Secondo una recente inchiesta dell’agenzia
Syfia, nelle nazioni dei grandi laghi, RD Congo, Rwanda e Burundi, l’approvigionamento idrico per la popolazione sta diventando un vero problema, pur con diversità
sostanziali tra i tre paesi.
Nella Repubblica Democratica del Congo,
secondo uno studio condotto nel 2011 da UNEP (United Nations Environment), 51
milioni di persone - tre quarti della popolazione - sono costretti a bere acqua non
potabile attinta da pozzi, fiumi e laghi inquinati. In Burundi, la metà della
popolazione non ha accesso all'acqua potabile e oltre l'80% delle malattie riscontrate nei
centri di salute sono legate al consumo di acqua non trattata. Tra il 1993 e il 2007, il Burundi, per esempio, ha perso metà
della sua capacità di produzione, mentre le esigenze di acqua potabile sono
triplicate in 20 anni. Le città si sono gonfiate in modo
sproporzionato, aumentando la loro popolazione ed espandensosi per chilometri, complicando maledettamente l’approvigionamento di acqua potabile. Per il Burundi attingere l'acqua al lago Tanganica diventa poi un rischio vero e proprio, visto l'altissimo livello di inquinamento delle sue acque, solcate quotidianamente da migliaia di imbarcazioni di pescatori che riversano nel lago i propri bisogni fisiologici.
Decisamente migliore è la situazione del Rwanda. Secondo le statistiche dell'Istituto
Nazionale di Statistica, il numero di rwandesi che hanno accesso all'acqua potabile è aumentato
dal 77% al 87% nel corso degli ultimi 5 anni. Ma se i sistemi di approvvigionamento
idrico esistono, moltissimi realizzati con i fondi degli aiuti internazionali, non tutti sono funzionanti. Il problema è imputabile, secondo le autorità locali, al
mancato coinvolgimento della popolazione locale nella realizzazione e nella gestione di queste
opere. In particolare viene evidenziata la mancata formazione di personale tecnico, in grado di riparare i guasti più semplici che dovessero crearsi, a cui affidare la manutenzione delle condotte o più semplicemente delle fontanelle
erogatrici,. Secondo
i responsabili delle comunità locali, il problema nasce anche dal fatto che la
gratuità dell’acqua non aiuta la responsabilizzazione degli utilizzatori
che difficilmente si prestano a
intervenire su impianti che non sentono come propri. Così si assiste a un fenomeno che farebbe
innorridire i nostri difensori
dell’acqua come bene pubblico; dove l'acqua è a pagamento la sua erogazione
avviene senza problemi. Infatti, dove le famiglie sono chiamate a pagare l’acqua nell’ordine di 200 FRW ($ 0,3) al mese, piuttosto che qualche franco alla tanica, si
trovano anche i fondi necessari per garantire un’assistenza adeguata per
l'erogazione dell'acqua potabile. Così ogni fontanella può godere di un custode pronto a
intervenire se il rubinetto ha qualche malfunzionamento e si trovano anche i fondi per formare dei tecnici locali addetti alla manutenzione delle condotte, senza dover aspettare per mesi l'intervento di un tecnico proveniente da Kigali. In un simile contesto generale, in tutti e tre i paesi, in particolare
nelle città, l'acqua è diventata un bene costoso per i consumatori, ma
redditizio per chi ne cura la vendita o il trasporto, tanto che intorno all'approvigionamento idrico si viene a creare una vera e propria economia alternativa, senza che ciò ingeneri scandalo nella popolazione, almeno in Rwanda.
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