Cade oggi il
venticinquesimo anniversario dell’inizio
della guerra civile rwandese conclusasi nel luglio del 1994, al prezzo
di centinaia di migliaia di morti. Il 1° ottobre 1990, soldati della National
Resistance Army di origine rwandese, sotto il comando del generale maggiore
Fred Gisa Rwigyema muovono dall’Uganda alla conquista del Rwanda, prendendo il
nome di Armata Patriottica Rwandese (APR), braccio armato del Fronte Patriottico
Rwandese (FPR), l’organizzazione politica che raggruppava i profughi rwandesi di
origine tutsi, stanziati in prevalenza in Uganda, ma anche negli altri paesi
confinanti con il Rwanda, a partire dal lontano 1959. Si trattava in prevalenza
di militari inquadrati nell’esercito ugandese, di cui il generale Rwigyema era
vice ministro della difesa, essendo ministro il presidente ugandese Museveni, e
in cui molti ufficiali d’origine
rwandese occupavano posti di rilievo in particolare nell’ambito dei servizi
segreti.Il punto d’entrata in Rwanda è il posto di frontiera di Kagitumba che
cade in giornata nelle mani del 1° e 3° battaglione.L’attacco era stato
preceduto da mesi, se non anni, di preparazione nella massima riservatezza, nei
limiti consentiti dal coinvolgimento di un alto numero di persone.Gli ultimi
giorni di settembre, quelli decisivi, beneficiarono di almeno due condizioni
favorevoli all’avvio delle operazioni: l’assenza del presidente Museveni in
missione negli Stati Uniti, unitamente al suo omologo rwandese Habyarimana, che
faceva del gen. Rwigyema la più alta carica in campo, e la prossima festa
nazionale dell’indipendenza ugandese, il 9 ottobre, che giustificava
spostamenti di truppe sul territorio ugandese. Per questo il 25 settembre il
gen. Rwigyema diede il via alle operazioni dando ordine ai militari rwandesi
inquadrati negli organici dell’esercito ugandese di approvvigionarsi di armi, automezzi,
carburante e quant’altro potesse servire alle operazioni d’invasione del Rwanda
che sarebbe scattata di lì a qualche
giorno. Il generale Rwigyema, artefice dell’intero progetto di riconquista del
potere nel paese d’origine, non ebbe però modo di raccogliere i frutti di un
disegno da lungo coltivato; all’indomani dell’attacco, infatti, secondo le
ricostruzioni più attendibili, morì per un colpo di fucile alla testa, vittima
di un complotto nato all’interno della sua stessa armata, in cui troppi non
condividevano le sue linee strategiche di come arrivare a Kigali e, soprattutto, di che tipo di governo isturarvi.Nei giorni
successivi, il maggiore Paul Kagame, responsabile del personale e dell’amministrazione del DMI,
il servizio d’intelligence militare ugandese, veniva fatto rientrare dagli Usa,
dove si trovava a frequentare un corso di perfezionamento all’accademia
militare di Fort Leavenworth, e, sembra su indicazioni dello stesso presidente
ugandese Museveni, assumeva, non ancora trentatreenne, il comando delle operazioni, anche se con qualche
mugugno da parte di altri ufficiali che non ne condividevano la scelta.
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