"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


giovedì 14 novembre 2013

Un possibile scoop -il Papa visiterà l’Uganda- offuscato da qualche pregiudizio


Ieri il sito di notizie L’Indro riportava, a firma del suo corrispondente da Kampala, Fulvio Beltrami, la notizia che dallo scorso settembre sono in atto intense attività diplomatiche tra Uganda e Vaticano per programmare un visita ufficiale di Papa Francesco nella Perla d’Africa nel 2014…. La visita sarebbe legata alla celebrazione dei Cinquantenario dei Martiri Ugandesi.” Peccato che la notizia, che se confermata sarebbe un piccolo scoop, venga svilita da una chiave di lettura un po’ troppo appiattita su logiche strettamente politiche, non propriamente nelle corde della Santa Sede, e da una serie di inesattezze che ne offuscano il valore. Partiamo da quei martiri ugandesi il cui cinquantenario della santificazione sarebbe alla base della visita. L’autore ne parla in questi termini  Nel 1886 22 preti cattolici tra cui il bisnonno dell’Arcivescovo Lwanga: Charles Lwanga furono uccisi per ordine del Re dei Buganda Kabaka Mwanga nella località di Namugongo divenuto ora un quartiere periferico di Kampala, la capitale. Il martirio fu causato dalla disobbedienza dei preti ugandesi di eseguire l’ordine del Re Mwanga di abbandonare la fede dei stranieri invasori. I 22 martiri furono uccisi tramite rito tradizionale e i loro corpi dati alle fiamme come segno di profondo disprezzo. Il massacro di Namugongo fu l’episodio più drammatico della resistenza del Regno Bukanda all’imposizione della nuova religione importata dal potere coloniale. Un opposizione inevitabile per il Re Kabaka Mwanga. Il messaggio evangelico minava direttamente la religione animista che autorizzava Mwanga a regnare sui sudditi. ” Per dare una lettura politica dell’uccisione, si trasformano in preti dei giovani e ragazzi cristiani al servizio presso la reggia che non vollero abiurare alla loro fede e soggiacere alle avances di carattere sessuale del re. (En passant non si capisce come, nel caso,  un prete potrebbe essere anche il bisnonno dell’attuale arcivescovo di Kampala). Con tale artifizio si fanno passare questi martiri ( leggi qui la loro storia) come degli strumenti  di “distruzione delle fedi locali e la sottomissione psicologica dei neri a favore delle potenze coloniale”, opera in cui primeggiò “la congregazione belga dei Padri Bianchi, che assunse col tempo elevato prestigio e potere.La congrezione, “ altamente razzista (basta comprendere il significato intrinseco del loro nome Padri e Bianchi)” come l’autore la definisce in un rimando a un suo vecchio pezzo,  non è belga, cioè contigua al paese colonizzatore della zona dei Grandi laghi, bensì fondata in Algeria dal francese mons. C.M.A. Lavigerie , arcivescovo di quella città,  e si chiama dei Padri Bianchi non perché muzungu, bensì per via della lunga tunica bianca  (gandura)  accompagnata dal mantello  bianco  (burnus), tipico elemento dell’abbigliamento maschile  dell’Africa del Nord. Dopo queste due macroscopiche inesattezze, strumentali a sostenere delle tesi preconcette, l’autore arricchisce il proprio pezzo di un’analisi storico-politica  della zona  dei Grandi Laghi, in cui sono frequenti le chiamate in causa della Chiesa, di cui ognuno, leggendo il pezzo, potrà farsi un'idea di come, a volte, si può offuscare uno scoop con qualche pregiudizio di troppo. 

Nessun commento: