L'antico feeling tra l'amministrazione americana e il presidente Paul Kagame sta vivendo in questo periodo forse i livelli più bassi, da quando nel 1990 gli Usa posero gli occhi su quel promettente ufficiale dell'esercito ugandese, impegnato nei corsi di addestramento a Fort Leavenworth in Kansas, che sarebbe divenuto poi il capo del FPR e quindi, successivamente, presidente del Rwanda. Negli ultimi tempi, il sostegno, senza se e senza ma, che gli USA hanno garantito, sempre e comunque in questo ventennio, al fidato alleato rwandese ha mostrato qualche incrinatura. Infatti, in questi mesi l'amministrazione Usa ha fatto pervenire a Kigali più di un segnale di non piena condivisione del ruolo che il Rwanda recita nella crisi del Kivu. In quest'ottica, potrebbe essere letto un fatto, all'apparenza secondario, ma che nel linguaggio della diplomazia potrebbe avere un certo significato.Ci riferiamo al comunicato rilasciato dall'ambasciata Usa a Kigali, il 14 novembre scorso. In esso ci si complimenta per il buon esito delle elezioni tenutesi il 16 settembre. Non contenti però di intervenire con due mesi di ritardo, nel comunicato si dice esplicitamente che gli osservatori Usa che hanno seguito le operazioni di voto, svoltesi in modo pacifico e ordinato, hanno evidenziato irregolarità potenzialmente in grado di minare l'integrità del voto. In particolare, ci si riferisce "alla presenza di funzionari locali e della sicurezza in ambienti elettorali, a voti multipli e a schede compilate da funzionari elettorali locali in assenza degli elettori". Dopo aver evidenziato che gli osservatori americani non sono stati ammessi ai seggi elettorali nelle fasi di spoglio e di conteggio dei voti, rendendo così impossibile la verifica dell'esattezza del conteggio finale, il comunicato conclude sottolineando che "in elezioni libere, eque e trasparenti, i candidati, i partiti politici, le organizzazioni della società civile e gli osservatori godono di pieno accesso al processo elettorale. Questo accesso è fondamentale anche per garantire che la volontà del popolo possa essere ascoltata".
Non propriamente un complimento.