Vatican Insider, il sito
de La Stampa che segue gli avvenimenti della Chiesa universale, sotto il titolo Rwanda,
a vent’anni dal genocidio. I missionari: l’ora del “mea culpa”, dedica una ricca analisi, a firma di Gerolamo Fazzini, a come
la stampa missionaria italiana si appresti a celebrare il ventesimo anniversario
della tragedia rwandese. Scrive Fazzini:“A vent’anni di distanza, le ferite sono
tutt’altro che rimarginate. Le domande di allora risuonano anche oggi in tutta
la loro gravità: com’è potuto accadere? Che Vangelo era stato annunciato in
Rwanda? E perché le divisioni etniche sono così profondamente penetrate anche
dentro la comunità cristiana? È pur vero che la
Chiesa cattolica pagò un prezzo altissimo, con circa trecento tra preti e suore
uccisi (compresi un arcivescovo e tre vescovi). Purtroppo, però, non va
dimenticato che altri uomini di Chiesa rwandesi si resero complici del
genocidio e alcuni di loro sono finiti sotto processo.” Vengono ricordati episodi di eroismo, come quello di padre Mario Falconi, settantenne,
bergamasco di origine, unico religioso italiano a essere stato nominato tra i
"Giusti del Rwanda" per aver salvato con grande coraggio oltre tremila persone. Padre Falconi, pur potendo rimpatriare con gli
elicotteri che avevano portato al sicuro gran parte degli occidentali presenti
in Rwanda, rimase nel paese. «Non potevo andarmene e abbandonare chi aveva riposto in me la
propria speranza di salvezza», ha detto a Credere, settimanale della
San Paolo. Uno spazio particolare
viene dedicato al dossier “Benvenuti a Tutsiland” che Nigrizia, come
preannunciato in un nostro precedente post, dedica all’avvenimento. «Il Fronte
patriottico rwandese e il capo supremo Paul Kagame hanno creato una trappola
totalitaria. Che sta in piedi perché troppi, anche nella Chiesa, si ostinano a
fingere di non vedere» scrive Nigrizia a firma Raffaello Zordan.Per proseguire
accusando l’attuale governo di sfruttare “i dividendi del genocidio”: «I padroni del
Rwanda stanno traendo dal genocidio del 1994
ogni vantaggio possibile. Il regime poggia letteralmente la propria autorità politica
e morale su quelle morti. Ha deciso che la storia ha segnato per sempre chi
sono i carnefici (tutti gli hutu) e chi le vittime (tutsi). Ma questa via della
riconciliazione a senso unico non porta evidentemente da nessuna parte». La sua denuncia di Nigrizia non è meno severa nei riguardi della
Chiesa: «Inutile cercare, tra chi governa la Chiesa, segnali di critica allo
‘status quo’. Sul bollettino n° 157 (3-7 marzo 2014), la Conferenza episcopale
rwandese, presieduta da monsignor Smaragde Mbonyintege, informa che i vescovi
hanno incontrato il segretario esecutivo della Commissione nazionale di verità
e riconciliazione, strumento del regime, il quale ha illustrato il programma
“Ndi umunyarwanda” (“Sono ruandese”). I vescovi, mentre ricordano che la Chiesa
ha come missione di cercare l’unità dei rwandesi, sottolineano che “la
metodologia della Chiesa non è la stessa di quella dello stato, ma la finalità
è identica e c’è dunque complementarietà”». Sferzante il commento del mensile dei comboniani: «Un
bell’inchino e riverenza a Kagame».
Secondo Nigrizia ci sono
sì associazioni «dove hutu e tutsi, insieme, si sostengono per costruire un
avvenire migliore. Ma anche in seno alla Chiesa sono minoranze». Situazione
confermata a Nigrizia da Guy Theunis, Padre bianco
belga, "ingiustamente accusato di genocidio e incarcerato" che dichiara senza
mezzi termini: «Nella Chiesa rwandese non si intravvede né prospettiva
pastorale reale, né un impegno chiaro per superare le divisioni. La Chiesa, le
Chiese sono divise tra hutu e tutsi. E finché non affronteranno la questione in
modo chiaro al loro interno, non potranno aiutare la popolazione». Una
divisione che si ritrova anche all’estero, dove le comunità rwandesi celebrano
insieme l’eucaristia e altre feste importanti, «ma gli hutu da una parte e i
tutsi dall’altra».
Anche il mensile
dei Saveriani, Missione Oggi – con un’acuminata analisi affidata Gabriele
Smussi, ex volontario Svi in Ruanda - è molto critico con il governo retto da
Kagame, imputandogli, tra l’altro, la responsabilità di aver eliminato, uno
dopo l’altro, i testimoni–chiave del genocidio e gli oppositori del regime.
Viene anche segnalato un
interessante pezzo che Pier Maria Mazzola, direttore editoriale della Emi, che nel blog “L’asterisco” dopo aver lamentato
l’assenza del punto di vista degli hutu moderati, segnala la vicenda del vescovo
rwandese, monsignor Augustin Misago, ingiustamente accusato di genocidio dal
presidente della Repubblica. Peccato che – ricorda Mazzola - «il marchio
mediatico è rimasto. Un’opera uscita successivamente, il citatissimo libro di
Philip Gourevitch, ha ‘dimenticato’” l’innocenza del prelato… E anche l’autore
di uno dei romanzi considerati più importanti sul genocidio, il senegalese Boubacar
Boris Diop, anni fa dichiarava nel corso di una conferenza in Italia, che ‘il
massacro di Murambi era stato voluto”’ dal vescovo di Gikongoro…»”.
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