Attualmente in Rwanda l’età per poter contrarre matrimonio legalmente è fissata a 21 anni, ma si sta pensando di abbassare tale limite a 18 anni, anche se l’ipotesi sta sollevando qualche discussione all’interno della società rwandese. Naturalmente il limite dei 21 anni non ha mai fermato l’amore di nessun giovane per cui, in particolare nei villaggi, è frequente incontrare mamme giovanissime alle prese con i propri figlioletti. Si tratta di ragazze madri, che continuano a vivere all’interno della famiglia d’origine, piuttosto che di ragazze che, lasciata la famiglia, vanno a vivere con il proprio ragazzo in una forma di concubinato. Più raramente queste giovani coppie, che non hanno l’età legale, possono ottenere una particolare dispensa, soprattutto quando la giovane si trova in stato interessante, facendo istanza al ministero della giustizia. Qualcuno, in un paese in cui l’anagrafe non ha ancora assunto strutture consolidate, più sbrigativamente si aggiunge qualche anno a quelli effettivi per convolare a nozze. L’ipotesi di abbassare l’attuale limite sta suscitando particolari reazioni, soprattutto tra le organizzazioni femminili che ritengono il limite proposto di diciotto anni troppo basso. A quella età, dicono le rappresentanti di queste organizzazioni, le ragazze dovrebbero innanzitutto pensare a studiare per costruirsi un futuro di indipendenza; l’abbassamento dell’età le spingerebbe ad abbandonare gli studi e a portarle al matrimonio comunque in uno stato di eccessiva dipendenza dal marito. Taluni genitori paventano invece il rischio di doversi fare carico del mantenimento anche dei nipotini di queste giovanissime coppie, non sempre in grado di provvedere economicamente al nuovo nucleo familiare. Ci sono poi le giovani neo spose che vogliono proseguire gli studi universitari, ma a fatica riescono a conciliare il ruolo di studentesse, di madri e mogli.
"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI
sabato 28 maggio 2011
giovedì 26 maggio 2011
Per i batwa di Kibali non c'è stato bisogno del by by niakatsi
Una vecchia "capanna" |
L'ONG Survival, che si interessa delle popolazioni indigene del mondo spesso in via di estinzione, compresi i batwa, stigmatizzava ieri in un proprio intervento, leggibile qui, la sorte toccata ai batwa rwandesi nella nota campagna "By by niakatsi", di cui abbiamo già riferito in passati post. Il programma di sostituzione delle capanne di paglia portato avanti, spesso con metodi piuttosto sbrigativi dalle autorità locali rwandesi, sembra toccare in particolare proprio i batwa, secondo quanto riferisce Survival.
A questo proposito ci piace ricordare l'esperienza della comunità batwa di Kibali vicino a Byumba.Qui a partire dal 2007 l'Associazione Kwizera Onlus ha iniziato un programma di sostituzione delle 47 capanne in cui vivevano altrettanti nuclei familiari con altrettante case in muratura. Le abitazioni originarie erano un coacervo di frasche e teli di plastica neppure lontanamente paragonabili a un capanna di paglia.
Alcuni esponenti della comunità batwa |
Con il consenso della stessa comunità di circa 250 persone si è provveduto a edificare a fianco di ogni capanna un'abitazione unifamiliare in mattoni di fango e con tetto ricoperto di tegole ( l'inizio dei lavori è documentato in un video ) Al di là delle molte riserve esistenti anche in loco circa il successo dell'iniziativa, la comunità ha preso possesso delle case e si è adattata alla nuova realtà dimostrando di apprezzare la nuova sistemazione. L'Associazione Kwizera è andata oltre; infatti, l'anno scorso è stato ultimato il terrazzamento di otto ettari di collina su cui insiste il villaggio. La comunità batwa, che di propria iniziativa già aveva iniziato a coltivare i terreni adiacenti le nuove case, sta ora seguendo un apposito programma formativo in materia agricola, sempre promosso da Kwizera, che dovrebbe consentire la messa a coltura di tutti i terreni disponibili e alla comunità di procurarsi di che vivere.
domenica 22 maggio 2011
Tribunali gacaca verso la chiusura
Un tribunale gacaca (foto gov.rw) |
Il governo rwandese ha ufficialmente annunciato, tramite una dichiarazione del ministro della Giustizia, Tharcisse Karugarama, pubblicata sul sito ufficiale del governo che i tribunali gacaca concluderanno la loro attività entro dicembre 2011, esaurendo i giudizi pendenti senza aprirne di nuovi.
I gacaca sono tribunali della tradizione rwandese, composti non da giudici convenzionali ma da componenti della società civile eletti all’interno delle diverse comunità locali, a cui le autorità rwandesi hanno affidato il compito di giudicare gli imputati accusati di aver partecipato agli eccidi del 1994, con la sola eccezione dei responsabili di aver pianificato atti genocidari a livello nazionale o di prefettura, il cui giudizio è rimasto di competenza dei tribunali convenzionali.
In questi anni, a partire dal 2005, sono passati al vaglio dei tribunali gacaca oltre 1,4 milioni casi che si sono conclusi con circa il 20/30% di assoluzioni. I colpevoli si sono visti comminare pene detentive nell’ordine di diversi anni, che qualcuno sta scontando nei lavori comunitari, fino all’ergastolo, che ha interessato circa il 5 % degli imputati.In questi anni non sono mancate critiche a questo tipo di giustizia, inevitabilmente esposto ai personalismi e ai condizionamenti o alle vendette sempre possibili nelle piccole comunità locali; non sono mancati anche casi accertati di corruzione o di giudici che sono diventati imputati degli stessi crimini che erano chiamati a giudicare. Nel complesso però la grande mole di lavoro svolto, che non sarebbe stato possibile smaltire da parte dei tribunali convenzionali, ha concorso, sgomberando il terreno da molti casi aperti fonte di rancori e incomprensioni, ad avviare un faticoso e sicuramente ancora lungo processo di riconciliazione nazionale.
venerdì 20 maggio 2011
In pellegrinaggio a Ruhango per guarire non solo spiritualmente
Ogni prima domenica del mese, migliaia di cristiani, cattolici e no, si danno appuntamento in una cittadina del sud del Rwanda, a una settantina di kilometri dalla capitale, per pregare e implorare la guarigione da mali fisici e morali. Non si tratta di Kibeho, bensì di Ruhango e destinataria delle preghiera non è la Madonna bensì Gesù Misericordioso. L’agenzia Syfia parla di circa ventimila persone, bambini, adulti, anziani, disabili e malati, non solo rwandesi ma anche congolesi e burundesi, che mensilmente si danno appuntamento in questo luogo alla ricerca di una grazia, dopo che la notizia di numerosi casi certificati di guarigione da guai fisici si è sparsa nel paese, a partire da una ventina di anni fa. Senza che apparentemente si conosca un momento iniziale originante questo interesse, negli anni la fama di questo luogo è cresciuta e con essa il numero dei pellegrini che vi affluiscono senza peraltro trovarvi un santuario dove pregare, come ci si aspetterebbe, o particolari strutture di accoglienza come a Kibeho. I momenti di preghiera, che inizialmente si tenevano nella chiesa locale ora non più in grado di accogliere i pellegrini, si svolgono, infatti, ancora all’aperto su una collina ricoperta d’alberi ai cui piedi vi è un altare e una semplice tenda. Eppure, pur in assenza di tutto quanto caratterizza una meta classica per un pellegrinaggio religioso, il flusso dei pellegrini che mensilmente si danno appuntamento qui a pregare Gesù Misericordioso è sempre in aumento, attirati dal forte richiamo di diverse guarigioni morali e fisiche verificatesi in queste sessioni di preghiera. Al di là del momento forte della prima domenica del mese, a Ruhango si vive un’intensa vita spirituale, incentrata sull’adorazione perpetua, a cui provvede, su indicazione del vescovo di Kabgayi, la Comunità dell’Emmanuele. E’ questo un gruppo di preghiera fondato a Kigali nel 1990 da una coppia di laici rwandesi, scomparsi negli eccidi del 1994, che ha avuto un importante sviluppo in questi anni nel solco dell’omonimo gruppo francese, incentrando la propria missione sulla spiritualità, sulle opere di carità e sull’evangelizzazione.
mercoledì 18 maggio 2011
Habineza story
La sua vicenda aveva fatto versare fiumi d'inchiostro a Marco Travaglio che su Il Fatto Quotidiano gli aveva dedicato l'apertura e un editoriale tendente a dimostrare il ben diverso livello morale tra un uomo pubblico rwandese, dimessosi dall'incarico di ministro per alcune foto che lo ritraevano in un festino privato allegramente circondato da belle ragazze, e il premier italiano, vedi post del 16 febbraio, del 20 e 21 febbraio successivi . Nell'occasione avevamo prudentemente lasciata aperta la porta a possibili sviluppi. Ora sappiamo che in occasione del recente rimpasto del governo rwandese, il protagonista di quella vicenda, l'ex ministro della cultura e dello sport, Joseph Habineza, è stato nominato ambasciatore del suo paese in Nigeria.Qualche critico malizioso, non sappiamo però quanto fondatamente, ha visto questa nomina come un morbido e dorato way out che ha portato lontano da Kigali un personaggio che, secondo quanto riferiva la stampa locale, esercitava un certo fascino sulla gioventù rwandese di cui per funzione era il ministro di riferimento.
sabato 14 maggio 2011
Give of your time, give of yourself
In un intervento su The New Times, dal titolo significativo "Give of your time, give of yourself " - Dona il tuo tempo, dona te stesso- il commentatore Sunny Ntayombya affronta un tema decisamente importante, più volte sfiorato anche in questo blog. Il tutto nasce dall’incontro del commentatore con una volontaria americana che, lasciate le comodità e certezze della vita in patria, è in Rwanda per dedicarsi all’insegnamento dell’abc ai bambini di una scuola di villaggio. Da qui la domanda: perché qualcuno dovrebbe viaggiare per migliaia di chilometri per insegnare ai nostri figli le competenze che certamente noi possiamo insegnare altrettanto bene?
La risposta arriva chiara e imbarazzante a un tempo: perché la signora ha lo spirito del volontariato che manca ai rwandesi, è Sunny che lo dice, presi come sono a rincorrere il denaro. Denaro che a volte, per mettersi la coscienza in pace, si dona per sostenere qualche buona iniziativa sociale. Ma tutto questo, seppur lodevole, non è sufficiente. Ecco quindi l'invito di Sunny: è necessario che i rwandesi facciano un passo ulteriore e e si rendano disponibili a dare parte del proprio tempo e un po' di se stessi per gli altri.
Purtroppo, dobbiamo dare ragione a Sunny. E’ difficile per chi arriva da fuori come l’insegnante americana, trovare localmente negli amici rwandesi disponibilità a dare una mano. Non lo fanno i giovani, che se sono chiamati a organizzare e animare un meeting della gioventù vogliono essere pagati, non lo fanno gli intellettuali, che se gli si chiede di condividere il loro sapere con la loro gente fanno orecchie da mercante e se proprio devono fare qualcosa vogliono essere pagati come dei premi Nobel. Forse anche quella insegnante americana si sarà posta la domanda, che anche noi spesso ci facciamo: chi ce lo fa fare di sobbarcarci lunghi viaggi e disagi connessi a uno stile di vita che non è il nostro, se poi in loco non troviamo qualcuno con cui condividere questo impegno.Ha ragione Sunny: è ora e tempo che anche i nostri amici rwandesi comincino a dare un po’ del loro tempo e un po’ di se stessi per gli altri, i loro fratelli della porta accanto.
L'intervento del muzungu dovrebbe essere un di più.
L'intervento del muzungu dovrebbe essere un di più.
martedì 10 maggio 2011
Lanciata una campagna di prevenzione antiHPV
E’ stato avviato recentemente dalle autorità sanitarie rwandesi un ampio programma di prevenzione del cancro al collo dell'utero (papilloma virus umano HPV) che prevede la vaccinazione delle ragazze di età compresa tra 11-15 anni e lo screening per le donne adulte. Il progetto, il primo nel continente africano, è sostenuto dalle case farmaceutiche Merck e Qiagen. Merck, che produce il vaccino, si è impegnata a fornire gratuitamente oltre 2 milioni di dosi di Gardasil. Analogamente Qiagen fornirà 250.000 test di screening dell'HPV unitamente a tutte le attrezzature e la formazione necessarie. Il tipo di Gardasil fornito dalla Merck è in grado di contrastare i tipi di HPV 6, 11, 16 e 18.Dopo i primi tre anni, il governo continuerà con la vaccinazione di routine delle ragazze di 12 anni, mentre le due aziende farmaceutiche forniranno i vaccini e le tecnologie di screening ad un prezzo scontato, utilizzando i fondi GAVI, la partnership globale tra soggetti pubblici e privati impegnata a diffondere su scala mondiale l’uso dei vaccini allo scopo primario di salvare la vita dei bambini e tutelare la salute delle persone. Il Gardasil è un farmaco con un prezzo altissimo, che in occidente arriva a costare trecento euro. E’ per questo che non pochi si sono interrogati sui motivi che hanno mosso la casa farmaceutica Merck in questa iniziativa che suona come una grande operazione di marketing e non solo, mirante a far passare la vaccinazione come una operazione necessaria, magari da rendere obbligatoria anche in quei paesi occidentali dove ancora non lo è, e per mettere a tacere dubbi e discussioni sulla reale efficacia e necessità del farmaco di cui si trova ampia traccia in rete.
giovedì 5 maggio 2011
Iniziati i lavori per la sala parrocchiale di Mutete
I lavori per la realizzazione della sala parrocchiale di Mutete, di cui avevamo dato notizie nel post del 2 aprile scorso, sono stati avviati come documentato dalla foto che pubblichiamo. Il parroco don Narcisse ci comunica che si prevede di portare a termine l'opera per il prossimo mese di luglio.Ricordiamo che l'opera è finanziata in quota parte dall'Associazione Kwizera Onlus.
martedì 3 maggio 2011
Guaritori e stregoni
Nei villaggi rwandesi è ancora facile imbattersi, magari non per il muzungu, con lo stregone guaritore, a cui le persone fanno ricorso per i più svariati motivi, a partire da quelli di salute o di presunti atti di malocchio. Sovente le persone alle prese con qualche malattia preferiscono consultare lo stregone piuttosto che rivolgersi ai centri di sanità o agli ospedali, salvo ricorrervi quando magari le loro condizioni si aggravano. Essendo abbastanza diffusa la convinzione che ogni malattia abbia origine da qualche forma di avvelenamento o atto di stregoneria, magari da parte di qualche vicino invidioso, è normale fare ricorso a qualche rimedio erboristico tradizionale o rivolgersi allo stregone. Le cure che vengono consigliate sono spesso dannose per la salute dei pazienti trattandosi frequentemente di cure a base di intrugli d’incerta composizione. Così normali malattie che potrebbero essere curate rivolgendosi al Centro di sanità rischiano di avere un’evoluzione pericolosa con effetti negativi soprattutto quando pazienti sono dei bambini. Non è infatti raro il caso di bambini che arrivano ai centri di sanità o nutrizionali completamente debilitati dopo essere stati sottoposti alle cure dello stregone che con la scusa di fargli espellere il veleno li ha in realtà costretti a rigettare tutto quanto mangiato magari per giorni. Naturalmente lo stregone non è un benefattore; i suoi consulti sono, infatti, adeguatamente remunerati tanto che è frequente il caso di contadini ridotti alla miseria dalla frequentazione dello stregone, quando non si fa addirittura pagare in natura se si tratta di una paziente. Lo stregone è anche capace di promuovere il proprio business alimentando odi e discordie tra vicini, così da poter attribuire a questi sentimenti possibili malocchi e avvelenamenti, causa prima del ricorso alle cure dello stregone. La stregoneria è sempre esistita nella società rwandese e non è diffusa necessariamente esclusivamente nelle componenti più povere e arretrate della società e neppure fra chi è ancora legato alla religione animista tradizionale. Anche i buoni cristiani fanno ricorso allo stregone. In una parrocchia era abitudine dello stregone locale, quando incontrava il parroco alla domenica, secondo quanto raccontato dallo stesso parroco, agitare il sacchetto delle monete attribuendone la provenienza dalle tasche degli stessi parrocchiani che si recavano alla messa ma, evidentemente, anche frequentatori dello stesso stregone.Oltre che guaritore di ogni tipo di malattia, lo stregone si attribuisce anche qualità che rientrano nell'area della vera e propria stregoneria con poteri, a detta di testimoni degni di fede, che possono impressionare.Sono probabilmente questi gli aspetti che attirano anche persone tuttaltro che sprovvedute come gli intelletuali che non sembrano del tutto esenti dal fascino della stregoneria. Illuminante in questo senso è il caso citato dall'agenzia Syfia di un funzionario di una ONG americana morto di AIDS dopo aver rifiutato, su consiglio del suo stregone, di sottoporsi alle cure antiretrovirali. Detto tutto questo, prima di lasciarsi andare a qualche sorrisetto di compatimento ricordiamoci che neppure in Italia i maghi sono degli sconosciuti.
domenica 1 maggio 2011
Grazie a Wojtyla l’Africano!
Nel giorno della beatificazione del compianto Papa Giovanni Paolo II, proponiamo questo contributo di Padre Giulio Albanese tratto dal suo blog Africana
Tra poche ore Giovanni Paolo II verrà proclamato Beato. A questo proposito vorrei proporre alcune considerazioni sul suo pontificato, nella consapevolezza che mai nella storia un papa ha fatto così tanto per l’Africa, spendendosi in prima persona per la causa del Vangelo. Un’autentica maratona nel nome della fede, segnata da ben 14 viaggi nel continente, visitando 42 paesi, percorrendo in totale 208mila chilometri, pronunciando 418 discorsi e soprattutto incontrando popolazioni di fedi, lingue e culture le più diverse. Quando mise piede per la prima volta come Vescovo di Roma sul suolo africano nel maggio del 1980, c’era ancora la “guerra fredda” e il continente pativa le conseguenze dell’illusorio periodo della decolonizzazione, attraversando una stagione caratterizzata da una notevole involuzione politica, economica e sociale. E non v’è dubbio che col suo carisma, papa Wojtyla ha contributo notevolmente al riscatto del continente, lottando strenuamente contro coloro che professavano dai pulpiti della politica il peggiore dei sentimenti, quello dell’afropessimismo. Al contrario, ha sempre incoraggiato le popolazioni africane a guardare al futuro con speranza, perseverando lungo il cammino dello sviluppo, ma al contempo facendo tesoro dei valori tradizionali, come il senso della famiglia e il legame comunitario.
Iscriviti a:
Post (Atom)