Cosa c'entrano i vestiti e le scarpe di seconda mano con lo sviluppo di un continente come quello africano?
Abiti usati al mercato di Nyagahanga |
Abituati, quando si parla di politiche di sviluppo dell’Africa, a misurarci solo con grandi temi quali gli aiuti finanziari, la lotta alla corruzione, lo sfruttamento delle risorse naturali, i flussi migratori e la creazione di posti di lavoro per la gioventù
africana, facciamo fatica a immaginare che quei vestiti e quelle scarpe usate, che a volte fanno bella mostra anche in certi nostri mercatini rionali, possano diventare oggetto di politica economica dei paesi africani e materia di conteziosi commerciali internazionali.
Eppure, è quello che sta avvenendo nei paesi dell’Africa Orientale - Uganda, Tanzania
e Rwanda- che si trovano alla vigilia di una guerra commerciale con gli USA
proprio in materia di commercio dell’abbigliamento usato.
Già lo scorso anno, il Rwanda, nell'intento di ridurre
il deficit commerciale e favorire e accelerare, per quanto possibile, la
produzione interna di prodotti tessili e
del pellame, aveva innalzato le tasse sui vestiti usati da $ 0,2 a $ 2,5 per
chilogrammo, mentre le imposte sulle scarpe usate erano aumentate da $ 0,2 a $
3 per chilogrammo. L’iniziativa andava a penallizzare il mercato dei vestiti e delle scarpe di
seconda mano, un mercato particolarmente florido in quasi tutti i paesi
africani, alimentato in gran parte da
flussi di merce proveniente dagli Stati Uniti.
Di fronte alla decisione del
Rwanda e dei paesi vicini di imporre dazi su tali merci per sottrarsi alla
costrizione, poco dignitosa, di
indossare gli scarti altrui penalizzando in aggiunta sul nascere l’industria
tessile locale, la reazione degli USA non si è fatta attendere. Per proteggere
un export di abbigliamento e scarpe di
seconda mano, che nel 2016 ammontava per
i tre paesi dell’Africa orientale a un controvalore di 281 milioni di dollari, gli USA
hanno minacciato di rivedere l'African
Growth and Opportunity Act (AGOA), che consente ad alcuni paesi africani
selezionati di esportare una gamma di prodotti per il mercato degli Stati Uniti
in regime di esenzione da dazi.
In base a tale disposizione, l'Uganda, la
Tanzania e il Rwanda sono riusciti a esportare, nel 2016, beni per un valore di 43
milioni di dollari. Ora, per una questione di 24 milioni di dazi sull’ammontare
complessivo dell’export americano, rischia di saltare un accordo commerciale vitale per i
paesi africani. Sull’argomento è intervenuto ieri il presidente
rwandese Paul Kagame che, di fronte alle
minacce USA, ha confermato la volontà di procedere con la prevista eliminazione
di importazione di abiti di seconda mano, perché il “Rwanda e gli altri paesi della regione, che
fanno parte di AGOA, devono prioritariamente far crescere e stabilizzare le proprie
industrie”.
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