"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


giovedì 2 dicembre 2010

In margine a un banale guasto di un elettrogeneratore

Nella primavera del 2009 viene inviato in Rwanda un elettrogeneratore nuovo di fabbrica, destinato a soddisfare i bisogni di una parrocchia dell'interno. Appena arrivata l'apparecchiatura viene messa in funzione; ma già dopo qualche mese vengono segnalati i primi inconvenienti, che via via si andranno aggravando, fino a quando il generatore cessa di funzionare. Intervengono i tecnici locali che cercano di rimediare ai presunti guasti con interventi che, pur non mancando di una certa inventiva tecnica, non riescono a risolvere il  problema. L'estate scorsa prendiamo visione del motore, ormai smontato, causa del blocco del generatore; facciamo qualche fotografia delle parti che i tecnici locali hanno individuato come accidentate per poter trovare gli eventuali pezzi di ricambio, una volta ritornati in Italia. Quando abbiamo sottoposto la relativa documentazione fotografica a un tecnico italiano la risposta è stata disarmante: " il motore si è rotto semplicemente perchè nessuno si è preoccupato di controllare il livello dell'olio che, una volta esaurito, ha portato alla rottura del motore stesso". Perchè raccontiamo un fatto del genere, apparentemente banale nella sua dinamica? Perchè ci pare rappresenti abbastanza bene un'insidia che spesso accompagna gli interventi sul terreno di molte associazione.
Due osservazioni.
La prima: la Onlus che ha inviato l'elettrogeneratore ha ritenuto esaurito il proprio compito con l'invio del macchinario, forse non preoccupandosi a sufficienza di mettere in grado gli utilizzatori finali di farne buon uso, con un minimo di formazione.
La seconda:  i destinatari dell'elettrogeneratore, visti gli esiti, forse non si sono preoccupati di aprire e scorrere il manuale di istruzione.
A ben pensarci, ci troviamo di fronte alle due facce di una stessa medaglia che evidenzia come, troppo spesso, gli interventi vengano gestiti e vissuti dai protagonisti secondo modelli sicuramente migliorabili.
Da una parte, l'Onlus preoccupata di dare concretezza ai fondi raccolti dai benefattori materiallizzandoli, a volte in maniera fin troppo sbrigativa,  in una costruzione, un'attrezzatura o un'iniziativa sociale di cui dare immediato conto ai propri sostenitori, spesso dimenticandosi però di seguirne gli sviluppi e gli utilizzi  futuri.
Dall'altra, per chi riceve, causa un malinteso senso di indipendenza e autonomia, non sempre c'è la necessaria disponibilità e apertura ad attrezzarsi  per far buon uso di quanto ricevuto, attraverso la formazione o il confronto.
Forse, un minimo di autocritica dall'una e dall'altra parte gioverà a renedere più afficace il nostro operare.

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