"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


lunedì 26 dicembre 2011

Il libro di Silvana Arbia: un'occasione mancata

Silvana Arbia, oggi capo della cancelleria della Corte penale internazionale dell’Aia, per quasi nove anni, fino al 2008, ha lavorato come procuratore e poi chief of prosecutions presso il Tribunale penale internazionale per il Rwanda (tpir ) a Kigali e ad Arusha in Tanzania. Di recente ha pubblicato  un libro – Mentre il mondo stava a guardare ed. Mondatori- in cui  racconta di quel periodo e del difficile ma instancabile cammino che la giustizia internazionale  ha fatto per combattere i crimini contro l'umanità. In particolare, la ricostruzione di una decina di casi, in cui l’autrice ha sostenuto l’accusa nei processi contro alcuni tra i più spietati responsabili del genocidio rwandese, mira a richiamare la coscienza del mondo a non dimenticare le crudeltà di quel tragico periodo perché non si abbiano a ripetere. Dobbiamo dire che il libro non convince. Da una donna chiamata a reggere l’accusa e “determinata a fare quello che potevo per ridare giustizia a quel paese martoriato” e oggi seduta su un comodo scranno all'Aia, ci si sarebbe aspettati un po’ di quel coraggio che l’Arbia rappresentante dell'accusa richiedeva ai suoi testimoni chiamati a confermare le prove contro i tanti imputati di efferati delitti. Nel rispetto del mandato di indagare e giudicare “le responsabilità di entrambi” i contendenti in campo, un accenno, en passant, anche alle responsabilità dei vincitori, proprio perché, come esplicitamente espresso dalla stessa autrice, “il vincitore non poteva più essere considerato, come accadeva in passato, il giudice dei vinti”, forse poteva trovare posto nelle 197 pagine del libro. Invece niente. Invano cerchereste un riferimento alle migliaia di vittime civili tra la popolazione del nord occupato da quelli che l’autrice chiama i ribelli del Fpr, piuttosto che al massacro, avvenuto nel 1995 da parte dell’esercito dei vincitori, di qualche migliaia di sfollati nel campo profughi di  Kibeho ( 4.000 secondo osservatori internazionali), anche se quest'ultimo crimine non rientrante nella sfera di competenza del Tpir. Eppure queste vicende dovevano  essere citate nel Libro Azzurro dell’Onu, contenente la cronistoria dei fatti rwandesi, che l’autrice cita come fosse la Bibbia “le raccolte di documenti delle Nazioni Unite non hanno mai mancato di offrirmi il conforto della veridicità storica dei fatti”. Forse, in questo caso anche la procura del Tribunale, così come il mondo, “stava a guardare”.
Perché non farne almeno un accenno? Non fosse altro per dire che si sarebbe voluto, ma non si è potuto prendere alcuna iniziativa. Salvo fare la fine del magistrato svizzero Carla Del Ponte, collega dell’Arbia al Tribunale per il Rwanda e mai citata nel libro, allontanata dallo stesso Tribunale nel 2003 perché le sue indagini intendevano far luce anche sulle responsabilità dei vincitori. Magari a partire dalla ricerca dei responsabili, mai individuati, dell’abbattimento dell’aereo presidenziale del 6 aprile 1994, con la morte del presidente rwandese e di quello del Burundi, che diede avvio agli eccidi e che l’Arbia archivia con un ineffabile “ la questione è tuttora aperta e la verità avvolta nel mistero. Si sono fatte, però, diverse ipotesi”. Ma se la ricerca della verità non compete a un procuratore del Tribunale penale internazionale per il Rwanda (Tpir ), a chi? E senza verità come si può aspirare a "ridare giustizia a un popolo martoriato”? Il libro  un po’ narcisistico  dell’Arbia non  ha neppure provato a sfilacciare quel velo per intravedere la verità, eppure aveva l'opportunità per farlo. Per questo crediamo che sia un’occasione mancata.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Ti ringrazio per avermi segnalato questo libro, lo leggerò sicuramente.
Anch’io penso che il Rwanda non ha ancora fatto definitivamente i conti con il suo passato purtroppo.
Del resto basta parlare con chi ha vissuto realmente quei giorni terribili per capire che ci sono zone del Rwanda dove i vincitori hanno fatto strage dei vinti, dove stranamente qualche mese prima dell’inizio dei fatti qualcuno parlava qualche parola d’inglese.
Nessuno in Rwanda può mettere in discussione la bontà dell’azione dell’ FPR (ugandese), alle passate elezioni qualcuno ci ha provato e la sua bocca è stata prontamente chiusa.
Ma la cosa ancora più assurda come hai scritto giustamente anche tu è che spesso anche in occidente si fa un’analisi molto superficiale cercando di non alzare polveroni inutili…tanto del piccolo paese dalle mille colline non frega niente a nessuno.

Se non l’hai già fatto ti suggerisco la lettura anche di questo libro: “Rwanda. Istruzioni per un genocidio di Daniele Scaglione. Anche qui vengono raccontate mezze verità.
Saluti
Carlo

mbg ha detto...

Penso di dover rileggere il libro di Scaglione, dopo averlo letto alla sua prima uscita, anni fa quando ancora conoscevo poco dei fatti rwandesi.Dalle recensioni lette dopo la recente riedizione penso che tu abbia ragione nel sostenere che anche qui ci siano solo mezze verità.

Ivano ha detto...

Il tribunale internazionale di Arusha si deve occupare del genocidio, che è uno soltanto. In giro ci sono troppi negazionisti.
Oppure al contrario si vuol parlare di controgenocidio.
Quello che è successo durante e dopo il genocidio è noto e le colpe delle truppe del FPR non sono facilmente nascondibili. Ma distinguiamo: il FPR ha commesso crimini di guerra e andrebbe messo in piedi un'accusa chiaramente mirata. Quello che è successo ai tutsi è un'altra cosa ed è infitamente più grave. Fa difetto il risultato, scarso, del tribunale di Arusha che in tanti anni ha condannato 4 gatti.

mbg ha detto...

Il Tribunale doveva agire sulla base di questo mandato, così come appare nel sito dello stesso Tribunale:
Jurisdiction
RATIONE MATERIAE: genocide, crimes against humanity, violations of Article 3 common to the Geneva Conventions and of Additional Protocol II shall be punish-able;
RATIONE TEMPORIS: crimes committed between 1 January and 31 December 1994;
RATIONE PERSONAE ET RATIONE LOCI: crimes committed by Rwandans in the territory of Rwanda and in the territory of neighboring States, as well as non-Rwandan citizens for crimes committed in Rwanda.

Come si vede, oltre al genocidio da tutti riconosciuto,c'era anche altra materia d'indagine. A voler essere precisi rimaneva escluso quanto accaduto nel campo èprofughi di Kibeho in quanto avvenuto dopo il 31 dicembre 1994.