"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


martedì 9 luglio 2019

Il grido dell’Africa che vuole farcela

"Il grido dell'Africa che vuole farcela" è il titolo del servizio in primo piano del mensile Il Timone.E come esempio di "un'altra Africa, capace di crescere attraendo investimenti, svincolata da certi aiuti umanitari-in senso lato- dell'Occidente", viene additato il modello Rwanda. Delle realizzazione ruandese si dà puntuale conto anche con un ricco supporto fotografico. Nell'articolo viene anche menzionato, come meritevole di una lettura e più di una riflessione, il nostro libro Aiutiamoli a casa loro Il modello Rwanda. Ma la parte più interessante, vista anche l'impostazione del mensile, è quella dedicata alla posizione dei vescovi africani circa il fenomeno migratorio, quando dicono ai loro giovani:«Non lasciatevi ingannare dalle false promesse che vi porteranno alla schiavitù e ad un futuro illusorio! Con il duro lavoro e la perseveranza ce la potete fare anche in Africa e, cosa più importante, potete rendere questo continente una terra prospera». Lo hanno scritto i vescovi dell’assemblea delle Conferenze episcopali dell’Africa occidentale, che si è tenuta in Burkina Faso dal 13 al 20 maggio scorsi. O come sottolineato dal cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja in Nigeria, in una lunga intervista in cui racconta un’Africa stretta nella morsa delle false illusioni dell’Occidente e delle difficoltà politiche interne, mentre molti giovani, vittime della  tratta degli esseri umani, « muoiono nel Mediterraneo e se arrivano a destinazione spesso vengono sfruttati». Completa il servizio un'interessante intervista a Ilaria Bifarini, autrice 
de I coloni dell'austerity in cui si 
ripercorre la storia economica postcoloniale dell'Africa, passando per la crisi del debito dei paesi del Terzo Mondo, l’omicidio di Thomas Sankara e l’applicazione di politiche di apertura al libero scambio, liberalizzazioni e tagli alla spesa pubblica.
A fronte di una incontrastata narrazione buonista, che attribuisce al passato coloniale la colpa
dell’attuale esplosione del fenomeno migratorio, non tutti sanno che la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale hanno fatto del Terzo Mondo il laboratorio di sperimentazione delle loro politiche economiche neoliberiste.  A permettere che delle istituzioni finanziarie internazionali esercitassero un potere coercitivo sulla politica e l’economia di Stati sovrani è stata la loro condizione di indebitamento. Attraverso lo strumento dei prestiti condizionati sono state concesse somme di denaro per aiutare i paesi indebitati attraverso accordi che prevedono “condizionalità”, ossia l’adesione da parte dei paesi in difficoltà a riforme economiche di aggiustamento strutturale, fatto di apertura commerciale, incentivo alle esportazioni e alle importazioni -piuttosto che alla produzione e alla nascita di un’industria locale-, liberalizzazioni, privatizzazioni e tagli alla spesa pubblica.Paradossalmente, la soluzione della crisi del debito diventa la causa di un ulteriore indebitamento. I nuovi prestiti concessi per rimborsare il vecchio debito, provocano un ulteriore aumento dell’ammontare del debito.
Forse, anche perchè ha voluto sottrarsi a queste logiche, di cui era stato vittima sul finire degli anni ottanta, il Rwanda di oggi assurge a modello di sviluppo di un intero continente.

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