Da The New Times |
"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI
venerdì 30 novembre 2012
Censimento 2012: i rwandesi sono 10.537.222
giovedì 29 novembre 2012
Kivu: l'inutile risoluzione dell'ONU
Il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha approvato ieri una risoluzione sulla crisi del Kivu per chiedere ai ribelli dell'M23 di deporre le armi e denunciare ancora una volta l'"appoggio esterno" di cui beneficiano i miliziani, senza peraltro nominare il Rwanda. Naturalmente la risoluzione, che ha forse la finalità di ridare un minimo di immagine all'ONU dopo lo squallido spettacolo offerto dai suoi imbelli caschi blu che hanno assistito impassibili alla conquista di Goma da parte dei ribelli dell'M23, non sortirà alcun effetto; i ribelli lasceranno Goma quando riterranno opportuno farlo, seguendo un calendario che molto probabilmente viene stilato a Kigali. E' inutile nascondersi dietro a un dito; l' agenda della crisi del Kivu è, nei fatti, dettata dal presidente rwandese, Paul Kagame, che deve solo decidere se prendere tempo fino a gennaio, quando il Rwanda farà il suo ingresso nel Consiglio di sicurezza come membro non permanente o presentarsi a tale appuntamento con qualche novità acquisita sul campo ( qualche scaramuccia di confine che offra il destro a una reazione non è poi così difficile da mettere in piedi). Di certo a questo punto, Kagame non rinuncerà tanto facilmente, anche grazie ai buoni uffici dei molti sostenitori internazionali su cui puo' contare, al suo disegno strategico di un grande Rwanda che recuperi una qualche forma di sovranità sull'area del Kivu, dove d'altronde si trovano minoranze rwandesi bisognose di protezione ( giustificazione che ha precedenti storici non propriamente positivi) e soprattutto ricchezze minerarie da sfruttare.
In caso di risoluzione per via diplomatica della crisi del Kivu una delle strade più facilmente percorribili, di fronte anche alla palese incapacità dle governo congolese di far valere la propria autorità sul territorio, potrebbe essere quella ipotizzata nella lettera aperta al prof. Prodi, oggetto di un nostro precedente post.
lunedì 26 novembre 2012
Lettera pastorale dei vescovi rwandesi per l'Anno della Fede
Dalla Radio Vaticana. Un’esortazione a vivere una vita cristiana basata sulla vera fede: è questo, in sintesi, il contenuto della Lettera pastorale che la Conferenza episcopale del Rwanda ha diffuso in occasione dell’Anno della fede. La missiva sarà letta ufficialmente in tutte le Chiese del Paese il prossimo 2 dicembre, prima domenica di Avvento e data scelta dalle Conferenze episcopali dell’Africa Centrale come Giornata di preghiera per la pace nella regione dei Grandi Laghi. Dopo un’introduzione che ricorda il perché dell’Anno della fede, indetto da Benedetto XVI per celebrare i 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, la lettera pastorale esorta i cattolici a ravvivare la propria fede, a purificarla e proclamarla, affinché i prossimi mesi “diventino una bella occasione per confermarsi nella vita cristiana attraverso una vera conversione”. Dal punto di vista strutturale, il documento dei presuli è suddiviso in tre capitoli: il primo è dedicato al significato della fede cristiana, il secondo ai problemi che contrastano la fede stessa ed il terzo alle direttive specifiche che i vescovi offrono ai cattolici per l’Anno della fede. “Per i cristiani – si legge nella lettera – la fede è una virtù teologale che ci fa credere fermamente in Dio”. Di qui, l’invito dei presuli affinché i fedeli innanzitutto approfondiscano “i dogmi di fede contenuti nel Credo che sintetizza ciò che Gesù ha rivelato attraverso la sua Chiesa” e quindi “li credano e li vivano con convinzione, poiché essi costituiscono uno dei tratti caratteristici dei cristiani cattolici”. Riguardo ai problemi che contrastano la fede, inoltre, i vescovi ne rilevano numerosi, come “l’ateismo professato da alcune persone limitate dai progressi scientifici, tecnologici ed economici; le ideologie che combattono Cristo e la Chiesa con le armi e le idee distruttive o che si oppongono alla natura umana creata ad immagine e somiglianza di Dio, la quale deve, invece, essere rispettata dal concepimento fino alla morte naturale; o, ancora, le ideologie che vogliono distruggere la famiglia basata sull’unione tra uomo e donna o che vogliono condurre ad una vita senza Dio”. Quindi, la lettera pastorale offre alcune direttive per l’Anno della fede, tra cui l’invito ad accostarsi più frequentemente ai sacramenti, a studiare meglio i documenti del Concilio Vaticano II, a vivere maggiormente la fede all’interno del matrimonio e della famiglia, a promuovere la giustizia e la pace, eliminando tutte le cause dell’odio e della violenza legate alle etnie. Infine, la Chiesa del Rwanda esorta i fedeli a fare un pellegrinaggio a Kibeho, luogo delle apparizioni della Vergine Maria.
domenica 25 novembre 2012
La crisi del Kivu vista dalla stampa italiana
I fatti del Kivu hanno avuto scarsa rilevanza sulla stampa italiana che ha dedicato alla grave crisi qualche breve nella pagina degli esteri.Encomiabile eccezione hanno fatto La Stampa e Avvenire che, nell'edizione di ieri, hanno dedicato due pezzi che aiutano a districarsi nell'ingarbugliata e tragica vicenda del Congo con i ben noti risvolti che coinvolgono anche il Rwanda. I due contributi possono essere letti cliccando qui sotto.
Congo, quella sporca guerra del coltan di Domenico Quirico
Oro, Cina e mire espansionistiche L'intricata e tragica matassa del Congo di Giulio Albanese
Congo, quella sporca guerra del coltan di Domenico Quirico
Oro, Cina e mire espansionistiche L'intricata e tragica matassa del Congo di Giulio Albanese
venerdì 23 novembre 2012
martedì 20 novembre 2012
Goma è caduta in mano ai ribelli sotto gli occhi dei caschi blu dell'ONU
L'ANSA ha appena battuto la notizia che i ribelli del movimento congolese M23 sono entrati nella città di Goma e hanno preso il controllo di due posti di frontiera con il Rwanda all'altezza della città di Gisenyi. I guerriglieri sono stati visti marciare a piedi attraverso Goma dopo giorni di scontri con le truppe regolari congolesi.
L'ANSA riferisce altresì che i caschi blu dell'Onu hanno rinunciato a difendere la città.
Qualche fonte riferisce che un certo numero di questi caschi blu che secondo il segretario dell'Onu avrebbero dovuto difendere la popolazione si siano imbarcati su voli per Entebbe in Uganda.Speriamo che in città non si inneschino le vendette che solitamente fanno seguito a questi cambi di potere: sarebbe l'ennesima colpevole défaillance dell'ONU.
Qualche fonte riferisce che un certo numero di questi caschi blu che secondo il segretario dell'Onu avrebbero dovuto difendere la popolazione si siano imbarcati su voli per Entebbe in Uganda.Speriamo che in città non si inneschino le vendette che solitamente fanno seguito a questi cambi di potere: sarebbe l'ennesima colpevole défaillance dell'ONU.
La crisi del Kivu al dunque, nel disinteresse generale
Osservatori ONU a Goma ( da Jeune Afrique) |
Mentre l'attenzione internazionale è concentrata sulla crisi israelo-palestinese, con un timing perfetto i protagonisti della crisi del Kivu stanno concretizzando le loro strategie. La città di Goma è ormai prossima a cadere nelle mani dei ribelli del gruppo M23, sostenuto dai paesi vicini, dopo essere stata abbandonata da gran parte dei responsabili civili e militari.Nel disinteresse generale, si sta consumando lentamente l'agonia di una popolazione allo stremo alla cui tutela dovrebbero provvedere, secondo quanto assicurato dal segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon, circa 6.700 caschi blu degli oltre 20.000 che formano la forza di pace dell'ONU dislocata in Congo.Speriamo che non siano, come successo troppe volte, solo osservatori passivi di una tragedia dai contorni difficilmente ipotizzabili.
domenica 18 novembre 2012
Scatta il quarto tour del Rwanda
Oggi prende inizio con una cronoprologo a Kigali il quarto tour ciclistico del Rwanda che durerà otto giorni, articolato su altrettante tappe per complessivi 890, 3 km e 16.218 metri
di dislivello. Sono iscritte 12 squadre di sei corridori ciascuna per un totale 66 concorrenti, fra cui anche un italiano.
La corsa sarà seguita da La Gazzetta dello sport con un proprio inviato, Marco Pastonesi, che alla corsa rwandese ha già dedicato due interessanti storie, tutte da leggere, sul proprio blog, Pane e Gazzetta. Ve le proponiamo:
Walt Disney, 45 bici da corsa e il Ruanda
Kwizera, Ibrahim e il Tour of Rwanda
La corsa sarà seguita da La Gazzetta dello sport con un proprio inviato, Marco Pastonesi, che alla corsa rwandese ha già dedicato due interessanti storie, tutte da leggere, sul proprio blog, Pane e Gazzetta. Ve le proponiamo:
Walt Disney, 45 bici da corsa e il Ruanda
Kwizera, Ibrahim e il Tour of Rwanda
venerdì 16 novembre 2012
Smentita l'adesione della Chiesa cattolica rwandese alla lettera contro l'ONU
In merito alla notizia contenuta nel post Crisi del Kivu: diversi i giudizi dei leaders religiosi rwandesi e congolesi , il Segretario Generale della Conferenza Episcopale del Rwanda, Padre Célestin Hakizimana ha smentito, con una lettera al quotidiano cattolico francese La Croix, che la Chiesa Cattolica rwandese sia tra i sottoscrittori del messaggio inviato al segretario generale delle Nazioni Unite per contestare la credibilità di un rapporto dell'ONU sul coinvolgimento del Rwanda nella crisi del Kivu.
Evidentemente eravamo in presenza di un classico caso di disinformazione.
Si riuniscono a Kigali i giovani del Pellegrinaggio di Taizè
Ha preso il via mercoledì a Kigali il “Pellegrinaggio di fiducia sulla terra”.
La capitale rwandese, fino al 18 novembre, ospiterà le diverse migliaia di
partecipanti, soprattutto giovani, all’ennesima tappa di quello speciale
itinerario di fede ideato da frère Roger, fondatore della Comunità di Taizé.
Oltre che dallo stesso Rwanda, numerosissime adesioni sono giunte dagli altri
Paesi dell’Africa orientale. Ma sono giunti anche giovani dal Sud Africa, dal
Madagascar, dal Sudan, dallo Zambia, dal Malawi, dalla Repubblica Democratica
del Congo e rappresentanze anche da Europa, America e Asia. Scopo dell’incontro
— spiegano gli organizzatori — è quello «di celebrare Cristo, di andare tutti
insieme alle sorgenti della fiducia e di rinnovare l’impegno nella Chiesa e
nella società». Soprattutto, però, sarà «l’occasione per i giovani della regione
dei Grandi Laghi, dell’Africa orientale e non solo, per vivere un’esperienza di
comunione, di condivisione e di riflessione nella vita cristiana in un contesto
internazionale e multiculturale, per mostrare il loro impegno per Cristo e nella
Chiesa e la loro capacità di intraprendere iniziative concrete per costruire la
fiducia e la pace nelle loro comunità e nella loro regione». Dopo il genocidio
del 1994, in cui morirono non meno di ottocentomila persone, i rwandesi hanno
compiuto sforzi enormi per la ricostruzione e lo sviluppo del loro Paese.
Partecipare all’incontro di Kigali sarà dunque anche un segno di fiducia nella
riscossa di un intera nazione. «Non andiamo in Rwanda per commentare o giudicare
il passato, con discussioni senza fine — spiegano ancora i responsabili della
Comunità di Taizé, citati dall’Osservatore Romano — ma per metterci all’ascolto
di coloro che ci accolgono e per rafforzare la nostra determinazione e la nostra
volontà a impegnarci nella nostra vita. Insieme potremo meditare sulla sorgente
della nostra fede, il mistero della morte e risurrezione di Cristo, del suo
amore che è più forte del male e della violenza. Incontrare chi ha vissuto il
dramma del genocidio del 1994 e le sue conseguenze, coloro che hanno
attraversato la sofferenza dura, quelli che hanno lottato per anni per trovare
la pace e la libertà del cuore e possono ora affrontare la sfida della
riconciliazione nelle loro comunità e partecipare alla costruzione del loro
Paese, sarà un regalo unico e un’esperienza di Vangelo”. (Radio Vaticana)
giovedì 15 novembre 2012
Olio di jatropha: scoperta la sua efficacia quale repellente delle zanzare
I nostri quattro lettori si saranno accorti che
da un po’ di tempo non parliamo della pianta della jatropha e della sua
coltivazione in Rwanda con la finalità di ottenere dai suoi semi olio adatto a
un utilizzo come biodisel (vedi post precedenti). Il motivo è molto semplic; da quando sta prendendo
campo in Rwanda l’adozione di impianti di biogaz che producono, dalla fermentazione di materiale
organico, gas metano per l’utilizzo domestico, come combustibile al posto della
legna e come alimentatore di lampade a gas, ma anche come carburante per elettrogeneratori,
si è trovata un’ottima fonte alternativa Tuttavia, una notizia di questi giorni
rilancia un possibile interesse ruandese all’jatropha. Infatti, un gruppo di
ricercatori del Dipartimento dell’Agricoltura USA, prendendo spunto dall’uso
indiano di accendere lanterne alimentate da olio di jatropha per allontanare le
zanzare all’imbrunire, hanno deciso di analizzare
se effettivamente questo olio vegetale avesse una particolare efficacia nello
scoraggiare gli insetti ad aggredire in prima battuta, le piante. Analizzando
il contenuto dell’olio di jatropha i ricercatori sono giunti alla conclusione
che i suoi componenti, acidi grassi liberi e i trigliceridi, siano particolarmente efficaci
nell’allontanare le zanzare. Da qui al creare un prodotto a base di olio di
jatropha per creare un prodotto che respinga le zanzare il passo non dovrebbe
essere lungo, pervenendo all’individuazione di uno strumento di prevenzione
della malaria.
lunedì 12 novembre 2012
Crisi del Kivu: diversi i giudizi dei leaders religiosi rwandesi e congolesi
La crisi del Kivu, oltre ad aver prodotto migliaia di vittime civili a causa degli scontri fra gli opposti gruppi che si
contendono il territorio e aver creato un clima di forte tensione tra i paesi
confinanti, rischia ora di innescare un pericoloso focolaio di
polemica e contrasto anche a livello religioso. E' di ieri la notizia, apparsa sulla stampa rwandese, che i responsabili religiosi delle varie
confessioni presenti in Rwanda - cattolici, protestanti e mussulmani - hanno
sottoscritto un documento indirizzato al segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon, per rigettare le conclusioni del rapporto degli esperti onusiani che
accusano il governo rwandese di sostenere i ribelli del M23 nel Kivu.Nel
documento interconfessionale vengono messe in dubbio l'integrità degli esperti
che hanno redatto il rapporto, la metodologia impiegata e le conclusioni che
sarebbero basate su prove insufficienti, oltre a sottolineare il fatto che si
sia proceduto alla stesura del rapporto senza ascoltare la difesa delle
autorità rwandesi.Per questo, i responsabili religiosi chiedono che l'ONU abbia
l'umiltà e il coraggio di ritirare il documento, prendendo le distanze da
quanto scritto dagli esperti, fino a quando non sia stata accertata la verità.
Una posizione, quella dei responsabili religiosi, che riprende pari pari la
posizione ufficiale del governo rwandese, ma che li mette in chiara
contrapposizione con i confratelli congolesi delle rispettive confessioni.Infatti,
il 12 luglio scorso, anche i responsabili religiosi delle diverse coffessioni
presenti in Congo avevano indirizzato un documento comune al segretario Ban Ki-moon e al Consiglio di sicurezza intitolato «Il popolo congolese esige la
repressione dei crimini commessi dal Rwanda nella RDC". Nel
documento,molto duro ed esplicito, i leader religiosi evidenziavano come, nel
corso degli ultimi due decenni, vi siano state in Congo numerose violazioni dei
diritti umani, migliaia di donne violentate e più di sei milioni di congolesi
che hanno perso la vita. Questi crimini, si legge nella petizione, continuano
ad essere perpetrati ancora oggi dai ribelli del gruppo M23 con la complicità
del Rwanda. Il documento interconfessionale era stato preceduto da una presa di
posizione dei vescovi cattolici congolesi così riassunta dall'Agenzia Fides del
10 luglio 2012 " i vescovi denunciano “l’occupazione irregolare del
nostro territorio”, e riaffermano l’unità del Paese secondo le frontiere
stabilite nel 1960, anno dell’indipendenza nazionale. “L’integrità del
territorio nazionale non è negoziabile” affermano i presuli. I Vescovi invitano
i responsabili politici e i cittadini congolesi ad un “sussulto patriottico per
non essere complici di questo macabro piano di disintegrazione e di occupazione
territoriale del nostro Paese”.La Conferenza Episcopale Congolese (CENCO) si
rivolge a tutti i congolesi in patria e all’estero, perché si mobilitino per
bloccare il piano di divisione del Paese. A questo fine la CENCO intende
promuovere “azioni concomitanti in tutte le parrocchie della RDC e nelle
cappellanie dei congolesi all’estero, per esprimere il nostro rifiuto
categorico a questo piano e implorare la grazia della pace”. A questo
documento facevano seguito altre prese di posizione molto esplicite dei vescovi
cattolici congolesi, anche in mezzo alla gente del Kivu.
Speriamo che i vescovi congolesi e rwandesi che si ritroveranno all'incontro dei vescovi africani che si terrà a Kinshasa, capitale del Congo, dal 20 al 22 novembre p.v. per dibattere su "L'identità e la Missione di carità alla luce dell'enciclica Deus Caritas est", colgano l'occasione per sgomberare il campo da ogni possibile conflittualità, riprendendo le fila di un dialogo per il bene delle loro popolazioni, traendo ispirazione proprio dall'enciclica papale oggetto del loro incontro.
Speriamo che i vescovi congolesi e rwandesi che si ritroveranno all'incontro dei vescovi africani che si terrà a Kinshasa, capitale del Congo, dal 20 al 22 novembre p.v. per dibattere su "L'identità e la Missione di carità alla luce dell'enciclica Deus Caritas est", colgano l'occasione per sgomberare il campo da ogni possibile conflittualità, riprendendo le fila di un dialogo per il bene delle loro popolazioni, traendo ispirazione proprio dall'enciclica papale oggetto del loro incontro.
domenica 11 novembre 2012
Il piccolo Rwanda tra i grandi peacekeepers ONU
Il Rwanda, dal prossimo gennaio uno dei componenti elettivi del Consiglio di sicurezza dell'ONU, è un importante partner onusiano nelle operazioni di pace in diverse zone del mondo. Tra i diversi paesi che forniscono proprio personale militare o di polizia a queste operazioni promosse dall'ONU, il Rwanda, con 4.505 uomini, quasi il 13 per cento delle proprie forze armate, si colloca al settimo posto al mondo dopo quattro paesi asiatici (Pakistan con 9.149 uomini, Bangladesh con 9.068, India con 7.889 e Nepal con 4.561 ) e due africani (Nigeria con 5.596 uomini ed Etiopia con 5.882). Attualmente il personale rwandese è impegnato nel Darfour e Sud Sudan, in Somalia, nella Repubblica Centrafricana e, con un contingente di polizia, ad Haiti. Che cosa spinge un piccolo paese come il Rwanda ad affrontare un simile impegno - si pensi che l'Italia fornisce 1.172 uomini alle operazioni di peacekeeping dell'ONU anche se ne impegna altri 5.500 in altre operazioni dotto l'egida della Nato o dell'UE - che ha significativi impatti sulle asfittiche casse governative, visto che gli oneri di tali campagne gravano anche sul singolo paese partecipante alla missione? Naturalmente partecipare alle operazioni di peacekeeping non è tanto un'operazione umanitaria di solidarietà internazionale, bensì occasione per acquisire visibilità e titoli di credito a livello internazionale, spendibili alla prima favorevole occasione su più di un tavolo e nelle forme più varie. Si acquisiscono meriti presso la superpotenza USA che riesce a presidiare per interposta persona i focolai di crisi sul continente africano dove, dopo quanto successo nel 1993 in Somalia ai suoi piloti, sembra non voler più impegnarsi direttamente. Ma è sui tavoli dell'ONU che i crediti possono essere meglio valorizzati. Come sta succedendo proprio in questi giorni con l'Uganda che ha minacciato l'ONU di ritirare i propri contingenti, per la verità estremamente contenuti rispetto a quelli rwandesi, se non verranno ritirati i rapporti onusiani che accusano l'Uganda di essere coivolta nel sostegno al gruppo M23 nel Nord Kivu. Niente più che la riedizioni di quanto fatto dal Rwanda nel 2010, quando l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo rese pubblico il "DRC: Mapping human rights violations 1993-2003" relativo alle più gravi violazioni dei diritti dell'uomo e del diritto umanitario internazionale commesse tra il marzo 1993 e il giugno 2003 nel territorio della Repubblica democratica del Congo. Un dossier di 574 pagine, redatto in due anni di lavoro, dal luglio 2008 ad agosto 2010, da un'equipe di specialisti. Di fronte all'accusa alle forze armate rwandesi di aver commesso crimini contro l'umanità configurabili secondo gli esperti onusiani come potenzialmente genocididari, Kigali reagì sdegnata per l'accusa e non esitò a fare ricorso alla minaccia di ritirare tutte le proprie forze di peacekipping dislocate nei vari teatri di crisi se il rapporto non fosse stato adeguatamente purgato dai riferimenti più imbarazzanti.Sul rapporto fu messa la sordina e il tutto scivolò nell'oblio.
venerdì 9 novembre 2012
Prossima visita di Don Paolo in Italia
Don Paolo Gahutu sarà in Italia, su invito dell'Associazione Kwizera Onlus, dal prossimo 21 novembre. Trascorrerà un primo periodo presso la comunità di Barga e Gallicano, per trasferirsi successivamente in Valtellina per incontrare gli amici della comunità di Grosio. L'ultima parte del soggiorno vedrà Don Paolo in Sicilia in visita alle comunità della zona di Catania, prima di fare ritorno in Rwanda il 19 dicembre. Durante la sua permanenza Don Paolo avrà modo, oltre che incontrare i molti amici italiani, di confrontarsi con i responsabili dell'Associazione Kwizera per la messa a punto dei progetti associativi per l'anno 2013.
Ci piace sottolineare come il viaggio sia stato favorito dal sollecito espletamento della pratica di rilascio del visto di entrata da parte delle autorità diplomatiche italiane:il consolato onorario italiano a Kigali e l'ufficio consolare della nostra ambasciata di Kampala.
Prestigioso riconoscimento per l'Ingoma Dance Troupe Nshya
La storia inizia a partire dal 2055 quando la drammaturga rwandese Odile "Kiki" Katese, nell'intento di avviare un percorso di riconciliazione dopo la tragedia del 1994, fonda un gruppo femminile, formato da donne di entrambi i gruppi coinvolti nella tragedia rwandese, da avviare all'arte della percussione dei tamburi. Prende corpo l'Ingoma Dance Troupe Nshya.Rompendo con la tradizione culturale rwandese, che storicamente considera preclusa alle donne la percussione dei tamburi, le donne del gruppo di Kiki apprendono l'arte della percussione diventandone, ben presto, delle provette artiste.Il gruppo si afferma in Rwanda e la sua fama va oltre i confini nazionali. Ora arriva un prestigioso riconoscimento americano il premio Common Ground, destinato a chi si è impegnato nella risoluzione dei conflitti, nella riconciliazione e nella costruzione della pace. Ma la storia non finisce qui. Nei suoi viaggi americani la fondatrice Odile Katese riporta in patria l'idea di creare in patria una gelateria sul modello di quella di un suo amico americano. Con il supporto finanziario e di conoscenze tecniche dello stesso amico americano le donne del gruppo danno vita a una cooperativa che, dopo un periodo di formazione per l'acquisizione delle tecniche di preparazione del gelato e il necessario rodaggio, arriva ad aprire a Butare, dove ha sede il gruppo, la gelateria Sweet Dreams, dove trovano lavoro le stesse donne del gruppo.Sweet Dreams è anche il titolo di un documentario che filmmaker americani hanno dedicato a questa esprienza e che è stato presentato presso le Nazioni Unite in occasione della consegna del premio. Il film segue la storia straordinaria di queste donne che emergono dalla devastazione del genocidio per creare un nuovo futuro per se stesse e per lanciare un messaggio di riconciliazione alla comunità rwandese, combinando la riscoperta della cultura nazionale con un'iniziativa di sviluppo.
I video delle esibizioni del gruppo si possono vedere cliccando qui.
Per cominciare.
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martedì 6 novembre 2012
Non si trova un leader africano degno del Premio Ibrahim per la leadership
Non si trova un ex leader africano che risponda a questi requisiti: essere stato eletto democraticamente, aver trasferito il potere in modo democratico negli ultimi tre anni lasciando un paese migliore in campo economico, sanitario, scolastico, nello stato di diritto e nel rispetto dei diritti umani. E' questa la morale che si deve trarre dalla mancata assegnazione, per la terza volta in sei edizioni, del premio Premio Ibrahim per la leadership
africana, da riconoscere a un ex leader rispondente ai requisiti sopra richiamati. Il premio, istituito nel 2006 dal
miliardario sudanese Mo Ibrahim, creatore anche del noto Indice Ibrahim che misura il progresso dei
paesi africani, mette in palio non solo 5 milioni di dollari (più
del triplo dei premi Nobel) da destinare a iniziative umanitarie, ma anche un cospicuo vitalizio di 200mila dollari l'anno per il
vincitore. Pur riconoscendo che “negli ultimi dieci anni, la tendenza generale
in tutta la governance africana è positiva, con un netto calo nei conflitti, uno
sviluppo economico sostenuto e guadagni significativi nello sviluppo umano", il patron Mo Ibrahim sottolinea altresì che "
il nostro indice ha anche mostrato che i progressi economici compiuti arrivano
in una situazione di stagnazione democratica e addirittura di recessione. ..E come dimostra la mancata assegnazione del Premio, non stiamo vedendo il tipo di leadership
visionaria che ci aiuti a diventare protagonisti sulla scena mondiale nel
ventunesimo secolo".
Chissà se, fra cinque anni, uno dei leader cui è riconosciuta da molti una leadership visionaria nel continente, il presidente rwandese Paul Kagame, sarà in grado, alla fine del proprio ultimo mandato costituzionale, di smentire questa pessimistica previsione di mister Ibrahim presentandosi all'edizione 2017 del Premio, con tutte le credenziali richieste ?
domenica 4 novembre 2012
venerdì 2 novembre 2012
Le sorgenti del Nilo in Rwanda
Le sorgenti del Nilo (Foto di Y. Miyazaki) |
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