente post. Infatti, dato atto all'autore del grande merito di aver demolito diversi luoghi comuni che nel tempo si sono venuti via via stratificando sull'Africa, a partire dal diffuso afropessimismo, e delle letture che ne fa il politicamente corretto occidentale, va detto che la "speranza" del titolo sembra concretizzarsi più nel successo di diversi artisti africani che non nelle realizzazioni statuali che nel tempo si sono via via affermate sul continente. Successi sbrigativamente trattati in un unico capitolo. Anche volendo attribuire al libro un taglio meramente giornalistico, ci sembrano francamente troppi i capitoli dedicati al Sud Africa che, pur dimensionalmente importante, non si può certo dire rappresenti uno spaccato significativo del continente data la sua storia del tutto particolare, seppur interessante, e meno che meno un esempio per gli altri paesi africani.Esempio che invece potrebbero rappresentare paesi come il Rwanda in cui le variabili che concorrono al successo di un paese, dalla governance alla gestione economica e sociale, sono adeguatamente declinate dalle locali classi dirigenti, una volta tanto non tacciabili di corruzione.Forse è di queste esperienze che può alimentarsi una reale speranza africana; speranza che sappia dare ai giovani africani reali prospettive per costruire una vita meritevole di essere vissuta nei rispettivi Paesi.
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