"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


mercoledì 15 luglio 2009

Anche questo sarebbe un piccolo passo

In questi giorni, l’Africa, con i suoi numerosi problemi irrisolti, è stata al centro dell’attenzione mondiale in tre diversi momenti. Dapprima nell’ultima enciclica di Papa Benedetto XVI, Caritas in veritate, poi nell’incontro del G 8 con i rappresentanti dei paesi del continente africano e infine nel discorso tenuto dal presidente statunitense Barack Obama al parlamento del Ghana. Abbiamo sentito e visto dibattere e avanzare soluzioni sui grandi problemi ( democrazia, diritti, governance, sviluppo, fame, libertà dal bisogno, aiuti ) che attanagliano l’Africa, pronti però a chiamarci fuori, più o meno inconsciamente, dall’impegnativo compito di contribuire alla soluzione di tali problemi preferendo lasciare ad altri, di volta in volta i politici, le istituzioni, gli intellettuali, le organizzazioni internazionali e via di questo passo, l’onere oltre che di proporre le soluzioni anche quello di attuarle.
Ma è proprio vero che chi è al di fuori di questa cerchia di protagonisti non possa fare qualchecosa per promuovere e determinare lo sviluppo della propria gente e della propria terra e sia obbligato a delegare sempre e comunque ad altri il proprio destino?
Cosa è possibile fare in questo senso in un piccolo villaggio rurale del Rwanda, come quello di Nyagahanga, meta della missione Kwizera 2009?
Cosa possono fare la comunità locale e le forze sociali che la compongono?
Ecco uno spunto di riflessione. A Nyagahanga esiste una scuola secondaria di agraria, dislocata in un’accogliente e ampia struttura, con un corpo insegnante di una trentina di professori. In successivi soggiorni a Nyagahanga, è sempre stato oggetto di meraviglia come tale presenza non fosse immediatamente percepibile sul territorio; le coltivazioni dei campi non presentavano alcuna diversità evidente rispetto a quelle di altri villaggi, né per la cura particolare delle colture nè per la varietà delle stesse, l’allevamento del bestiame non evidenziava tecniche differenti e migliori rispetto a quanto riscontrabile altrove.
Allora ci si può legittimamente interrogare se questo patrimonio di conoscenza di cui sono portatori i diversi docenti presenti nella scuola sia adeguatamente valorizzato al servizio della comunità, facendosi motore di sviluppo in campo agricolo e strumento di miglioramento degli standard di alimentazione dei suoi abitanti.
Verrebbe quasi da domandarsi perché quei 400 metri che separano la scuola di agricoltura dal Centro sociale di Nyagahanga, inteso come punto d’incontro con la comunità, assumano una strana connotazione sembrando una distanza sideralmente superiore ai circa diecimila kilometri che i volontari dell’Associazione Kwizera si sobbarcano per raggiungere lo stesso Centro sociale per tentare di promuovere il Progetto Jatropha ( pianta da cui è possibile ricavare del biodisel) piuttosto che il progetto MIkAN ( allevamento delle capre).
Ne possiamo parlare alla prossima occasione?

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