"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


domenica 7 aprile 2024

Il giorno della Memoria

 Nel giorno in cui in Rwanda si fa Memoria della immane tragedia che sconvolse il Paese nel 1994. portando ovunque lutti e distruzione, riproponiamo qui di seguito, tratto dal libro Il modello Rwanda, una ricostruzione storica di quel periodo, a partire dal 1990, quando tutto iniziò. 

Nell’ottobre del 1990, i fuoriusciti tutsi che vivevano in Uganda, dove erano arrivati a ricoprire anche posti di rilievo nelle forze armate di quel Paese, danno inizio con il Fronte Patriottico del Rwanda all’invasione del nord Paese. Con l’appoggio di Usa e Gran Bretagna, desiderose di scalzare l’influenza francese schierata con il governo ruandese, i ribelli, sotto la guida capace e spregiudicata del giovane Paul Kagame appena rientrato da un’accademia militare statunitense, dopo quasi tre anni di guerriglia riescono a imporre al Governo ruandese un accordo di spartizione del potere (Arusha agosto 1993). L’accordo prevede, tra l’altro, la formazione di un governo di coalizione, un esercito che raggruppi le forze armate delle due parti in campo e l’adozione di principi democratici nella gestione del potere. Le Nazioni Unite inviano 2.800 caschi blu per vigilare sul rispetto degli accordi di pace. Nelle more di dare attuazione a questi accordi, il 6 aprile 1994 l’aereo presidenziale su cui viaggiano, di ritorno da Arusha, il presidente Juvenal Habyarimana e il suo omologo burundese, Cyprien Ntaryamira, verso le ore 20,30, viene abbattuto da ignoti nei pressi dell’aeroporto di Kigali. Le parti in conflitto, appellandosi alla vecchia logica del cui prodest, ancora oggi dopo inchieste interne e della magistratura francese, si rimbalzano la responsabilità di quella che unanimemente è ritenuta la causa scatenante della tragedia ruandese. E’ l’inizio della carneficina: gli squadroni della morte hutu si scatenano contro i tutsi, il Fronte Patriottico Ruandese-FPR lancia l’offensiva definitiva, il mondo resta a guardare. L’Onu ritira i suoi uomini, mentre gli americani non mandano una forza di peacekeeping, così che i loro alleati possano portare a termine la conquista del potere. Per ammissione dello stesso presidente statunitense dell’epoca, Bill Clinton, con l’invio di ventimila soldati in loco, forse si sarebbero potute salvare fino a 400 mila vite.  In realtà, ricerche storiche indipendenti hanno evidenziato come il ritiro delle forze del MINUAR e il mancato invio di nuovi contingenti, in grado di fermare i massacri, fossero frutto dell’esplicita richiesta di Kagame   che non ci fosse alcuna interferenza esterna fino a quando non avesse conquistato il potere. Il FPR può così portare a termine la marcia verso la conquista del potere iniziata nel 1990, partendo dall’Uganda.

Secondo la ricostruzione condivisa da quasi tutti gli osservatori internazionali, “dal 6 aprile alla metà di luglio del 1994, per circa 100 giorni, circa 800.000 persone, tutsi e hutu moderati, senza distinzione di sesso e di età, vennero massacrate sistematicamente oltre che a colpi di arma da fuoco anche di machete e di bastoni chiodati, da parte delle forze governative e delle milizie formate dalla maggioranza hutu”. Sarà questa la formula che da lì in avanti tutti i media useranno per descrivere quanto accaduto in Rwanda in quel tragico 1994. Secondo la risoluzione n. 96 del 1946 e la convenzione del 1948 dell’ONU i tutsi erano rimasti vittima di un genocidio che aveva visto massacrati circa i due terzi dei tutsi che, secondo i dati del censimento del 1991, risiedevano nel Paese, quantificabili secondo le ultime ricerche (2) in una forchetta tra 600.000 e 800.000. Il Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati stima prudentemente dai 25.000 a 40.000 le vittime, anche civili, ascrivibili al FPR, concentrate nelle zone del nord Rwanda occupate dai ribelli nella loro avanzata dall’Uganda. Qualunque sia l’esito di questa macabra contabilità, stime indipendenti quantificano in oltre 500.000 le vittime, mentre il governo ruandese ne fissa il numero in  1.074.017,  al termine di una crudelissima guerra, come solo una guerra civile per la conquista o la difesa del potere può esserlo, il 4 luglio, le truppe del FPR entrano a Kigali da vincitrici, dove peraltro stazionavano dal 28 dicembre 1993 nell’ambito degli accordi di Arusha 600 soldati scelti del 3 ° Battaglione dell'esercito patriottico ruandese (RPA-FPR). Le ostilità hanno fine e viene data immediata vita a un governo di unità nazionale, cui vengono associati tutti i partiti sulla base degli accordi di Arusha, con la sola esclusione di quelli coinvolti direttamente con il passato regime. Primo presidente della Repubblica viene nominato Pasteur Bizimungu, esponente hutu, mentre l’uomo forte del FPR, Paul Kagame, assume la vice presidenza e il ministero della Difesa.  Secondo l’agenzia dell’ONU per i profughi, l’UNHCR, a fine agosto 1994 oltre due milioni di profughi hutu, fra cui sicuramente molti che si sono macchiati di efferati crimini, ma per la stragrande maggioranza intere famiglie che volevano sottrarsi a possibili vendette dei vincitori, fuggono nei paesi vicini, di cui 1,2 milioni nello Zaire, 580mila in Tanzania, 270mila in Burundi e 10mila in Uganda, diventando per diversi anni nel Nord Kivu in Congo, dove molti rifugiati si trovano ancora oggi, uno dei fattori di instabilità dell’area. Dopo poco più di trenta anni dalla proclamazione dell’indipendenza, i profughi di allora riconquistano il potere e danno vita a una nuova stagione politica.

Rifugiati Ruandesi

Fine agosto 1994

 

 

Burundi settentrionale

270.000

Tanzania occidentale

577.000

Uganda sudoccidentale

10.000

Zaire (Goma)

850.000

Zaire (Bukavu)

332.000

Zaire (Uvira)

62.000

Totale

2.101.000

 Fonte: UNHCR

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