Domenica prossima a
Sondrio si terrà l’assemblea diocesana dell’Azione Cattolica dal titolo “Mille
volti un Volto” sul tema delle migrazioni. Su questo appuntamento abbiamo
inviato questa lettera al presidente della sezione parrocchiale del nostro
paese.
Carissimo,
sicuramente non mancherai all’assemblea diocesana incentrata sul problema
migratorio, con particolare riguardo all’accoglienza dei migranti. Al riguardo,
visto che nel programma si sollecitano testimonianze su esperienze di accoglienza
nelle parrocchie, vorrei offrirti uno spunto di riflessione che, se vorrai,
potrai portare all’attenzione degli associati. L’accoglienza di cui ti voglio
parlare è quella che bisognerebbe riservare anche a questo grido “Non fatevi ingannare dall’illusione di
lasciare i vostri Paesi alla ricerca di impieghi inesistenti in Europa e in
America” lanciato da Mons. Nicolas Djomo,Vescovo di Tshumbe e Presidente della
Conferenza Episcopale della Repubblica Democratica del Congo, nel discorso di
apertura della riunione della Gioventù Cattolica Panafricana che si tenuta a
Kinshasa dal 21 al 25 agosto 2015. “Utilizzate i vostri talenti e le altre
risorse a vostra disposizione per rinnovare e trasformare il nostro continente
e per la promozione della giustizia, della pace e della riconciliazione
durature in Africa…..Voi siete il tesoro dell’Africa. La Chiesa conta su di
voi, il vostro continente ha bisogno di voi” ha rimarcato il Vescovo.
Parole chiare, che non avendo avuto, purtroppo, modo di
leggere nè su Avvenire né sul nostro settimanale diocesano, saranno
sconosciute a te come alla gran
parte dei presenti all’assemblea e che vanno ad aggiungersi a precedenti prese
di posizione dell'episcopato africano in materia di migrazioni e che hanno
anticipato di qualche mese queste altre, che nel solco del magistero della
Chiesa, sono contenute nel Messaggio per l’ultima
Giornata Mondiale del migrante e del rifugiato di papa Francesco: "La Chiesa affianca tutti coloro
che si sforzano per difendere il diritto di ciascuno a vivere con dignita',
anzitutto esercitando il diritto a non emigrare per contribuire allo sviluppo
del Paese d'origine".
Queste parole sono incarnate nei volti delle persone che ho
incontrato in questi giorni in cui, con altri due volontari dell’Associazione
Kwizera, mi trovo per una breve missione di due settimane in Rwanda. Volti che,
come ci siamo più volte ripetuto in questi giorni anche con sacerdoti rwandesi,
non sono più quelli di una quindicina di anni fa, all’inizio delle nostre
attività associative in questo paese africane. Perché nel frattempo questo
paese, mettendo a frutto, con una gestione corretta, gli aiuti ricevuti da
istituzioni e privati, da cui peraltro si sta progressivamente affrancando, ha
orgogliosamente intrapreso un grande percorso per creare un’organizzazione
statuale e uno stato sociale idonei a creare le condizioni perché il diritto a
rimanere non sia un vuoto slogan, ma una reale alternativa, e la tentazione di
migrare non faccia breccia nei giovani rwandesi che, in effetti, non sono tra i
migranti che sbarcano dai barconi. Nonostante la riconosciuta abilità e gli
effettivi meriti della governance uscita dalla tragedia del 1994, credo che
l’attuale situazione del Rwanda, un’Africa in sedicesimo, si alimenti anche di
ragioni più profonde. Il Rwanda, in cui il Vangelo è arrivato all’inizio del
secolo scorso, è forse il paese africano con la maggiore percentuale di
cristiani ( cattolici e protestanti rappresentano circa il 90% della
popolazione) ed è anche il paese in cui l’annuncio evangelico portato dai
missionari, facendo breccia nell’originario animismo, è arrivato a permeare
l’intera società che ha saputo esprimere un clero locale ormai autosufficiente
e alimentare opere sociali ( scuole, centri di sanità ecc) che sono le salde
fondamenta su cui si è costruito il Rwanda a partire dall’indipendenza.
Concludo. Quale alternativa proponiamo a quel 99,7%, del miliardo e 150
milioni circa di africani che abitano il continente, che decide di esercitare
il proprio diritto a vivere dignitosamente nella propria terra d’origine?
Recidere le proprie radici per imbarcarsi in un viaggio
della speranza, a cui la migliore delle accoglienza nulla può garantire se non una poco onorevole sopravvivenza ai margini
della società occidentale, o aiutare gli altri paesi a mutuare, magari
migliorandolo ulteriormente, il modello del
Rwanda, traendo, la ove esiste, ispirazione e slancio da una cultura permeata
dall’annuncio evangelico?
E noi come possiamo porci di fronte alla sfida delle
migrazioni: aspettare sul bagnasciuga i nuovi arrivi in una pastorale
dell’accoglienza che sembra dimenticare chi quel mare non vuole attraversare, o
muoversi verso quelli che restano quaggiù, da dove ti scrivo, dove il tuo
predecessore alla presidenza dell’AC parrocchiale, Carlin Rodolfi, ha lasciato
il segno del fare azione cattolica, promuovendo la costruzione dell’asilo che
oggi porta il suo nome.
Tuo m.g.
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