"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


sabato 9 giugno 2012

Tamburi di guerra sul Kivu

La situazione del Kivu è ormai sull’orlo dell’ennesima esplosione, con i suoi diversi  protagonisti in campo: un governo (quello congolese) assente e incapace di mantenere sotto controllo la situazione, altri governi ( quelli rwandese e ugandese) interessati e attivi spettatori attratti dalle immense ricchezze del sottosuolo e a tal fine aperti a ogni possibile alleanza, i signori della guerra locali pronti a offrire le proprie formazioni al miglior offerente pur di conservare il proprio potere e tutelare  i propri interessi, multinazionali sfruttatrici voraci dei minerali locali pronte per il proprio business a rinnegare principi e regole che nei propri paesi d’origine mai avrebbero infranto, gruppi guerriglieri di profughi con velleitarie volontà rivendicazioniste, ultimo non certo in ordine di importanza e responsabilità un pletorico e costosissimo contingente Onu-Monusco incapace a tutto. Un rimbalzarsi di accuse di atrocità tra i vari protagonisti che arrivano ad indossare divise dei gruppi avversari pur di addossargliene le colpe.Denunce di coinvolgimento del Rwanda cui hanno fatto seguito secche smentite da parte delle autorità di Kigali. Sembra di trovarsi immersi nella trama del libro Il canto della missione di John Le Carré, ambientato proprio in questo contesto. Se ne stanno accorgendo le cancellerie mondiali, Usa e Unione europea in primis,  che non possono fare a meno di raccogliere le denunce che da tempo stanno esprimendo esponenti della società civile locale, senza peraltro andare oltre qualche dichiarazione di circostanza, facendo ben attenzione a non scontentare le forze amiche in campo.Ben più realisticamente i vescovi  della Provincia ecclesiastica di Bukavu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC), in un recente messaggio inviato alle autorità politiche congolesi, parlano apertamente di “ indizi convergenti che evocano lo spettro di una guerra dai contenuti e dai moventi ancora nascosti” auspicando la prevenzione di conflitti generalizzati che si profilano all’orizzonte come testimoniano  le tensioni e le violenze che vedono protagoniste le diverse forze in campo il cui sbocco finale  sono guerre “di predazione interna ed esterna”. Significativo è il richiamo anche agli appetiti che provengono dall’esterno; è probabilmente qui il vero nocciolo della questione: le autorità congolesi non hanno la forza di difendere i propri confini fin troppo permeabili ad ogni tipo di infiltrazione dall’esterno. Se poi qualche opinionista di Kigali, trattando l'argomento sulla stampa locale, trova l'occasione per prendersela con il Congresso di Berlino del 1884/5 che, a suo dire, ha riportato il grande Rwanda di fine ottocento ai confini attuali, privandolo, oltre che di altri territori, soprattutto delle fasce del Congo orientale, appunto il Kivu di cui stiamo parlando, nell'europeo riaffiora il ricordo di quando ottanta anni fa in Europa qualcuno cominciò a fare analoghi discorsi, nell’ignavia delle cancellerie del tempo. Sappiamo tutti come andò a finire. 

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