“Meno male che Cristo c’è - Vangelo, Sviluppo e Felicità dell'Uomo” di Padre Piero Gheddo ( ed. Lindau , Torino, 326 pp.€ 19) è una lettura particolarmente stimolante, soprattutto per chi è impegnato, nelle forme più diverse, a favore delle popolazioni dei paesi del sud del mondo. Per questo segnaliamo questa ampia recensione di Omar Ebrahime apparsa sul sito dell'Osservatorio internazionale Cardinal Van Thuan sulla Dottrina sociale della Chiesa, che offre un
assaggio dei temi trattati da Padre Gheddo, in particolare di quello centrale: la significativa capacità degli annunciatori del Vangelo a farsi anche promotori di sviluppo nei paesi di missione, forti del messaggio evangelico e di quei valori in esso contenuti che hanno ispirato in maniera positiva anche le dinamiche della società civile nel vecchio continente. Proprio questo assunto, ampiamente documentato dall'autore attraverso molteplici esempi attinti a tutte le latitudini del mondo, potrebbe suggerire più di una riflessione anche con riferimento alla realtà rwandese. A mero titolo di stimolo ne avanziamo qui alcune.
assaggio dei temi trattati da Padre Gheddo, in particolare di quello centrale: la significativa capacità degli annunciatori del Vangelo a farsi anche promotori di sviluppo nei paesi di missione, forti del messaggio evangelico e di quei valori in esso contenuti che hanno ispirato in maniera positiva anche le dinamiche della società civile nel vecchio continente. Proprio questo assunto, ampiamente documentato dall'autore attraverso molteplici esempi attinti a tutte le latitudini del mondo, potrebbe suggerire più di una riflessione anche con riferimento alla realtà rwandese. A mero titolo di stimolo ne avanziamo qui alcune.
In Rwanda tutto il clero è ormai locale, con una presenza di missionari praticamente nulla. I sacerdoti rwandesi, particolarmente numerosi, tanto che molti sono generosamente lasciati dai loro vescovi nei paesi europei ( a parte quelli costretti qui per altri motivi), esercitano con dignità e dedizione il loro ministero sacerdotale, vivendo il loro sacerdozio in maniera esemplare, con le dovute eccezioni derivanti anche dal grande numero di vocazioni e da una selezione qualche volta non particolarmente severa. Per il tiepido muzungu è sempre un momento rigenerante assistere alle loro sante messe. Non è però facile trovare tra questi bravi sacerdoti esempi di attivismo nel sociale della portata di quelli, illustrati nel libro, promossi dai missionari.Anche sacerdoti che hanno avuto l'occasione di completare la propria formazione sacerdotale in Europa, in Italia in particolare, quando tornano nel paese di origine, riassorbiti dalla realtà locale e dai modelli culturali originari, faticano a immettere nel circuito del confronto con i loro confratelli modelli nuovi d'impegno anche nella sfera sociale, coinvolgendo il laicato, sul terreno vocazionalmente suo proprio della vita civile, in progetti educativi, piuttosto che associativi e cooperativistici. Per assurdo i laici sembrano avere assunto ruoli anche di peso all'interno dell'organizzazione parrocchiale che faticano pero' a declinare anche nella vita civile, facendo mancare alla societa' quel lievito che ha storicamente portato diversi frutti in altri contesti. Le stesse numerose scuole di emanazione ecclesiale, dopo aver promosso, nella prima metà del secolo scorso, l'alfabetizzazione del paese e aver contribuito a formare la prima ossatura del ceto dirigente nazionale, sembrano aver esaurito l'originario spirito propulsivo con un affievolirsi delle proposte formative innovative, con l'encomiabile eccezione dei Piccoli seminari che hanno saputo ritagliarsi un ambito di eccellenza nel sistema scolastico rwandese, anche se alla ricerca di una ridefinizione della loro mission alla luce delle mutate condizioni socio-culturali. Lo stesso corpo docente delle medesime scuole, e in senso lato il ceto intelletuale d'ispirazione cattolica, fatica a concepire un proprio ruolo a favore della promozione umana della propria gente al di fuori del mero rapporto di lavoro o professionale. Sembra che la grande spinta propulsiva allo sviluppo dei primi missionari, i Padri Bianchi, affiancata da quella pioneristica del clero indigeno cresciuto alla scuola dei missionari stessi, si sia attenuata, verrebbe da dire con una categoria occidentale che è subentrato un certo imborghesimento tra chi dovrebbe farsene carico, tanto che non sembra azzardato sostenere che, con l'entrata nel nuovo millenio, in Rwanda si siano invertiti i ruoli storicamente affermatisi: ora si direbbe che è lo stato la parte più dinamica della società, dopo che per molti decenni del secolo scorso fu la Chiesa la vera protagonista dello sviluppo della società rwandese, declinando l'annuncio evangelico con quei principi e modelli che trovano nella Dottrina sociale della Chiesa concreta esplicitazione, anche se non sempre adeguatamente conosciuti, non solo dai laici.
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