"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


domenica 26 aprile 2009

Una raccolta di racconti africani

Dì che sei una di loro ( Mondadori € 18 pag. 360 è una potentissima raccolta di cinque storie, scritte da Uwem Akpan, un sacerdote gesuita nigeriano, che raccontano la brutale realtà dell'Africa di oggi attraverso gli occhi dei suoi testimoni più diretti: i bambini. Ogni storia porta alla progressiva scoperta (da parte dei protagonisti e dei lettori) di orrori indicibili. Una famiglia poverissima di Nairobi è costretta a vivere dei magri proventi assicurati dall'attività di prostituta della figlia dodicenne, che, oltre a garantire il puro sostentamento della famiglia, si preoccupa di far andare a scuola il fratello più piccolo. Una coppia di fratellini affidati dai genitori malati a uno zio scoprono a poco a poco che stanno per essere venduti come schiavi. La profonda amicizia fra due bambine etiopi narrata nel terzo racconto viene spezzata di colpo quando i rispettivi genitori smettono di parlarsi perché divisi dall'ostilità crescente che oppone cristiani e musulmani. Nella quarta di queste storie senza lieto fine un ragazzino nigeriano cerca di scappare dalle brutture della guerra civile sperando di trovare rifugio da alcuni parenti in un'altra zona del paese. Sul pullman che dovrebbe portarlo a destinazione si imbatte però nello stesso odio religioso da cui vorrebbe fuggire. L'ultimo racconto, che dà il titolo alla raccolta, è ambientato in Rwanda................ 

Mia madre è una bellissima donna tutsi. Ha zigomi alti, un naso delicato, una bocca graziosa, dita sottili, occhi grandi e una figura flessuosa. La pelle è talmente chiara che le si vedono le vene sul dorso delle mani, come su quelle di padre Mertens, il nostro parroco, che viene dal Belgio. Io assomiglio a Maman, e quando crescerò sarò alta come lei. Ecco perché Papa e i nostri parenti mi chiamano Shenge, che in lingua kinyarwanda significa “la mia piccola”.Papa, come la maggior parte degli hutu, ha la  pelle molto scura. Ha il viso rotondo, il naso camuso e gli occhi marroni. Le sue labbra sono carnose come la polpa di una banana. È un uomo molto, molto allegro, che sa farti ridere fino alle lacrime. Jean gli somiglia. Maman non alza mai la voce con me. Oggi è strana. I suoi occhi luccicano di lacrime. Raccolgo un flacone di Amour, il profumo che Papa le regala perché la ama. Tutti i vicini la riconoscono da quel dolce profumo. Quando le metto la boccetta tra le mani rabbrividisce, come se l’avessi strappata ai suoi pensieri. Anziché su se stessa, spruzza il profumo su Jean. Jean è eccitato, si annusa le mani e i vestiti. Supplico Maman di metterne un po’ anche a me, ma lei rifiuta. «Quando te lo chiedono», dice severa, senza guardarmi, «di che sei una di loro, ok?». «“Loro” chi?». «Chiunque».


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