"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


venerdì 26 luglio 2019

Come il Rwanda affronta il rischio ebola


 Il Rwanda è alle prese con il serio rischio che l'epidemia di Ebola, che da 11 mesi infesta  la vicina Repubblica Democratica del Congo, dove  ha già fatto  oltre 1.600 vittime, possa sconfinare nel Paese dopo che si è già diffusa nella vicina Uganda
Controllo al confine con l'Uganda (foto The New Times)
dove si contano tre morti.Anche se ad oggi il Rwanda non ha mai registrato un caso dell'epidemia in corso, le autorità sono ben coscienti del grave rischio rappresentato dalle le decine di migliaia di persone che ogni giorno attraversano il confine da Goma in Congo alla città ruandese di Gisenyi, ivi comprese le persone che tornano a dormire in Rwanda.Per questo da tempo le persone che attraversano il confine sono sottoposte al controllo della temperatura, si lavano le mani e ascoltano i messaggi di sensibilizzazione sull'ebola.In generale, il Ministero della Salute ha stabilito una serie di misure per evitare che l'epidemia arrivi nel Paese: è stato attivato
 un dettagliato piano nazionale di formazione degli operatori sanitari preposti alla diagnosi precoce e nella risposta, educando le comunità sull'ebola, vaccinando gli operatori sanitari in aree ad alto rischio, attrezzando le strutture sanitarie e conducendo esercizi di simulazione per mantenere un alto livello di prontezza.Il Paese ha formato 23.657 persone, tra cui personale medico a vari livelli, agenti di polizia e volontari della Croce Rossa per affrontare possibili epidemie. Lo screening per i sintomi dell'Ebola nei punti di ingresso è in corso dall'inizio dello scoppio dell'epidemia nella Repubblica Democratica del Congo, ed è stato rafforzato dalla conferma di un caso nella città congolese di Goma.E’ stato istituito un centro di trattamento per l'ebola e 23 unità di isolamento sono in preparazione negli ospedali di 15 distretti. Sono state simulate esercitazioni in risposta all'ebola presso l'ospedale militare di Kanombe, l'ospedale distrettuale di Gihundwe, l'aeroporto internazionale di Kamembe e il centro di trattamento ebola di Rugerero per testare la preparazione del Ruanda in risposta a un caso, che includerà l'attivazione del centro operativo di emergenza, la sorveglianza attiva, la gestione dei casi e il laboratorio test. Circa 3000 operatori sanitari nelle aree ad alto rischio sono stati vaccinati come misura preventiva, di cui oltre 1100 a Gisenyi.
Il programma di contrasto dell'ebola ha raccolto l'apprezzamento del direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), Dr. Tedros Adhanom Ghebreyesus, che ha elogiato il Rwanda per i suoi continui sforzi di preparazione all'ebola e ha confermato che fino ad oggi non sono stati segnalati casi di ebola nel Paese.
Il governo ha consigliato al pubblico di essere più vigili osservando i seguenti suggerimenti:
• Evitare viaggi inutili verso le aree colpite da un'epidemia di Ebola.
• Riferire immediatamente alla stazione di screening più vicina se si proviene da un'area interessata da Ebola.
• Segnalare qualsiasi caso sospetto di Ebola tramite appositi numeri telefonici o direttamente alla struttura sanitaria più vicina.
• Segnalare qualcuno che provenga da un'area interessata dall'ebola
• Evitare il contatto con sangue e fluidi corporei, oggetti che potrebbero essere entrati in contatto con il sangue di una persona infetta o fluidi corporei.
• Evitare il contatto con il corpo di una vittima di Ebola e / o carne proveniente da una fonte sconosciuta.
• Avvisare ogni persona che è stata in contatto con un paziente con sintomi di Ebola o che ha partecipato a una cerimonia di sepoltura di un caso noto di Ebola per riferire immediatamente alla struttura sanitaria più vicina per cure mediche urgenti.
• Lavarsi sempre le mani con sapone e acqua pulita.

sabato 13 luglio 2019

Società ruandese produrrà il primo generico contro il cancro per il mercato africano


LEAF Rwanda, consociata della LEAF Pharmaceuticals LLC, una società farmaceutica globale con sede negli Stati Uniti,  fondata e presieduta dal ruandese Clet Niyikiza, già manager di importanti multinazionali farmaceutiche, ha annunciato di aver firmato un accordo che spiana la strada alla produzione del suo primo farmaco generico per il cancro, LEAF-1404, nell'ambito delle attuali Buone pratiche di fabbricazione (cGMP).L'accordo è stato raggiunto con la US Contract Manufacturing Organization (CMO), con sede negli Stati Uniti, che dispone di strutture di produzione all'avanguardia. La CMO sarà responsabile sia della produzione che della commercializzazione su larga scala, in Africa e in Europa, di LEAF-1404 in condizioni conformi a cGMP. Userà questa opportunità per addestrare, negli Stati Uniti, i produttori di farmaci ruandesi e africani, in preparazione del suo impianto di produzione di farmaci conformi alla cGMP, che sarà costruito a Kigali e dovrebbe iniziare a produrre  a metà del prossimo anno.L'accordo stipulato tra le due parti garantisce in genere servizi end-to-end, completamente integrati per la formulazione e il riempimento del contenitore primario dei prodotti farmaceutici in base agli standard cGMP. 
LEAF-1404 è una versione generica complessa di Caelyx / Doxil, un farmaco chemioterapico che è disponibile da oltre 20 anni nel mondo occidentale per il trattamento del carcinoma ovarico, del cancro al seno e del sarcoma di Kaposi. Il sarcoma di Kaposi è un tipo di cancro che provoca lesioni nei tessuti molli. Mentre la malattia è stata praticamente eliminata nei paesi occidentali, secondo le statistiche globali sul cancro indicano che il 90% dei casi di sarcoma di Kaposi nel mondo si verificano in Africa.
LEAF Rwanda sta prendendo questa iniziativa per aiutare a fornire medicinali di alta qualità per aiutare a curare il cancro nel continente africano, tenuto conto che secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità  un medicinale su 10  in Africa è al di sotto degli standard o è stato falsificato. Questi prodotti di scarsa qualità comportano annualmente decessi significativi in ​​Africa.

martedì 9 luglio 2019

Il grido dell’Africa che vuole farcela

"Il grido dell'Africa che vuole farcela" è il titolo del servizio in primo piano del mensile Il Timone.E come esempio di "un'altra Africa, capace di crescere attraendo investimenti, svincolata da certi aiuti umanitari-in senso lato- dell'Occidente", viene additato il modello Rwanda. Delle realizzazione ruandese si dà puntuale conto anche con un ricco supporto fotografico. Nell'articolo viene anche menzionato, come meritevole di una lettura e più di una riflessione, il nostro libro Aiutiamoli a casa loro Il modello Rwanda. Ma la parte più interessante, vista anche l'impostazione del mensile, è quella dedicata alla posizione dei vescovi africani circa il fenomeno migratorio, quando dicono ai loro giovani:«Non lasciatevi ingannare dalle false promesse che vi porteranno alla schiavitù e ad un futuro illusorio! Con il duro lavoro e la perseveranza ce la potete fare anche in Africa e, cosa più importante, potete rendere questo continente una terra prospera». Lo hanno scritto i vescovi dell’assemblea delle Conferenze episcopali dell’Africa occidentale, che si è tenuta in Burkina Faso dal 13 al 20 maggio scorsi. O come sottolineato dal cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja in Nigeria, in una lunga intervista in cui racconta un’Africa stretta nella morsa delle false illusioni dell’Occidente e delle difficoltà politiche interne, mentre molti giovani, vittime della  tratta degli esseri umani, « muoiono nel Mediterraneo e se arrivano a destinazione spesso vengono sfruttati». Completa il servizio un'interessante intervista a Ilaria Bifarini, autrice 
de I coloni dell'austerity in cui si 
ripercorre la storia economica postcoloniale dell'Africa, passando per la crisi del debito dei paesi del Terzo Mondo, l’omicidio di Thomas Sankara e l’applicazione di politiche di apertura al libero scambio, liberalizzazioni e tagli alla spesa pubblica.
A fronte di una incontrastata narrazione buonista, che attribuisce al passato coloniale la colpa
dell’attuale esplosione del fenomeno migratorio, non tutti sanno che la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale hanno fatto del Terzo Mondo il laboratorio di sperimentazione delle loro politiche economiche neoliberiste.  A permettere che delle istituzioni finanziarie internazionali esercitassero un potere coercitivo sulla politica e l’economia di Stati sovrani è stata la loro condizione di indebitamento. Attraverso lo strumento dei prestiti condizionati sono state concesse somme di denaro per aiutare i paesi indebitati attraverso accordi che prevedono “condizionalità”, ossia l’adesione da parte dei paesi in difficoltà a riforme economiche di aggiustamento strutturale, fatto di apertura commerciale, incentivo alle esportazioni e alle importazioni -piuttosto che alla produzione e alla nascita di un’industria locale-, liberalizzazioni, privatizzazioni e tagli alla spesa pubblica.Paradossalmente, la soluzione della crisi del debito diventa la causa di un ulteriore indebitamento. I nuovi prestiti concessi per rimborsare il vecchio debito, provocano un ulteriore aumento dell’ammontare del debito.
Forse, anche perchè ha voluto sottrarsi a queste logiche, di cui era stato vittima sul finire degli anni ottanta, il Rwanda di oggi assurge a modello di sviluppo di un intero continente.

venerdì 5 luglio 2019

Aiutiamoli a casa loro : quei calcoli spannometrici del prof. della Bocconi

Segnaliamo quanto scritto da  un  economista della Bocconi, il prof. Roberto Perotti, a proposito  delle politiche riconducibili  al famoso «Aiutiamoli a casa loro». Quanto scritto  su Repubblica del 2 luglio, piu' che un'analisi ci sembra una caricatura di quello che riteniamo essere un possibile approccio per favorire lo sviluppo dei Paesi africani e, consuentemente, creare le condizioni perche' il fenomeno migratorio possa essere riportato a livelli fisiologicamente gestibili nell'interesse delle persone e dei Paesi coinvolti.Ecco quanto sostiene il prof. Perotti, parlando dell'«Aiutiamoli a casa loro», come possibile approccio per affrontare il fenomeno migratorio : 
"Basta un calcolo spannometrico senza pretese per mostrare quanto sia irrealistica questa soluzione.Il reddito medio annuo di un abitante dell'Africa sub-sahariana è di 1600 dollari, un dodicesimo del reddito medio di un europeo occidentale (espressa in dollari la differenza è molto maggiore, ma un dollaro in Africa acquista più beni e servizi di un dollaro in Europa). Attualmente l'Africa riceve 50 miliardi di dollari di aiuti ufficiali l' anno, circa 40 dollari pro capite (un dollaro vale circa quanto un euro).Per aumentare il reddito medio di un quarto, cioè di 400 dollari, il mondo dovrebbe dunque contribuire dieci volte l'ammontare attuale, oltre 500 miliardi ogni anno e un quarto del Pil africano. Per un confronto, tra il 1948 e il 1951 il piano Marshall contribuì circa il 3 per cento del Pil dei paesi Europei riceventi: ai prezzi attuali sarebbero al massimo 200 miliardi. L'Europa contribuisce circa i due terzi degli aiuti totali all'Africa; mantenendo le proporzioni attuali, diventerebbero 350 miliardi. In base al Pil, l'Italia dovrebbe contribuire 35 miliardi, cinque volte la cifra stanziata per il reddito di cittadinanza. Oggi contribuisce meno di un centesimo di questa cifra, 283 milioni.Ma se anche questo aumento pazzesco degli aiuti all'Africa dovesse accadere, ciò non fermerebbe i flussi migratori, ma li aumenterebbe: se si rischia la vita con un reddito medio di 1600 dollari per raggiungere un continente che ha un reddito medio dodici volte superiore, si rischia la vita anche con un reddito medio di 2000 dollari. I soldi ricevuti saranno usati per pagare più viaggi.Inoltre, un così enorme aumento delle risorse disponibili scatenerebbe la guerra civile in tutta l' Africa per accaparrarsi il tesoro, e migrazioni bibliche di conseguenza. È noto che molti paesi africani soffrono della "maledizione delle risorse naturali": la scoperta di giacimenti di petrolio o di minerali preziosi spesso scatena guerre civili, in alcuni casi decennali, che provocano migliaia di morti e di rifugiati, e una diminuzione del reddito medio. Si pensi al petrolio in Nigeria o in Sudan e Sud Sudan, o ai diamanti in Sierra Leone e tanti altri paesi africani”.
Qualcuno ha capito cosa intenda dimostrare l'illustre cattedratico? Noi abbiamo faticato a seguirne la logica, meramente assistenzialistica, che denota una scarsa conoscenza delle dinamiche che hanno interessato in questi decenni il continente africano. 
Comunque, visto che il Pil pro capite del Rwanda è allineato al livello medio africano, il modello Rwanda potrebbe essere un utile laboratorio dove il professore potrebbe applicarsi per meglio comprendere cosa veramente serve all'Africa. Come sostenuto ieri dal presidente Kagame, la ricetta per  il Rwanda, ma anche per l'intero continente è quella di "continuare sulla via dello sviluppo degli ultimi 25 anni, affrancandosi dagli aiuti internazionali per arrivare a poter camminare con le proprie gambe  ed essere artefice del proprio benessere, anche se c'e' molto altro da fare".