Come rondini a primavera, ogni anno, puntualmente in questo periodo compare sulla
stampa rwandese il j’accuse contro la Chiesa cattolica per il ruolo recitato
durante i cento giorni del 1994.Questa volta è toccato al giornalista rwandese ma attivo in
Gran Bretagna, Vincent Gasana, cimentarsi, in un articolo
sull’edizione odierna de The New Times. L'esercizio è sempre il solito: accusare la
Chiesa cattolica rwandese, e solo quella e non anche le confessioni protestanti,
di tutti i peggiori misfatti possibili nella storia repubblicana del paese, a
partire dalla fine della monarchia, con il culmine della partecipazione di suoi
sacerdoti e suore nei massacri della primavera del 1994.
Secondo l’autore, la
Chiesa cattolica rwandese, ma anche il Vaticano, continuano a rifiutarsi di ammettere le proprie colpe e
chiedere conseguentemente perdono rifugiandosi dietro “la foglia di fico” che “non
può essere ritenuta responsabile per i crimini di singoli membri del suo clero”. Mentre
in realtà “la Chiesa è stata- secondo l’autore- l'istituzione più dominante nel paese,
onnipresente in ogni aspetto della vita ruandese” che ha “ esercitato potere e
influenza” lavorando “a braccetto dello
stato”.
Ecco, forse la chiave di lettura di questo periodico appello
alla Chiesa, perché ammetta le proprie colpe e al Papa perché vada in Rwanda a
chiedere perdono, (vedi vecchio post) non è tanto la giusta sete
di giustizia, che dovrebbe essere appagata dai processi e dalle conseguenti
condanne dei religiosi e delle religiose, tutti conosciuti e quindi perseguibili, che si sono personalmente macchiati di
orrendi delitti ( analoghi processi andrebbero, peraltro, riservati ai
vincitori della guerra civile autori dei delitti, trattati sbrigativamente dal
giornalista, perpretati contro popolazione civile e religiosi, compresi tre
vescovi) quanto piuttosto demolire il ruolo e “l’influenza” della Chiesa nella
società rwandese.
Nella storia dell’Occidente abbiamo assistito alla secolare contrapposizione
della Chiesa e delle realtà statuali maldisposte a vedere insidiato il loro potere
assoluto dalla presenza di soggetti, come la Chiesa appunto, portatori di valori morali aventi una qualche ascendenza sulle popolazioni civili. Da qui il tentativo di molti governanti di riportare
sotto il cappello dell’autorità civile anche l’autorità morale, di cui le cosiddette Chiese
nazionali ( specie in campo protestante) sono un esempio. La tentazione per l’autorità
politica, specie quella di paesi privi di una consolidata tradizione
democratica alle spalle, di ricondurre sotto la propria ala anche l’istituzione
religiosa è molto forte: ne è un esempio quello che succede in Cina dove avrebbe
diritto di cittadinanza la solo “Associazione patriottica
cattolica cinese”, strettamente sottoposta all’autorità governativa e
completamente sganciata dal Papa. Anche a Singapore, riconosciuto modello per il Rwanda, la
libertà di religione è limitata dalla Legge per l'Armonia Religiosa che
consente al governo di mettere al bando i culti ritenuti divisivi e capaci di
creare conflitti.
Quando si intima alla Chiesa rwandese di chiedere perdono riconoscendo
sue presunte colpe, è solo sete di giustizia o forse si intende innescare un processo il cui sbocco ultimo sia l'istituzione di una Chiesa nazionale rwandese, riprendendo antichi progetti, forse mai definitivamente riposti?