"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


martedì 11 ottobre 2011

Una sfida per il nuovo ambasciatore belga a Kigali

Ieri ha presentato le proprie credenziali il nuovo ambasciatore belga, Marc de Pecsteen Buyrswerve, il quale si è affrettato ad assicurare che favorirà gli scambi e gli investimenti, portando gli investitori belgi in Rwanda. Ha quindi aggiunto:"Questa è la mia prima volta ad essere un ambasciatore e ciò che mi ha emozionato è quello di diventare un ambasciatore in un paese come il Rwanda che ha un lungo rapporto storico con il Belgio. Continuerò sulla base della cooperazione bilaterale già esistente. " Sarebbe importante se il nuovo ambasciatore affrontasse anche il problema da noi sollevato della gestione dei visti dei cittadini rwandesi che intendono visitare i paesi dell’Unione Europea. Come noto, si veda in proposito il nostro post del   24 agosto scorsoil Belgio si è riservato a livello europeo una specie di diritto di veto al rilascio di un visto d’ingresso a cittadini rwandesi da parte di ogni altro paese facente parte dell’Unione europea. Non si tratta di far valere motivi di sicurezza che potrebbero più opportunamente essere trattati avvalendosi dello strumento del SIS-Sistema Informatico Schengen, una specie di black list dove vengono inseriti tutti i soggetti da tenere sotto controllo per motivi di giustizia o di pericolo di terrorismo, ma di un vero e proprio diritto di veto di assoluta discrezionalità che può colpire indistintamente ogni cittadino rwandese intenzionato a venire in Europa. L’esercizio di questo diritto assume forme decisamente antipatiche, innanzitutto  perché spesso non se ne conosce la motivazione  o, peggio, quando l’ambasciata si degna di far conoscere le motivazioni si scopre, come ci è capitato di verificare di persona, che sono del tutto ridicole e offensive nei confronti del lavoro istruttorio delle cancellerie consolari degli altri paesi.Ecco, se il nuovo ambasciatore facesse in modo di rimuovere, o per lo meno allentare, questo strumento che abbiamo bollato come neocolonialismo di ritorno, forse l’auspicata cooperazione bilaterale verrebbe aggiornato a un rapporto tra stati sovrani, rimuovendo ogni ombra  di passate dipendenze coloniali.

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