"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


giovedì 29 novembre 2012

Kivu: l'inutile risoluzione dell'ONU

Il Consiglio  di sicurezza dell'ONU  ha approvato ieri una risoluzione sulla crisi del Kivu per chiedere ai ribelli dell'M23 di deporre le armi e denunciare ancora una volta l'"appoggio esterno" di cui beneficiano i miliziani, senza peraltro nominare il Rwanda. Naturalmente la risoluzione, che ha forse la finalità di ridare un minimo di immagine all'ONU dopo lo squallido spettacolo offerto dai suoi imbelli caschi blu che hanno assistito impassibili alla conquista di Goma da parte dei ribelli dell'M23,   non sortirà alcun effetto; i ribelli lasceranno Goma quando riterranno opportuno farlo, seguendo un calendario che molto probabilmente viene stilato a Kigali. E' inutile nascondersi dietro a un dito; l' agenda della crisi del Kivu è, nei fatti, dettata dal presidente rwandese, Paul Kagame, che deve solo decidere se  prendere tempo fino a gennaio, quando il Rwanda farà il suo ingresso nel Consiglio di sicurezza come membro non permanente o presentarsi a tale appuntamento con qualche novità  acquisita sul campo ( qualche scaramuccia di confine che offra il destro a una reazione non è poi così difficile da mettere in piedi). Di certo a questo punto, Kagame non rinuncerà tanto facilmente, anche grazie ai buoni uffici dei molti sostenitori internazionali su cui puo' contare, al suo disegno strategico di un grande Rwanda che recuperi una qualche forma di sovranità sull'area del Kivu, dove d'altronde  si trovano minoranze rwandesi bisognose di protezione ( giustificazione  che ha precedenti storici non propriamente positivi) e soprattutto ricchezze minerarie da sfruttare.
In caso di risoluzione per via diplomatica della crisi del Kivu una delle strade più facilmente percorribili, di fronte anche alla palese incapacità dle governo congolese di far valere la propria autorità sul territorio, potrebbe essere quella ipotizzata nella lettera aperta al prof. Prodi, oggetto di un nostro precedente post.

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