"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


domenica 14 ottobre 2012

La nuova politica agricola: aumenta la produzione ma anche lo scontento

Come noto, nel 2007, il governo rwandese, con l’intento di  aumentare la produzione agricola e passare da  un’agricoltura di mera sussistenza ad una più commerciale, ha  dato il via a una  nuova politica agricola  incentrata  sull’accorpamento dei terreni per coltivare su grandi  estensioni un’unica coltura, a seconda della vocazione agricola delle diverse regioni del paese.Così a fianco delle zone dove tradizionalmente era concentrata la coltivazione delle due grandi colture d’esportazione come il  the e il  caffè, si crearono zone dove coltivare il grano piuttosto che il mais, o altre colture, non esclusa in una determinata zona del paese la floricoltura. Per raggiungere questi obiettivi, ogni provincia è chiamata a coltivare ciò che è stato deciso dal Ministero delle Politiche Agricole in base alle specifiche del suolo e del clima; gli agricoltori si devono inoltre riunire in  cooperative per coltivare insieme, potendo contare su sementi  migliorate e a prezzo dimezzato. Gli sforzi del governo hanno così portato a un aumento delle produzioni, come sottolinea  compiaciuta  Agnès Kalibata, ministro dell’agricoltura:  "Durante gli ultimi tre anni, grazie alla quasi triplicazione del raccolto di mais, frumento e manioca, la produzione agricola nazionale è aumentato di circa il 14% all'anno, e non ci sono più le carenze del passato". Ma, secondo quanto  sostenuto dall’agenzia di stampa rwandese, RNA, ci si trova oggi in una situazione evidenziante, a fianco del richiamato  significativo incremento della produzione totale del paese,  un certo disorientamento tra i contadini costretti a far fronte a talune  sovrapproduzioni che portano al mancato ritiro di parte della produzione, piuttosto che a una diminuzione dei prezzi di mercato dei prodotti. Senza dimenticare che  alcuni delle nuove colture, come il grano o il mais, non rientrano nella dieta rwandese e se rimangono invendute giacciono inutilizzate nei magazzini, con grande scontento dei contadini ai quali in certe zone si è arrivati anche ad estirpare i bananeti, fonte primaria dell’alimentazione rwandese. Ancora la RNA scrive che alcuni produttori  non sono in grado di vendere i loro raccolti, altri si trovano a dover fare i conti con una dieta, definita eufemisticamente sbilanciata, forse per non dire di fame. Scoraggiati, alcuni disattendono apertamente  le linee guida del governo. Per esempio molti contadini del  nord del Rwanda si dicono determinati a non coltivare più il grano dopo che non sono riusciti a vendere il loro raccolto tramite i canali  ufficiali. Per questo si ripromettono di abbandonare la coltivazione del grano per passare a coltivazioni più remunerative. . Taluni lamentano che "non è sufficiente dire adottiamo una cultura, piuttosto che un’altra, semplicemente  perché è più semplice spiegare la sua coltivazione  alla gente “ E ancora “ è difficile capire perché è stata abbandonata la coltivazione del sorgo che in passato ha sempre garantito buone entrate oltre che evitare la malnutrizione nelle famiglie” con  la conseguenza che la sua scarsità ha fatto lievitare il prezzo  a 350 Frw  contro i 200 Frw del recente passato, con la non secondaria conseguenza per i rwandesi che la birra artigianale, prima fatta con  il sorgo, ora viene fatta con miscele improponibili.
Gli squilibri alimentari sono in crescita in alcune aree. "In tutte le famiglie di questo settore” si lamenta un abitante di Musanze sentito dalla RNA,  “non si mangiano che  patate e per acquistare  fagioli o altre verdure si devono percorrere kilometri, mentre prima ognuno se le coltivava nel proprio campo”. Ne consegue un generalizzato aumento dei prezzi di tutte quelle colture non rientranti tra quelle promosse dalle autorità,  di cui abbiamo già parlato in un precedente post.
L’articolo della RNA così conclude “se l'obiettivo di aumentare la produzione complessiva è stato raggiunto, questa  rivoluzione verde spesso impatta pesantemente  sull’alimentazione delle famiglie contadine e sul reddito degli agricoltori che vogliono solo una cosa: che a fronte dell’impossibilità di mangiare i frutti delle loro coltivazioni che almeno  il prezzo di vendita di questi remuneri il loro lavoro e le spese assunte”.
Nel complesso siamo in presenza di un quadro che ripropone  un déja vu:  un’agricoltura centralizzata già  storicamente fallita  ovunque nel mondo  sia stata  proposta/imposta.

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