"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


martedì 16 agosto 2016

Per vincere alle olimpiadi, come i kenyani, al Rwanda servirebbe un frate-allenatore

Commentando l’andamento dei giochi olimpici, l’editorialista de The New Times, Joseph Rwagatare, si chiede perché gli atleti rwandesi della corsa sulle medie e lunghe distanze , non ottengano gli stessi successi  degli atleti etiopi e kenyani  pur beneficiando delle medesime situazioni ambientali ( alta quota). Salome Nyirarukundo, concorrente rwandese sui 10.000 metri, ha dovuto accontentarsi di un modesto 27 ° posto. “O addirittura perché gli africani non dovrebbero emulare i giamaicani e altri atleti di colore dei Caraibi e degli Stati Uniti negli sprint? – prosegue l’articolista-.. dopo tutto questi atleti hanno origine dall'Africa occidentale e probabilmente ancora portano gli stessi geni dei loro antenati”. La risposta, secondo Rwagatare, è che in Rwanda non vi è alcuna attenzione allo sport a livello scolastico, dalle scuole primarie fino all’università. A questo riguardo merita andare a riscoprire come sia nato il miracolo del mezzofondo kenyano che da anni domina a livello mondiale ed olimpico. E’ l’affascinante storia di un frate irlandese, padre  Colm O'Connell, che  a Seul 1988, portò da allenatore un anonimo kenyano, Peter Rono, all’oro sui 1.500 metri davanti al favoritissimo britannico Steve Cram. Ne arriveranno altri quattro, l'ultimo con David Rudisha, che a Londra 2012 ha stabilito il nuovo record del mondo negli 800 metri.
Ecco la storia, come raccontata su La Bussola da Lorenzo Galliani, di quel frate irlandese, Colm O'Connell, arrivato nel 1976 a Iten, Rift Valley, 350 chilometri a nord di Nairobi, a insegnare geografia alla scuola St. Patrick. 
Neppure il tempo di ambientarsi, e gli venne affidata anche la squadra di atletica. Non ci capiva nulla, e fu un ottimo motivo per iniziare a studiare, e a insegnare un po' di disciplina a quei ragazzi forti ma ancora figli di allenamenti forse troppo improvvisati. Capì, tra le tante cose, che i suoi atleti era meglio mandarli a gareggiare in Europa: premi più alti, avversari meno forti (per forza, i kenyani corrono veloci e in Kenya pare ce ne siano tanti...). Le spese per il viaggio erano spesso compensate dagli incassi ottenuti per buoni piazzamenti, oltre che da un cambio sfavorevole per lo scellino locale. È in questo modo che molti atleti di padre Colm sono riusciti, negli anni, a comprare casa, o ad assicurare un futuro dignitoso per la propria famiglia. Così, in modo del tutto spontaneo, a Iten altri team stabilirono il loro quartiere generale. 
Oggi la piccola cittadina della Rift Valley è la capitale dell'atletica leggera: 4mila abitanti, mille atleti professionisti, una proporzione impressionante. Più tanti altri che cercano di mettersi in mostra sulle stradine di terra rossa, sperando di essere notati da un allenatore di passaggio. Appena incrociano uno mzungu, un bianco, gli chiedono: «Sei un coach?», e iniziano a snocciolare i loro personali sulle varie distanze, veri o falsi che siano. Sanno bene che andare a raccogliere qualche premio in Europa (bastano poche migliaia di euro, non serve necessariamente il primo posto alla maratona di New York), beh, può dare una svolta alla loro vita.
Padre Colm di vite ne ha cambiate tante. Quella di Peter Rono e di David Rudisha, dicevamo, ma anche degli altri ori olimpici da lui allenati, tutti nei 3mila siepi: Matthew Kiprotich Birir (Barcellona 1992), Reuben Seroney Kosgei (Sydney 2000), Brimin Kiprop Kipruto (Pechino 2008). Più decine di trionfi ai mondiali di atletica leggera, forse troppi per essere ricordati anche da lui.
«La maggior parte dei miei allievi proviene da famiglie povere», ha raccontato Padre Colm. «Molti diloro vedono nell'atletica l'opportunità per cambiare la vita delle proprie famiglie. Se ottengono successi, investono i loro soldi nelle comunità locali, fornendo occupazioni e costruendo strutture. Abbiamo scuole, cliniche, strade e ospedali finanziati da vittorie sportive». Uno degli ori del Kenya, d'altra parte, è proprio la corsa, e a padre Colm va il merito di aver valorizzato questo giacimento. Quando arrivò in Kenya era solo un frate appassionato di football gaelico, un pasticcio irlandese di rugby e calcio. Oggi è uno degli allenatori più vincenti di tutti i tempi. Capace di fare dell'atletica la sua terra di missione.

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