Alla luce del grave scandalo che sta emergendo in Vaticano, circa la cattiva gestione delle finanze del Vaticano, dove alla malafede di molti dei protagonisti si accompagna una evidente carenza di conoscenze professionali, tali da rendere i protagonisti ecclesiastici facili vittime di avventurieri della finanza, neppur di elevato standing, riproponiamo questa riflessione tratta dal libro Dentro il Rwanda. La riflessione, seppur rivolta alla realtà ruandese, non manca di avere una sua valenza anche nella lettura dei fatti di cui riferiscono le cronache.
Vi fareste operare di appendicite dal vostro parroco?
Dopo essersi chiesti che razza di domanda sia mai questa, tutti risponderebbero di no e di preferire ricorrere a un medico chirurgo. Analogamente risponderebbero se si chiedesse a chi farebbero progettare una casa, piuttosto che curare un animale o ancora quali fertilizzanti usare su un determinato terreno: di volta in volta il preferito sarebbe l’ingegnere, il veterinario e l’agronomo. Se la domanda fosse invece: fareste gestire i vostri investimenti o impiantare un’azienda al vostro parroco, la risposta non sarebbe così pronta e puntuale. Si direbbe che sì, forse ci si potrebbe anche affidare al parroco, in fin dei conti dovrebbe essere onesto e quindi non si rischierebbe di vedersi derubati. Chiunque vede la debolezza di una simile risposta. Nessuno si farebbe incidere la pancia se non da un chirurgo, convinti che solo una simile figura professionale abbia le conoscenze e le capacità per effettuare una simile operazione, mentre si è pronti ad affidarsi con fiducia a un non esperto per gestire fatti e intraprese economiche, accontentandoci della sola presunta onestà. Come si vede è ben strana una simile logica. Si pretende, giustamente, dal medico che ci opera che abbia compiuto gli studi necessari e abbia maturato la necessaria pratica, mentre a un sacerdote viene riconosciuta la capacità di gestire un’azienda, come potrebbe essere una diocesi, per il solo fatto di averne ricevuto l’incarico dal proprio vescovo. Eppure, come si devono studiare materie per esercitare la medicina, ci sono anche corsi ben definiti per appropriarsi delle conoscenze in economia e in gestione d’impresa. Se bastasse buon senso e onestà per gestire gli affari economici di una qualsiasi organizzazione, anche ecclesiale, non si capisce perché tanti studenti perdano tempo e soldi per frequentare le facoltà di economia e qualche corso manageriale. Certo, ci sono fior di grandi manager che, partiti magari da studi di filosofia, sono arrivati a gestire grandi aziende, facendo però un percorso all’interno di imprese strutturate dove era quotidiano il confronto con manager depositari delle conoscenze e delle tecnicalità proprie delle varie specializzazioni aziendali. E allora, fareste gestire la vostra azienda dal vostro parroco, senza che questi abbia almeno i necessari supporti di esperti in materia? La domanda non è poi così peregrina, se capita di assistere al default finanziario che ha interessato, qualche anno fa, una diocesi ruandese, e alle voci circa i precari equilibri di altre. La gestione delle finanze di una diocesi può contare da tempo su strumenti e tecniche, già ampiamente consolidati in ambito aziendale, che dovrebbero consentire ai responsabili di mettersi al riparo da qualsiasi sorpresa e affrontare per tempo ogni possibile segnale di crisi. Certo è necessario poter disporre di persone di accertata affidabilità e di sicura competenza che dominino la materia e sappiano intervenire per tempo per disinnescare ogni possibile rischio. Purtroppo non sempre i requisiti dell’affidabilità e della competenza albergano nella stessa persona, con le ovvie inevitabili conseguenze Sono altresì necessarie figure che svolgano azioni di controllo sulla gestione, per evitare che le criticità siano scoperte quando ormai la situazione è di fatto fuori controllo, per incompetenza o, peggio, per inaffidabilità dei preposti alla gestione. Tali professionalità, da sole, non sono però sufficienti se da parte del vescovo, responsabile in ultima istanza della gestione della diocesi, non c’è la disponibilità ad ascoltare e accettare anche i no che il proprio economo deve spesso opporre alle richieste che arrivano dall’alto. Purtroppo i significativi flussi finanziari che negli ultimi anni confluiscono sul territorio, interessando spesso direttamente le singole diocesi, sembrano aver fatto dimenticare a tante strutture ecclesiali un approccio più misurato con il denaro, lasciando il posto a gestioni non sempre rigorose. Abbiamo spesso assistito a spese non giustificate alla luce delle finanze diocesane, a stili di vita non coerenti con la dura realtà locale e con le scelte di vita religiosa. Un po’ più di misura da parte di tutti sarebbe, quindi, quanto mai auspicabile. Così come sarebbe auspicabile che certi modelli gestionali, di cui le Onlus più attente a una prudente e puntuale gestione delle somme loro affidate dai benefattori si fanno portatrici, fossero visti come modelli da imitare piuttosto che astruserie da muzungu, come qualche volta succede.
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