Avevano tra i 4 mesi e i sei anni quando, nell’aprile del 1994, furono strappati dalla guerra civile in corso in Rwanda e portati in salvo a Castenedolo, in provincia di Brescia. Sono i 41 bambini, ora diventati giovani uomini e donne, che vivevano nell’orfanotrofio Santa Maria a Rilima (a 60 chilometri dalla capitale Kigali), sostenuto dalla Fondazione Tovini, da Medicus Mundi e dall’associazione Museke. La loro storia viene ricordata in questo articolo del Giornale di Brescia (clicca qui). I 41 orfani di Rilima si salvarono grazie all’iniziativa di un gruppo di bresciani, impegnati in Africa come volontari. Quando, dopo l’inizio dei massacri in seguito all’attentato all’aereo presidenziale, i miliziani armati si presentarono all’orfanotrofio agli 11 bresciani non restava che scappare, ma all’aeroporto i soldati belgi scortarono solo i cittadini europei. Solo l’insistenza dei volontari convinse il comandante belga a tornare all’orfanatrofio a riprendere e salvare anche i bambini.Il salvataggio viene così ricostruito nell’articolo. “Gli italiani tornarono in patria il 13 aprile e da quel momento scattò la mobilitazione. Il politico bresciano Mino Martinazzoli sollecitò il ministro della Difesa, Beniamino Andreatta, fino a che un primo gruppo di 21 piccoli ruandesi avvolti in coperte militari venne caricato su un aereo, che atterrò a Ciampino il 14 aprile 1994. Per portarli poi a Verona, vennero fatti sedere in braccio ai passeggeri di un volo civile. «Feci l’appello dal telefono di casa e venne diffuso con l’altoparlante in aeroporto - spiega don Roberto Lombardi, tra i protagonisti della vicenda e all’epoca responsabile della Pastorale universitaria -: non c’erano soldi per i biglietti dei bambini e per non pagare dovevano occupare il posto con un adulto. Ventuno passeggeri si fecero subito avanti».Gli altri 20 orfani arrivarono all’aeroporto di Ghedi alla mezzanotte del 15 aprile, trasportati con un Dc-9 dell’Aeronautica militare e poi riuniti con i compagni.” In una gara di solidarietà, che vide coinvolte quasi 200 persone e le istituzioni locali, gli orfani trovarono ospitalità nell’ex asilo di Castenedolo per quasi due anni. Dopo che l’Organizzazione internazionale per le migrazioni e la Croce Rossa confermarono l’impossibilità di far rientrare gli orfani in Rwanda, causa la precaria situazione esistente nel Paese, e nonostante l’insistenza delle autorità ruandesi per il loro rientro, la magistratura italiana dispose l'affidamento dei bambini a famiglie bresciane, che nella maggior parte dei casi poi li adottarono. Diciassette ruandesi restarono con famiglie di Castenedolo, gli altri furono adottati in provincia. Uno dei bambini è stato adottato da don Roberto Lombardi cofondatore dell’associazione Museke: un caso eccezionale, considerando la sua condizione di prete e di single. Nel 2001, l’ambasciatore ruandese a Bruxelles tornò a chiedere, in linea con le politiche governative in materia, il rimpatrio dei minori, ma il caso si chiuse ancora prima di aprirsi; il decreto di adozione fu ritenuto inappellabile stante che i bambini erano tutti ormai cittadini italiani e dalle indagini fatte in Rwanda non risultavano avere parenti stretti disponibili o in grado di provvedere al loro futuro. Oggi quei 41 bambini si ritrovano una volta all'anno: alcuni di loro sono laureati, altri hanno un lavoro stabile, altri sono ancora alla ricerca della loro strada, altri hanno costruito la loro famiglia. Tutti loro onorano la memoria del loro passato e delle loro origini e, nel periodo natalizio, siedono allo stesso tavolo per ricordare, insieme.
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