"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


venerdì 20 novembre 2020

Passa dal Rwanda il corridoio umanitario per svuotare i campi di prigionia in Libia

Sono sbarcati ieri all'aeroporto di Kigali 79 rifugiati e richiedenti asilo provenienti dalla Libia. Si aggiungono agli altri già arrivati nei mesi scorsi  nell’ambito dell’accordo firmato a settembre del 2018 ad Addis Abeba in Etiopia, tra il governo ruandese, l'Unione africana e l'Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati-UNHCR. Alla luce di tale accordo, il Rwanda ha accettato di istituire un meccanismo di transito per ospitare fino a 500 rifugiati, richiedenti asilo e altre persone bisognose di protezione  che sono intrappolate in Libia. Finora, il Rwanda ha ospitato, in un centro di transito di emergenza (EMTC) a Gashora, nel distretto di Bugesera, 306 rifugiati e richiedenti asilo  di nazionalità diverse, principalmente provenienti dal Corno d’Africa: Somalia, Sudan ed Eritrea. Grazie al supporto dell'UNHCR che cura l'iter di  reinsediamento sulla base delle esigenze dei paesi ospitanti, già 129 rifugiati sono stati reinsediati in Paesi europei, fra i quali Francia, Svezia e Norvegia, ed in Canada che avevano manifestato, in sede di accordo, la disponibilità ad accogliere i rifugiati ospitati dal Rwanda. Non tutti i richiedenti asilo saranno però trasferiti in altri paesi, stante la disponibilità del Rwanda di integrare nelle comunità ruandesi parte di questi ospiti. Con questa operazione il Rwanda si conferma un modello da seguire anche quale corridoio umanitario. Un esempio che purtroppo non trova troppi imitatori in Europa, tanto da indurre il dubbio che troppi vogliano mantenere piene le carceri libiche, come una sorta di alibi per giustificare le partenze dei barconi come fuga da quei luoghi di tortura e sevizie.  Se tutti facessero la loro parte come il piccolo Rwanda, i luoghi di detenzione in Libia sarebbero svuotati in una settimana. Ma poi i cronisti dei lager libici di cosa scriverebbero?

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