"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


lunedì 22 luglio 2013

Procede a rilento la chiusura degli orfanatrofi rwandesi

Come scivevamo in un nostro precedente post, le autorità rwandesi hanno in corso un progetto per arrivare alla chiusura degli orfanatrofi esistenti nel paese e per favorire  l’inserimento dei piccoli ospiti in nuclei familiari stabili. Il processo sta però procedendo un po’ a rilento, tanto che dopo un anno dall’avvio, solo tre dei 34 orfanatrofi esistenti nel paese sono stati chiusi e i 700 bambini ospiti hanno trovato una famiglia pronta ad accoglierli. I bambini sono stati avviati verso nuove famiglie, selezionate da un’equipe di esperti, attraverso tre modalità distinte: il reiserimento nella famiglia originaria,  l'adozione o la formula dell’affido fino a quando saranno in grado di badare a se stessi. Residuale rimane la possibilità dell’adozione internazionale. Nonostante questo iniziale sforzo, oltre 2.000 bambini sono ancora in attesa  che i loro genitori o  parenti ( circa il 70% degli ospiti si trovano in questa situazione) o semplicemente delle famiglie disponibili  li tolgano da queste strutture e li facciano crescere in un contesto familiare. In orfanatrofio si trovano non solo gli orfani in senso stretto, ma anche bambini orfani della sola madre con il padre che dichiara di avere difficoltà a crescere il bambino, piuttosto che il figlio abbandonato da qualche ragazza madre. Naturalmente un significativo numero di orfani finì in queste strutture all’indomani dei tragici fatti del 1994, ma che oggi, a quasi ventanni di distanza, dovrebbero ormai essere in grado di badare a se stessi. Per questo, superata quella emergenza, le autorità ritengono che gli orfanatrofi abbiano esaurito gran parte della loro originaria  ragion d’essere e vada quindi ripensata la loro mission, convertendo queste strutture  all’assistenza comunitaria dei bambini in senso lato. Nonstante le buone intenzioni delle autorità, le resistenze delle famiglie rwandesi a farsi carico di questi bambini sono ancora molte. Lo ha raccontato a The New Times l’amministratore del primo orfanatrofio rwandese, il Saint Noel di Nyundo, sorto nel lontano 1954 per iniziativa della diocesi cattolica, anche per ospitare  bambini provenienti da famiglie povere ma con entrambi i genitori.  Ancora oggi secondo l’amministratore, Augustin Twagira, l’orfanatrofio annovera, tra i 400 giovani ospiti, molti bambini i cui genitori hanno trovato più facile affidarli alla cura dell’istituzione sgravandosi delle spese per il loro sostentamento e per la loro istruzione. Per questo il processo di inserimento familiare dei bambini va a rilento perché, secondo quanto sostiene Twagira, “ i rwandesi non hanno pienamente abbracciato lo spirito di adottare bambini.' Nonostante queste difficoltà sono stati comunque 207 i bambini che dal dicembre scorso hanno lasciato l’orfanatrofio Saint Noel per rientrare nella propria famiglie o entrare in una nuova.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Per mia esperienza, in Rwanda è più comune l'affidamento.
L'adozione vera, con i doveri che comporta ed i diritti che acquisisce la persona adottata è piuttosto rara.
Direi che per la mentalità locale è una cosa incomprensibile legarsi ad un bambino sconosciuto senza poi poterlo "scaricare" se crescendo non soddisferà le aspettative dei genitori.
Io sono stato , diciamo, parte attiva in una adozione vera, con tanto di sentenza del tribunale : tutti, ma proprio tutti si sono dimostrati scettici, considerandola una operazione piuttosto rischiosa.


Io personalmente conosco solo tre istituti per orfani. Quello vicino alla Sacra Famiglia con le suore di Madre Teresa, quello di Gahanga che ospita bambini portatori di handicap e quello che si trova sulla collina prima di scendere a Gisenyi.
Pensare di chiudere questi istituti è follia.
Nessuno si sognerebbe di adottare o prendere in affidamento i bambini con gravi problemi che vi sono ospitati. E nemmeno credo sia possibile creare strutture pubbliche per ospitarli, per lo meno nel breve periodo.
E comunque non starebbero meglio di come stanno ora
Invito invece a visitare questi luoghi. Portare un aiuto con la certezza che non andrà sprecato. Per chi se la sente, anche dedicare un pó di tempo in volontariato.

mbg ha detto...

Grazie per la preziosa testimonianza di questo amico che ci segue dal Rwanda e che ci piacerebbe conoscere e magari incontrare alla prima occasione.