"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


martedì 16 giugno 2009

L'industria della solidarietà

Riprendiamo questa intervista, comparsa su Vanity Fair, alla giornalista olandese Linda Polman, autrice de L’industria della solidarietà (Bruno Mondadori, pagg. 224, € 16). L'autrice, che ha vissuto per anni tra Ruanda, Somalia e Sierra Leone, parlando con gli operatori delle organizzazioni non governative (Ong) e governative, e con chi gli aiuti umanitari li riceve, svela in questo libro contraddizioni, scandali e interessi economici che si nascondo dietro e dentro la gigantesca industria degli aiuti.

Che cosa non ci raccontano?

Che gli aiuti spesso vengono usati come strumenti di guerra: i soldati e i ribelli mangiano il cibo destinato alle popolazioni, i regimi rubano i soldi e ci comprano armi. In Etiopia, il governo provoca periodicamente delle carestie per attirare le organizzazioni: così dà da mangiare ai soldati.

Le associazioni che possono fare?
Andarsene da quei Paesi dove vengono sfruttate. Sembra una scelta terribile, lo so, ma le ricordo che in questo momento ci sono 61 guerre in corso, e noi interveniamo solo in 10 o 12. Di fatto, diciamo “no” alle vittime continuamente.

Quante sono le organizzazioni umanitarie? E quanti soldi gestiscono?
Secondo l’Onu, 37 mila quelle internazionali, a cui vanno aggiunte le locali. Ogni anno i Paesi donatori dell’Ocse stanziano circa 120 miliardi di dollari per la cooperazione allo sviluppo e 6 miliardi per gli aiuti umanitari, cioè il pronto soccorso in caso di guerre e catastrofi. In più ci sono le collette di chiese e associazioni. le campagne via sms, che portano altri centinaia di milioni. La Johns Hopkins University calcola che tutte insieme, in termini di giro d’affari, le Ong rappresentano la quinta economia mondiale.

Un gran business. C’è competizione o cooperazione tra di loro?
Una competizione durissima, In ogni zona di crisi intervengono in media300 organizzazioni: non si distribuiscono il lavoro prima di recarsi lì, ma ci vanno e poi cercano di aggiudicarsi l’appalto.

Quanto guadagnano gli operatori umanitari?
Si va dai 2 mila ai 5 mila euro, più bonus ed extra variabili a seconda dei rischi che si corrono: il lavoro del cooperante è al quinto posto tra i dieci più pericolosi, dopo il taglialegna, il pilota, il pescatore e l’operaio metalmeccanico. lo ho conosciuto persone che lavorano per l’Unione Europea – il secondo maggior donatore dopo gli Usa – che in Africa arrivavano, a prendere anche 17 mila euro al mese.

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Non è il caso dei volontari di una piccola associazione come Kwizera Onlus che non gravano sui fondi raccolti neppure per le spese di viaggio.
Per il resto qualche dubbio ci era sorto vedendo certe cose e incrociando certi operatori.


Sull'argomento si può leggere anche l'intervista all'autrice del libro, comparsa nell'edizione odierna de Il Giornale. ( clicca qui )

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