"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


domenica 12 gennaio 2014

Da Kigali pressing sul Papa per un gesto a favore delle vittime del genocidio


Nell'editoriale odierno de The Sunday Times, prendendo spunto dall'inizio delle celebrazioni del ventesimo anniversario del genocidio del 1994, si torna ad invocare un gesto del Papa  per le vittime.Dopo averlo auspicato all'indomani della nomina di Papa Francesco, a Kigali ci si chiede se non sia giunto il momento perché "il Vaticano per una volta, mettendo da parte il proprio orgoglio, faccia ciò che è giusto, assumendosi la responsabilità per non aver protetto il suo gregge".  In particolare, l'editorialista sottolinea che  " il coinvolgimento pesante nel genocidio da parte di alcuni membri del clero cattolico, in circostanze normali, avrebbe dovuto comportare una presa di posizione ufficiale del Vaticano che, purtroppo, non c'è stata... in quanto la linea ufficiale della Chiesa è che coloro che hanno preso parte alle uccisioni lo fecero come singoli e che quindi ne portano la responsabilità individualmente". Confidando sul cambiamento portato da Papa Francesco "che potrebbe portare la Chiesa nel bel mezzo di un pesante sconvolgimento ideologico", l'articolista conclude auspicando che il nuovo Papa dia, dopo venti anni, una risposta al grido delle vittime. Sull'argomento riprendiamo, senza naturalmente pretendere di saper che cosa Papa Francesco farà in proposito, le conclusioni d'un nostro precedente post uscito immediatamente dopo l'elezione di Papa Francesco, quando erano già state  anticipate queste richieste. 


"Naturalmente non sappiamo che cosa il nuovo Papa farà in proposito. Possiamo solo segnalare quanto fatto dal cardinal  Jorge Mario Bergoglio, primate d’Argentina, in un contesto che vedeva il suo popolo uscire da una situazione fortemente conflittuale e drammatica, con diverse analogie, seppur su scala diversa, con la tragedia rwandese, vissuta dal suo paese nel periodo della dittatura (1976-1983).
Parlando di quel periodo il cardinal Bergoglio, in una intervista del 2002 ripresa in “Francesco, un Papa dalla fine del mondo”, un instant book di Gianni Valente per le   edizioni Emi, afferma: «Siamo parte del nostro popolo. Partecipiamo con esso del peccato e della grazia. Possiamo annunciare la gratuità del dono di Dio solo se abbiamo sperimentato tale gratuità nel perdono dei nostri peccati. Nel 2000 la Chiesa argentina ha fatto, anche pubblicamente, un periodo di penitenza e di richiesta di perdono alla società, pure in riferimento agli anni della dittatura. Nessun settore della società argentina ha chiesto perdono allo stesso modo».
Mentre nel 2007, allorquando la giustizia argentina condannò  all’ergastolo un sacerdote dichiarato colpevole di sette omicidi e di altri crimini, il card Bergoglio, senza scomodare il Papa regnante, a nome della conferenza episcopale argentina firmò un documento in cui si diceva che “i passi che la giustizia compie nel chiarimento di questi fatti devono servire a rinnovare gli sforzi di tutti i cittadini nel cammino della riconciliazione e sono un appello ad allontanarci sia dall’impunità che dal rancore”. E ancora, “Se qualche membro della Chiesa, qualunque fosse la sua condizione, avesse avallato con il suo consiglio o la sua complicità qualcuno di questi fatti (la repressione violenta), avrebbe agito sotto la sua responsabilità personale, errando o peccando gravemente contro Dio, l’umanità e la sua coscienza”.

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