"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


sabato 30 luglio 2011

Il numero dei batwa rwandesi è ormai al lumicino


Bambini batwa della comunità di Kibali
Negli ultimi quindici anni  il numero dei batwa residenti in Rwanda si è praticamente dimezzato. Le autorità amministrative hanno censito nel 2010  25000 batwa, quando il loro numero era di 45000 nel 1994, ridottosi a 35000 dieci anni dopo: in pratica poco più dello 0,20 per cento dell'intera popolazione rwandese. Secondo uno studio pubblicato il mese scorso dall’associazione Coporwa che raggruppa i vasai rwandesi ( lavoro tradizionalmente svolto dai batwa) emergono dati che testimoniano la grave situazione di degrado in cui vivono le varie comunità batwa sparse sul territorio. Solo un batwa su tre accede alle cure mediche attraverso l’assicurazione sanitaria, per mancanza di denaro per sottoscrivere la quota parte di competenza del paziente, pari a   2500     Frw; mentre l’ottanta per cento dei batwa si può permettere un solo pasto al giorno. Se a un simile quadro si  aggiunge che le abitazioni, alcune frasche ricoperte di teli,  sono totalmente inadeguate a riparare dalle intemperie e dal  freddo della notte rwandese di certe zone di montagna, ben si comprende come la mortalità sia ben sopra la media. Per questo i responsabili delle diverse comunità auspicano programmi d’inserimento nel tessuto economico sociale rwandese, peraltro in presenza di grandi resistenze da parte del resto della popolazione, e soprattutto che vengano assegnati alle diverse comunità batwa dei terreni da coltivare, così da consentire loro di avere il necessario per l’alimentazione; fino a due anni fa, secondo gli stessi responsabili delle comunità, circa il 40 per cento dei batwa era dedito all’accattonaggio. A fronte di un simile quadro, assume un particolare rilievo quanto fatto dall’Ass. Kwizera per la comunità batwa di Kibali, dove questi auspici hanno trovato una loro concretizzazione in abitazioni degne di tal nome e in terreni coltivabili in grado di garantire l’autoconsumo e, a breve, anche la fonte di qualche ricavo monetario.

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