"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


martedì 6 luglio 2010

Buon viaggio Alberto

Ad Alberto che questa mattina è partito  per il Rwanda, per trascorrere un po' di tempo a Nyagahanga presso il Centro sociale A.G. dando una mano a Don Paolo, dedichiamo questa testimonianza di un altro Alberto, volontario dell'Ass. Granello di senape, che ieri mattina ci è stata segnalata da Google. L'esperienza del giovane  coetaneo, che tra i bambini e i giovani di Ruhengeri ha trovato ciò che cercava, probabilmente offre anche qualche risposta a taluni  interogativi che in questi momenti sorgono in chi parte. 
"Mi capita spesso di riflettere sui motivi che mi hanno spinto a venire in Rwanda e che mi legano a questo paese.A luglio 2007 fu la voglia di una nuova esperienza che non avrei immaginato si sarebbe protratta fino ad oggi e che mi avrebbe fatto cambiare opinione su tante situazioni e aspetti della vita sui quali, in Italia, non ho mai trovato il terreno giusto per una più profonda riflessione.A Ruhengeri, provincia Nord del paese, il progetto nel quale opero viene definito di sostegno agli orfani e ai ragazzi di strada; Sostegno…. : in Europa non mi sarei mai soffermato sul senso di questa parola ma, qui in Africa, fra tanta gente che te lo chiede continuamente, intorno a questo semplice termine ruotano tutta una serie di argomenti e punti interrogativi: perché sostenere, come farlo, è giusto farlo oppure si fa solo peggio…Oggi, penso che il sostegno non si possa definire semplicemente un atto di carità fine a se stesso, ma piuttosto un’azione che ha il preciso scopo di risvegliare un senso di fraternità e collaborazione nelle persone; sostengo te perché domani tu possa essere sostegno per qualcun altro.Spesso il rischio diventa quello che chi si trova ad essere aiutato, scopra questa condizione ideale a tal punto da rinunciare alla possibilità di camminare da solo e, ancor peggio, di credere che tale aiuto gli sia dovuto perché da solo non ce la potrà mai fare. È a questo punto che entra in gioco la dignità.Trovo che dignità non significhi essere indipendenti dagli altri, potercela fare da soli, ma avere la consapevolezza che, anche nelle condizione più miserabile, abbiamo sempre dentro di noi, qualcosa da dare agli altri e che ci rende unici.Il sostegno quindi deve essere un mezzo e non il fine, per raggiungere appunto l’obbiettivo finale e cioè permettere alla persone di riprendersi la propria dignità.Purtroppo, tante volte nel passato, ma come ancora oggi accade, chi opera in Africa a sostegno degli africani lo fa per autocompiacimento o per meri scopi economici (vedi il business degli aiuti umanitari) dando gratuitamente supporto materiale e nulla più. Se tale aiuto può essere considerato un compromesso accettabile in situazioni di effettiva emergenza, perde invece ogni valore in un contesto di sviluppo, come si dice esserlo quello Rwandese.
Lo sviluppo suona all’orecchio come qualcosa di positivo e in effetti penso lo si possa considerare tale nell’accezione integrale del termine, quindi non solo sviluppo economico e soprattutto sviluppo per tutti; dal mio punto di vista il Rwanda non risponde a questo più ampio concetto.Maturo sempre di più l’idea che i rwandesi non necessitino di aiuti materiali ma al contrario, di sostegno umano che li spinga ad aprirsi e a credere che le cose potrebbero andare meglio solo se si acquisisse il coraggio e la consapevolezza di partecipare al cambiamento.La gente ha bisogno di una spinta contro l’inerzia che deriva anche, ma non solo, dagli aiuti gratuiti. Il sostegno quindi deve avere un carattere contrattuale, nel senso che deve richiedere qualcosa in cambio.Aiutare orfani o ragazzi di strada, chiedendo di avere un ritorno?! Può sembrare strano o addirittura cinico, se non fosse per il fatto che si devono considerare due aspetti importanti; il primo, di principio, è proprio il fatto che tutti hanno qualcosa da dare agli altri e il secondo è che il qualcosa in cambio non è richiesto solo ai bambini ma, anche e soprattutto, alle persone che ne sono responsabili.Se esiste uno dei genitori, è proprio lui ad essere il primo responsabile del bambino e nel caso degli orfani totali è la famiglia, nell’accezione africana del termine e quindi la famiglia allargata, che se ne deve prendere carico.
Prendo come esempio l’intervento del GDS, l’associazione per la quale mi trovo in Rwanda.Per quanto riguarda i bisogni primari, periodicamente vengono svolte distribuzioni alimentari (un contributo in cibo che va a beneficiare sia il bambino che la sua famiglia), si costruiscono e si riparano case, si pagano spese mediche; In cambio di tutto ciò, le famiglie devono organizzarsi in piccoli gruppi e collaborare con lo scopo di trovare le risorse per rispondere da sole a questi bisogni.Esistono già risultati positivi di questo metodo d’intervento, per esempio l’associazione dei genitori nel villaggio di Nyakinama che ha permesso alle famiglie del progetto di accedere al microcredito, l’apertura di piccoli progetti generatori di reddito, la possibilità di pagare personalmente il cartellino della mutua indispensabile per beneficiare della sanità pubblica.Questi piccoli ma buoni risultati ci indicano che gli aiuti materiali, per rispondere ai bisogni primari, devono necessariamente e progressivamente diminuire, lasciando spazio ad un maggior coinvolgimento attivo dei beneficiari del progetto.Trovo che un discorso a parte possa essere fatto per l’educazione; non tanto per la scuola primaria ma piuttosto per la secondaria e l’università che hanno spesso costi proibitivi.Considerando che lo studente passa la maggior parte del suo tempo a scuola e che l’educazione gioca un grande ruolo nella formazione di questi giovani (gli uomini di domani), trovo sia inopportuno diminuire le spese in questo ambito di intervento.Il sostegno scolastico significa sgravare la famiglia che avrà la possibilità di dedicare maggiori risorse ai bisogni primari di cui parlavo prima, ed e allo stesso tempo è un investimento per un futuro in cui i giovani del progetto possano contribuire a rendere migliore il proprio paese.In cambio di questo aiuto lo studente deve dedicare una parte del suo tempo libero contribuendo alle attività del progetto. A Ruhengeri, per esempio, gli studenti della secondaria hanno creato un club che si incontra periodicamente durante le vacanze scolastiche e sono proprio questi ragazzi che diventano animatori dei bambini delle elementari durante i campi estivi, o che si organizzano per svolgere lavori comunitari socialmente utili.Tutti gli studenti, della primaria o della secondaria, devono in ogni caso ripagare l’aiuto ricevuto impegnandosi a scuola in modo da ottenere i migliori risultati possibili a fine anno.Ancora, per far si che il sostegno possa raggiungere l’obbiettivo finale (la dignità) oltre ad essere inteso in un’ottica contrattuale, deve trasformarsi sempre di più in un sostegno umano che sia aperto al maggior numero di persone possibile.Tutti i bambini, non solo i beneficiari diretti, devono avere la possibilità di partecipare ai campi estivi, tutte le persone che hanno voglia di impegnarsi dovrebbero avere accesso all’associazione dei genitori di Nyakinama.Sarebbe auspicabile che le persone aderissero al progetto spinte non dalla ricerca di benefici economici (e qui l’importanza della riduzione gli aiuti finanziari) ma bensì, dalla possibilità di guadagnare in termini di conoscenze, sviluppo e perché no, semplicemente gioia e divertimento.Per permettere il realizzarsi di tutti questi propositi la condizione necessaria è che il sostegno non sia improvvisato.Trovo che non sia più possibile sostenere un progetto, articolato e complesso come lo è quello in Rwanda, basandosi solamente sulla buona volontà delle persone.Il GDS deve accettare, sia in Italia che nei paesi in cui opera, il bisogno di maggiore professionalità, che nulla toglie alla passione e l’amore per i progetti ma al contrario si somma a queste componenti, per svilupparli e migliorarli; maggiore risorse, in termini di formazione nonché finanziari, devono essere dedicata alle persone che lavorano in prima linea nei progetti, senza le quali nessuno degli obbiettivi e delle modalità d’intervento sopra descritte, potrebbero essere realizzate.Molti giovani in cui credo, sono cresciuti anche grazie al sostegno del Granello ed è una gioia ritrovare in essi la passione e la voglia di cambiamento; le attività che mi piace di più vedere realizzarsi sono quelle dell’animazione, in cui i bambini e i ragazzi hanno la possibilità di divertirsi, come è giusto sia alla loro età, esprimersi, discutere sulla scuola, fare semplicemente amicizia.Questo mi riporta a pensare al motivo per il quale sono qui; all’inizio ho spiegato il perché sono venuto. Il perché sono ancora qui?…Semplicemente non so cosa ci possa essere di più entusiasmante se non far parte di tutto questo."
          Alberto, un volontario in Rwanda.

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