"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


lunedì 28 aprile 2014

La lettura revisionista di un ricercatore francese sulla premeditazione del genocidio

Quanto accaduto dal 1990 al 1994 in Rwanda comincia ad essere oggetto, e lo sarà sempre di più da qui in avanti, di indagini specifiche da parte di ricercatori e storici che si sforzano di  darne  una lettura  che, sottraendosi ai condizionamenti della contingenza politica, collochi quanto accaduto in quel periodo in una prospettiva storica. Tali ricerche, quando si discostano dalle interpretazioni correnti, vengono spesso sbrigativamente e spregiativamente bollate, da chi non le condivide, come  revisioniste. Potrebbe essere questo il destino di un recente contributo critico di uno studioso dell'area dei Grandi Laghi, Serge Dupuis, pubblicato dalla  Fondazione francese Jean Jaures, che rivisita la vulgata ufficiale secondo cui  il genocidio dei tutsi rwandesi era previsto fin dal primo progrom alla fine degli anni cinquanta e preparato nel contesto di un'ideologia etnonazionalistica. Per sgomberare il campo da qualsiasi equivoco o possibile  accusa di negazionismo, Dupuis riconosce l'esistenza del genocidio dei tutsi collocandolo però temporalmente in una fase successiva al mese di aprile del 1994 e soprattutto non riscontrandone la premeditazione, in questo rifacendosi a quanto sentenziato dal Tribunale penale  internazionale per il Rwanda-TPIR che nelle sue sentenze di condanno degli imputati giudicati per genocidio, non ha mai riconosciuto la pianificazione del genocidio stesso.Per arrivare a queste conclusione il ricercatore parte dalla narrazione ufficiale che considera il genocidio come il culmine di un lungo processo dove il razzismo anti-tutsi affonda le radici nelle politiche messe in campo dai governi  Kayibanda prima e Habyarimana poi. Le dinamiche storiche vedrebbero da una parte il governo utilizzare l'offensiva del  RPF-Rwandan Patriotic Front come pretesto per compiere il genocidio, dall'altra l'azione del RPF come mossa preventiva per scongiurare la minaccia genocidaria.Secondo Serge Dupuis, che non condivide l'interpretazione che va per la maggiore a livello internazionale, il genocidio è il risultato del conflitto tra il RPF, mirante dichiaratamente alla conquista del potere, e il governo a sua volta impegnato nella difesa dello statu quo e nel mantenimento del potere stesso.In questa lotta per il potere, secondo lo studioso, il RPF, consapevole che l'offensiva avrebbe risvegliato  l'ideologia razzista, ha perseguito una strategia di violenza per spingere il regime ad attaccare i tutsi e quindi legittimare l'offensiva messa in atto. Il governo in carica, da parte sua, sentendosi minacciato dalla ribellione, per paura di perdere la propria egemonia, radicalizza la propria posizione perseguendo una politica di tensione fino al genocidio.Chi volesse approfondire gli argomenti addotti dal ricercatore francese a sostegno della propria tesi, che si colloca certo su un terreno  border line del revisionismo storico evitando  peraltro di sconfinare nel negazionismo, potrà leggere l'intero studio in francese, cliccando qui, e, all'esito,  cotestarne eventualmente la fondatezza.

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