"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


domenica 19 agosto 2012

Cambia il sentiment internazionale sul Rwanda

Non si sa quale sarà lo sbocco della nuova grave crisi che sta interessando  il Nord Kivu e che ha fatto negli ultimi tempi numerose vittime, dopo averne fatto diversi milioni nel passato,  come sostenuto in documenti ufficiali dell’Onu. Questa volta, oltre che sul campo, il confronto si sta effettuando in sede diplomatica tra accuse dell’Onu sulle intromissioni del Rwanda nelle questioni interne congolesi e le sdegnose smentite delle autorità di Kigali circa un  coinvolgimento ruandese nella crisi. Al di là delle schermaglie diplomatiche resta un fatto. Questa crisi ha mutato il sentiment internazionale nei confronti del Rwanda.Accompagnato nel post 94 da una generalizzata simpatia di tutti i paesi e istituzioni internazionali che hanno contribuito generosamente alla ricostruzione del paese appoggiando il nuovo corso ruandese con  comprensione, a volte con qualche condiscendenza di troppo, ed enfatizzando spesso i reali progressi messi a segno, il Rwanda si trova oggi a fare il conto con un clima internazionale totalmente mutato. Sembra che la comunità internazionale, in passato  mossa da un sotterraneo senso di colta per non aver saputo o voluto evitare l’eccidio del 1994,  non sia più disposta a riservare un occhio di riguardo, concedendo tutti gli sconti del caso, al presidente Paul Kagame. A fatica le agenzie di pubbliche relazioni ingaggiate da Kigali per curare l’immagine del paese riescono a tenere a bada la stampa internazionale. Rende bene l’idea di come sia cambiato il vento  il titolo, An isolated autocrat, con cui il quotidiano Financial Times  ha titolato un suo recente pezzo sul presidente rwandese; cosa impensabile fino a poche settimane fa. Purtroppo per i rwandesi non si tratta solo di aver perso il favore dei  media internazionali, ma molto più concretamente di essersi giocati milioni di dollari di aiuti internazionali, congelati da diversi paesi a seguito del ruolo, vero o presunto che sia, tenuto dal Rwanda nella crisi del Kivu.Hanno cominciato gli Usa tagliando, in maniera poco più che simbolica ma dando un chiaro avvertimento,  200.000 dollari di un aiuto per una scuola militare, hanno fatto seguito la GranBretagna che ha annunciato la sospensione di 25 dei 118 milioni  di dollari annuali previsti, l’Olanda con la sospensione di 5 milioni di euro di aiuti, seguite da altri paesi europei, compresa la Germania che ha congelato 21 milioni di euro e quindi la Svezia. La reazione di Kigali è stata immediata. Promosso ufficialmente dalla diaspora rwandese nel mondo è stato creato un fondo sovrano  denominato Agaciro Development Fund (AgDF),  Agaciro Development Fund (AgDF) con l’immediata apertura di tre conti sulle tre principali banche rwandesi su cui veicolare le donazioni che dovrebbero sopperire ai tagli dei partners internazionali. Una reazione d’orgoglio, la parola agaciro che compare nella denominazione del Fondo significa  valori e dignità,  che certo non attenua il duro colpo che l’immagine del Rwanda ha subito in questa crisi. Le autorità di Kigali, cui non manca certo la capacità di leggere i segni del mutato sentiment internazionale, dovranno correre ai ripari apportando le necessarie correzioni di rotta  alla propria politica nel Kivu e, forse, non solo a quella.

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