Il
numero odierno di Avvenire dedica due intere pagine la quattro e la cinque al ventennale della tragedia
rwandese. Oltre al discorso tenuto ieri
da Papa Francesco ai Prelati rwandesi in visita ad limina e un’analisi di Paolo
A. Alfieri sulla situazione dell’area dei Grandi Laghi, lo speciale dal titolo “Vent’anni dopo i massacri”, ospita, a
firma dell’inviato Claudio Monici, un
‘intervista con l’ex console onorario italiano del tempo, Antonio Costa, un
reportage dal sacrario di Nyamata e poi una rappresentazione
dell’odierno Rwanda, come se ne sono lette tante, che sembra uscita
dall’ufficio stampa della presidenza.Sotto un effluvio di cifre che dovrebbero
testimoniare i grandi progressi economico-sociali del paese ( che ci sono) non
si trova, infatti, traccia di quelle
contraddizioni che altri testimoni ( vedi post del 2 aprile), forse più attenti, ritengono emergere nel Rwanda
presieduto da Paul Kagame. Non serve certo a riequilibrare il quadro, il breve inciso
“certo, c’è anche un altro Rwanda specialmente se parliamo di diritti umani, di
libertà di informazione, di potere politico e diritti civili”, per giunta
attribuito a un interlocutore locale. Se fai un viaggio fino a Kigali dovresti
almeno cercare di dare qualche riscontro a un simile assist che il tuo
interlocutore ti offre. Particolarmente illuminante risulta invece l’editoriale
in cui, a pagina tre dello stesso numero di Avvenire, con il titolo ”Eredità
che pesa e che chiede memoria” padre Giulio Albanese ci aiuta a meglio
inquadrare il contesto storico in cui si colloca la tragedia rwandese e il
ventennio che ne è seguito che gli fa concludere come “forse mai come oggi, per onorare le
centinaia di migliaia di vittime, sarebbe auspicabile promuovere una rilettura
attenta di quanto avvenne, superando la tentazione “del manicheismo che vuole dividere
lo scenario tra buoni e cattivi, affermando la tesi dei vincitori, le truppe
del Fpr” riconoscendo anche “la trasversalità delle responsabilità all’interno
del Paese.” Senza inoltre dimenticare come “lungi dal voler legittimare i
crimini perpetrati in patria dai ribelli hutu che, costretti alla macchia in
territorio congolese, hanno spesso compiuto azioni malvagie in quella terra
straniera, sarebbe ingiusto misconoscere il ruolo altamente destabilizzante
ricoperto dal regime di Kigali nell’ex Zaire fino ai nostri tempi”.
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