Il
successo della carne di maiale in Rwanda è un fenomeno abbastanza
recente; nel passato il maiale era scarsamente diffuso nelle campagne, dove si
privilegiava e tuttora si privilegia l’allevamento delle capre. Ora anche nei
villaggi si cominciano a incontrare, sempre più di frequente, famiglie che
possiedono un proprio maiale e qua e là si incontrano dei piccoli allevamenti.
Per quanto verificato in loco, bisogna però dire che le tecniche di allevamento
sono ancora migliorabili sia per le modalità di ricovero degli animali e, soprattutto,
per l’alimentazione. Ci è capitato di vedere maiali alimentati con pastoni a base di farina, lasciando
inutilizzati scarti di cucina come bucce di patate piuttosto che di banana o
avocado lasciati marcire al suolo piuttosto che essere dati ai maiali. Ci
rimane poi la curiosità di conoscere come avvenga la macellazione e la
consumazione; tenuto conto che, stante il clima locale, sarà difficile che si
possano produrre degli insaccati, vorremmo capire se anche in Rwanda del maiale
non si butta niente.
"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI
sabato 29 ottobre 2011
La grigliata di maiale insidia le brochettes
martedì 25 ottobre 2011
Un nuovo romanzo sul Rwanda
I Cento giorni (Einaudi, pagg. 216, euro 15, traduzione di Daniela Idra) è il romanzo d’esordio che il drammaturgo elvetico Lukas Bärfuss ha ambientato in Rwanda nel periodo che va dall'aprile al luglio del 1994, quando il Paese, che veniva considerato «la Svizzera africana», si trasformò nel teatro di «uno dei crimini del secolo».Il libro viene così presentato dall'editore: David Hohl, uno svizzero tranquillo, nel 1990 parte per il Rwanda, per aggregarsi a un importante progetto di cooperazione. Nel panorama africano, il paese è una positiva anomalia con allevamenti di bestiame, con programmi di riforestazione, con una situazione politica tutto sommato stabile. La collaborazione funziona, i risultati non mancano. Ingenuo e idealista, Hohl stenta a comprendere una realtà radicalmente altra, un universo enigmatico, talvolta minaccioso e in ogni caso non valutabile in base ai parametri occidentali. Nel rapporto con l'affascinante Agathe, una donna dalla sensualità dirompente, intuisce forse di trovarsi di fronte a questo baratro di incomprensione. Ma non è sufficiente: nonostante tutte le avvisaglie, nei quattro anni che trascorre nel paese non si rende conto della tragedia che si sta preparando. E così scivola, quasi impercettibilmente, in un incubo: quando, nella primavera del 1994, ha inizio il massacro, cerca di tenere i contatti con la donna - che con gli anni ha maturato una sua coscienza politica e muore di colera in un campo profughi -,non parte con gli altri occidentali, per cento giorni rimane recluso nella sua abitazione e diventa così testimone e in qualche modo complice del genocidio che costò la vita a quasi un milione di persone.
«Negli anni seguenti ho cercato di tenere lontano dalla mia vita ogni turbamento e solo a volte, quando ascolto la tanta gente arguta e leggo i tanti libri intelligenti che da allora sono stati scritti su quel periodo, allora cerco il mio nome nell'indice analitico, e il nome del piccolo Paul, sotto Direzione della cooperazione allo sviluppo e dell'aiuto umanitario, e quando eccezionalmente li trovo, al massimo c'è scritto che eravamo lì e forse anche che abbiamo investito in quel paese più soldi di tutte le altre nazioni. La nostra fortuna è sempre stata che in ogni crimine in cui era coinvolto uno svizzero ci fosse sempre di mezzo qualche farabutto più grosso, che attirava su di sé l'attenzione e dietro il quale potevamo nasconderci. No, non appartenevamo a quelli che commettevano bagni di sangue. Erano altri a farlo. Noi ci sguazzavamo dentro. E sapevamo perfettamente come bisognava muoversi per restare a galla e non affondare in quella salsa rossa».
«Negli anni seguenti ho cercato di tenere lontano dalla mia vita ogni turbamento e solo a volte, quando ascolto la tanta gente arguta e leggo i tanti libri intelligenti che da allora sono stati scritti su quel periodo, allora cerco il mio nome nell'indice analitico, e il nome del piccolo Paul, sotto Direzione della cooperazione allo sviluppo e dell'aiuto umanitario, e quando eccezionalmente li trovo, al massimo c'è scritto che eravamo lì e forse anche che abbiamo investito in quel paese più soldi di tutte le altre nazioni. La nostra fortuna è sempre stata che in ogni crimine in cui era coinvolto uno svizzero ci fosse sempre di mezzo qualche farabutto più grosso, che attirava su di sé l'attenzione e dietro il quale potevamo nasconderci. No, non appartenevamo a quelli che commettevano bagni di sangue. Erano altri a farlo. Noi ci sguazzavamo dentro. E sapevamo perfettamente come bisognava muoversi per restare a galla e non affondare in quella salsa rossa».
domenica 23 ottobre 2011
venerdì 21 ottobre 2011
Stop alle bici sulle strade asfaltate
martedì 18 ottobre 2011
Una storia rwandese
“Troppo bella per
essere vera” è la prima reazione che si ha leggendo la storia che l’agenzia Syfia
riporta nel suo ultimo lancio via internet. Una storia che affonda le radici
nei tragici eccidi del 1994, quando in un villaggio rwandese dalle parti
di Nzahaha, un settore del distretto di
Rusizi nel sud ovest, Gratien Nyaminani uccise Védaste Kabera, il marito di
Bernadette Mukakabera. Dopo il genocidio, Nyaminani è stato arrestato,
condannato e imprigionato. Durante la prigionia, sua figlia Donata, quasi a
voler riparare le gravi colpe del padre
aveva con molto coraggio
cominciato ad aiutare la famiglia di
Mukakabera in tutti i lavori domestici.Superando la comprensibile diffidenza iniziale della
signora Bernardette, ma più in generale della comunità del villaggio, Donata ha
fatto breccia nel cuore della vedova : "Il suo atteggiamento mi ha sconcertato
– ricorda Bernardette- ... Lei piangeva e mi implorava il perdono per suo padre."
Passando attraverso un percorso non facile che cancellasse tutti i sentimenti
d’odio e di vendetta scatenati dalla perdita violenta del marito per mano del
vicino di casa, il momento del perdono è arrivato dopo che in un processo gacaca era stato concesso l'indulto a
Nyaminani. Al rilascio dalla prigione ha fatto seguito una speciale cerimonia
con la richiesta da parte di Nyaminani
del perdono alla famiglia della vittima. Famiglia del carnefice e
famiglia della vittima si sono riconciliate. Donata è ormai accettata nella famiglia di Bernardette quasi come una
figlia.Ma la storia, che sarebbe sufficientemente edificante se finisse qui, ha
sviluppi ancora più incredibili quando Bernardette si sente dire da suo figlio
Alfred Uzabakiriho, al quale
evidentemente non sono sfuggite le grazie e le doti della sorellastra, :
"Mamma, voglio sposarmi e non riesco a trovare una donna migliore di
Donata ". Il matrimonio dei due giovani suggella la definitiva
riconciliazione delle due famiglie. Una
storia troppo bella per essere vera?
Ai nostri amici rwandesi il compito di verificarne
la fondatezza; ne hanno tutti gli elementi : nomi dei protagonisti e luoghi
della vicenda.
Leggi l'articolo in francese dell'agenzia Syfia.
sabato 15 ottobre 2011
Indice globale della fame:ancora "allarmante" la situazione del Rwanda
E’ stato
presentato nei giorni scorsi, alla vigilia della giornata mondiale
dell’alimentazione che si celebrerà domani 16 ottobre, il Rapporto
predisposto dall'International Food Policy Research Institute (IFPRI)
contenente il Global Hunger Index GHI- Indice globale della fame.Al fine di
individuare i livelli di fame il Global Hunger Index prende in esame tre
indicatori: la percentuale di persone che sono denutrite, la percentuale di
bambini sotto i cinque anni che sono sottopeso e il tasso di mortalità
infantile.L’indice classifica i paesi assegnando un valore da 0 a 100, dove 0 rappresenta il valore migliore (assenza di fame) e 100 il peggiore, per quanto nella pratica non venga mai raggiunto nessuno dei due estremi. La scala mostra la gravità della fame – da un livello "basso" a "estremamente allarmante" – associata con la gamma di possibili punteggi di GHI:> 30.0 Estremamente allarmante, 20.0–29.9 Allarmante,10.0–19.9 Grave, 5.0–9.9 Moderato, < 4.9 Basso. Sulla base dei parametri presi in esame, che per il Rwanda
evidenziano le seguenti dinamiche : Popolazione denutrita : 34% ( dato riferito
al 2007 a fronte del 44% nel 1990 dopo una punta del 53% nel 95/97); Bambini sottopeso sotto i 5 anni: 18% (24.3% 1990); Tasso di mortalità sotto i cinque anni: 11,1% (17.1% 1990) ; il GHI attribuito al paese delle mille colline risulta di 21,0, in diminuzione dal 28,5 del 1990, passando dal 32,7 del 1996 e il 25,2 del 2001. Sui 122 paesi presi in esame nel Rapporto, il Rwanda si colloca al 60esimo posto, dietro a Togo e Tanzania e davanti a Liberia, Sudan, Madagascar, Mozambico, Niger, India, Zambia e Angola. La situazione rwandese, pur con i miglioramenti realizzati negli ultimi anni, rientra ancora, purtroppo, nella categoria “allarmante”.
martedì 11 ottobre 2011
Una sfida per il nuovo ambasciatore belga a Kigali
Ieri ha presentato le proprie credenziali il nuovo
ambasciatore belga, Marc de Pecsteen Buyrswerve, il quale si è affrettato ad
assicurare che favorirà gli scambi e gli investimenti, portando gli investitori
belgi in Rwanda. Ha quindi aggiunto:"Questa è la mia prima volta ad essere
un ambasciatore e ciò che mi ha emozionato è quello di diventare un
ambasciatore in un paese come il Rwanda che ha un lungo rapporto storico con il
Belgio. Continuerò sulla base della cooperazione bilaterale già esistente. "
Sarebbe importante se il nuovo ambasciatore affrontasse anche il problema da
noi sollevato della gestione dei visti dei cittadini rwandesi che intendono
visitare i paesi dell’Unione Europea. Come noto, si veda in proposito il nostro
post del 24 agosto scorso, il Belgio si è
riservato a livello europeo una specie di diritto di veto al rilascio di un
visto d’ingresso a cittadini rwandesi da parte di ogni altro paese facente
parte dell’Unione europea. Non si tratta di far valere motivi di sicurezza che
potrebbero più opportunamente essere trattati avvalendosi dello strumento del
SIS-Sistema Informatico Schengen, una specie di black list dove vengono
inseriti tutti i soggetti da tenere sotto controllo per motivi di giustizia o
di pericolo di terrorismo, ma di un vero e proprio diritto di veto di assoluta
discrezionalità che può colpire indistintamente ogni cittadino rwandese
intenzionato a venire in Europa. L’esercizio di questo diritto assume forme
decisamente antipatiche, innanzitutto
perché spesso non se ne conosce la motivazione o, peggio, quando l’ambasciata si degna di far conoscere le
motivazioni si scopre, come ci è capitato di verificare di persona, che sono
del tutto ridicole e offensive nei confronti del lavoro istruttorio delle
cancellerie consolari degli altri paesi.Ecco, se il nuovo ambasciatore facesse
in modo di rimuovere, o per lo meno allentare, questo strumento che abbiamo
bollato come neocolonialismo di ritorno, forse l’auspicata cooperazione
bilaterale verrebbe aggiornato a un rapporto tra stati sovrani, rimuovendo ogni
ombra di passate dipendenze coloniali.
domenica 9 ottobre 2011
sabato 8 ottobre 2011
Parte una nuova università nel distretto di Byumba
La Mount Kenya University, una istituzione privata keniota,
è intenzionata ad aprire un campus universitario nel distretto di Byumba. L'università,
che ha già due campus a Kigali, ha chiesto al distretto un appezzamento di terreno per costruire il
campus. I corsi che dovrebbero essere attivati
riguarderanno la formazione di infermiere e farmacisti, oltre che
programmi rivolti al miglioramento della formazione degli insegnanti delle
scuole primarie e secondarie.Le iscrizioni sono già aperte; i promotori contano di poter avere anche studenti provenienti dal vicino Uganda.
Dopo i numerosi corsi di laurea generalisti, finalmente un
corso che dovrebbe fornire figure con una specializzazione, come quella
infermieristica, di cui si sente veramente l’esigenza.
domenica 2 ottobre 2011
Buon viaggio Sunny: raccontaci anche l'altro Rwanda
Il giornalista Sunny Ntayombya, già citato su questo blog, nel suo commento odierno su The Sunday Times, annuncia che farà un giro nei villaggi rwandesi per raccontare anche quella realtà.
Così motiva questa sua decisione: "Perché vado al villaggio? Bene, ho vissuto in una grande città tutta la mia vita ed è stato fantastico. La possibilità di andare in un caffè e gustare una tazza di cappuccino, di visitare una libreria, di avere l'acqua corrente e l'elettricità regolarmente sono cose che ho imparato ad amare. E con buona ragione, questi servizi sono cose che rendono la nostra vita quotidiana più facile e più divertente. Ma negli ultimi due mesi, standomene seduto in ufficio a guardare i vari rapporti, ho iniziato a sentirmi molto curioso di conoscere la grande incognita, almeno per me: il Rwanda rurale".
Noi, che abbiamo più volte criticato quei giornalisti occidentali che scrivono del Rwanda fermandosi a Kigali, siamo prima sorpresi nell'apprendere che un commentatore rwandese confessi la sua scarsa o nulla conoscenza del Rwanda che vive fuori di Kigali ( dopo aver confessato recentemente la sua scarsa dimistichezza con il Kinyarwanda) e poi curiosi di conoscere quello che il simpatico Sunny scriverà di ciò che avrà visto con i suoi occhi nei villaggi che visiterà; speriamo non facendosi indirizzare dai solerti funzionari governativi sempre pronti a presentare qualche iniziativa promozionale del governo.Vada nei villaggi dove non arriva la corrente elettrica, dove non c'è l'acqua fuori l'uscio di casa, ma a qualche kilometro di distanza, dove è difficile mettere insieme il pasto quotidiano e poi venga a raccontarci quello che ha visto. Quindi, buon viaggio Sunny, attendiamo i tuoi reportage con molta curiosità!
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