"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


venerdì 10 dicembre 2010

Per uno sviluppo non solo materiale

Ci viene segnalato un contributo dal titolo "La nazione e lo sviluppo dei popoli" pubblicato dall'agenzia Zenit. Ne è autore Mons. Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste, Presidente della Commissione “Caritas in veritate” del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE) e Presidente dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa.
Riportiamo qui di seguito le conclusioni che interpellano da vicino tutti coloro che operano nel volontariato a favore delle popolazioni dei paesi, appunto detti in via di sviluppo :
"Non c’è dubbio che lo sviluppo è quindi un concetto qualitativo e non solo quantitativo. Non riguarda solo l’incremento della ricchezza, ma la qualità umana della vita personale e sociale. Potremmo anche dire che lo sviluppo riguarda prima di tutto le condizioni immateriali che non quelle materiali. Questo è un criterio di giudizio e di azione molto importante per il cattolico impegnato in politica. Gli permette di indirizzare lo sguardo non tanto e non solo sui dati economici e gli interventi tecnici, pur necessari come dirò tra breve, ma sui presupposti immateriali, ossia culturali e morali, dello sviluppo. Nei paesi poveri molti freni allo sviluppo derivano da ancestrali culture locali che disprezzano il lavoro, stabiliscono norme discriminanti, non valorizzano adeguatamente la donna, vedono il rapporto con la natura in modo magico. Tutti questi atteggiamenti mentali sprecano risorse, non permettono un pieno utilizzo delle risorse naturali, costituiscono caste inamovibili nella società che frenano la mobilità sociale e il progresso, bloccano le iniziative di intraprendenza. Favorire lo sviluppo di quei popoli vuol dire anche liberarli da quelle culture limitanti.
Viceversa, leggi sulla proprietà intellettuale vigenti nei paesi ricchi, impediscono di distribuire farmaci di prima necessità nei paesi poveri in modo da lottare contro malattie endemiche e pandemie. Anche in questo caso una cultura, di tipo produttivistico e individualistico, è elemento di freno allo sviluppo. Il trasferimento nei paesi poveri di stili di vita edonistici e individualistici propri dei paesi sviluppati può essere negativo per il loro sviluppo. La mancanza di istruzione o della capacità di collaborare, le carenze nella concezione del rispetto della legalità sono cause di sottosviluppo non meno importanti di altre di ordine materiale. È bene, quindi, mettere a fuoco prima di tutto questi problemi di tipo immateriale ed associare agli aiuti allo sviluppo sempre anche un accompagnamento formativo.
I trasferimenti non devono essere solo economici o di beni materiali ma anche di competenze, di professionalità, di istruzione e cultura e, come si dice, di know how. Una visione materialista dello sviluppo lo intende invece solo come trasferimento di risorse che però spesso cadono nelle mani di aguzzini che tengono quei popoli sotto il loro tallone, vengono dirottati verso l’acquisto di armi, distruggono i mercati locali impoverendo i produttori. Se invece si pone attenzione ai problemi qualitativi si metterà in primo piano forme di aiuto culturale, educativo, formativo, di educazione alla legalità e al buon funzionamento delle istituzioni democratiche. Anche lo stesso problema dell’alimentazione, che appare nella sua essenza come una mancanza di cibo, ossia di beni materiali, è in fondo dipendente da cause strutturali di tipo immateriale e culturale. Un aspetto molto importante di questa visione qualitativa dello sviluppo riguarda gli stretti collegamenti tra i grandi principi del rispetto della vita, della difesa della famiglia e della libertà di religione e lo sviluppo dei popoli, messi in evidenza soprattutto nella Caritas in veritate".
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