"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


giovedì 15 marzo 2018

Rwanda 1994:gli aiuti internazionali fattore decisivo per ripartire

Pubblichiamo la Postfazione del libro Aiutiamoli a casa loro. Il modello Rwanda. L'ebook è scaricabile da Amazon cliccando qui.
Postfazione
Dalle risultanze di questo lavoro, sembra emergere, con sufficiente evidenza fattuale e numerica, l’efficacia degli aiuti quale strumento di sviluppo di un paese le cui condizioni di partenza, appena uscito da una sanguinosa guerra civile e tra i più poveri del mondo, mai avrebbero lasciato presagire un simile percorso sulla strada della ricostruzione sociale e della ripresa economica. Anche se il modello Rwanda avrebbe tutti i requisiti per imporsi quale esempio per molti altri paesi africani, non nutriamo particolari illusioni che tale esperienza possa suscitare qualche forma di riflessione in chi, prigioniero di una lettura ideologica del fenomeno migratorio, arriva ad affermare, con invidiabile sicurezza, che parlare di aiuti “significa scaricare il problema”. Problema che non trova, tuttavia, valide soluzioni neppure nel modello di un’accoglienza alla prova dei fatti incapace di dare risposte efficaci alle stesse istanze dei nuovi venuti, cioè posti di lavoro allo stato inesistenti. Accoglienza che finisce quindi a ridursi a passiva attesa di chi, avendone i mezzi, è in grado di accollarsi viaggi drammatici, anche a rischio della vita, per arrivare fin sulle coste dell’Europa.Nel caso del Rwanda tale modello si sarebbe rivelato drammaticamente inefficace: centinaia di migliaia di rifugiati ruandesi sarebbero, ancora oggi dopo quasi 25 anni, relegati nell’inferno di Goma e degli altri campi profughi delle zona, in attesa che qualcuno vada da loro ad aiutarli. E tanto basterebbe per instillare qualche dubbio sulla drammatica inefficacia di un modello, quello della sola accoglienza, che ritiene di poter rispondere alle sfide epocali, che ci vengono dalle centinaia di milioni di persone del sud del mondo, semplicemente prendendosi comoda cura di poche decine di migliaia di migranti economici.
Accoglienza e aiuti allo sviluppo: il dilemma dell’uso alternativo delle scarse risorse
Il confronto tra due diversi approcci al fenomeno migratorio, prevalentemente alimentato da inevitabili e fuorvianti riferimenti ideologici, va altresì riportato su un terreno più concretamente economico.
Anche l’accoglienza e gli aiuti allo sviluppo, infatti, non si sottraggono a uno dei principi basilari dell’economia politica: come declinare gli scarsi mezzi finanziari con cui tutte le economie, anche le più ricche, devono fare i conti, a fronte di un loro uso alternativo tra diversi bisogni. Un confronto che, purtroppo, trova una sua sgradevole manifestazione nella cannibalizzazione dei fondi per lo sviluppo, sempre più sacrificati sull’altare dell’accoglienza. Secondo la pubblicazione annuale dell’OCDE (1) sull’aiuto pubblico allo sviluppo (APS), i fondi destinati nel 2016 all’APS ammontano a 142 miliardi di dollari, in crescita dell’8,9% rispetto all'anno precedente. Nonostante questa evoluzione, i dati 2016 mostrano però che gli aiuti bilaterali (da governo a governo) per i paesi meno sviluppati sono scesi del 3,9% in termini reali rispetto al 2015, e gli aiuti all'Africa dello 0,5%. Il motivo di tale contrazione è dovuto al fatto che oltre 15 miliardi di dollari, distolti dalla loro naturale destinazione allo sviluppo, sono stati usati dai paesi donatori per sostenere i costi dell’accoglienza dei rifugiati nei loro territori. Nei fatti, tali fondi sono stati sottratti ai veri destinatari, i 767 milioni di persone che ancora oggi vivono in estrema povertà nei paesi del terzo mondo, per essere utilizzati nell'accoglienza di poche centinaia di migliaia di migranti. Analogo trend ha interessato l'Italia. Infatti, il nostro paese, pur essendo ancora molto lontano dall'obiettivo pluridecennale di devolvere lo 0,7% del PIL in APS (ad oggi, solo sei dei trenta Stati Membri dell’OCSE – Svezia, Norvegia, Lussemburgo, Danimarca, Regno Unito e Germania – hanno mantenuto questa promessa), conferma però un trend positivo di crescita dell’APS: dai 4 miliardi di dollari del 2015 si è passati a 4,85 miliardi del 2016, passando dallo 0,22 allo 0,26 della percentuale di APS in rapporto al PIL. Di questi 200 milioni alimentano il cosiddetto “Fondo Africa” che dovrebbe far confluire risorse importanti in alcuni paesi del continente per interventi di cooperazione allo sviluppo. Analogamente a quanto fatto da altri paesi, anche l'Italia ha però attinto, secondo l'ong OXFAM, ai fondi per lo sviluppo per far fronte all'emergenza migranti, il cui costo risulta in forte crescita, attestandosi al 34% dell’intero APS italiano (24,30% nel 2015), raggiungendo oltre 1,66 miliardi di dollari. Tale importo distratto dall'APS va a coprire parte dei 3,3 miliardi di euro (pari a 3,5 miliardi di dollari), al netto dei contributi europei, stimati dal ministero dell'economia quale costo nel 2016 e i 3,8 miliardi di euro previsti per il 2017. Al riguardo, suonano abbastanza farisaiche le lamentele di chi, avendo attinto a piene mani ai fondi pubblici per far fronte all’accoglienza, denuncia con stupore che si vanno contraendo i fondi per lo sviluppo! Nel complesso il fenomeno evidenziato dall'OCDE impone una riflessione: quale diversa efficacia avrebbero potuto avere quei 15 miliardi di dollari se impiegati nelle politiche di cooperazione allo sviluppo? Limitiamoci all’esperienza italiana per cercare di comprendere, nel concreto, quali potrebbero essere le reali alternative in gioco nell’utilizzo delle risorse pubbliche. L'Italia, per affrontare le spese di soccorso, accoglienza e soggiorno complessivamente di oltre 300 mila migranti, ha previsto per il 2017 uno stanziamento a bilancio di 4,6 miliardi di euro, più del doppio del budget dell'intero bilancio (2,050 miliardi di euro) previsto dal Rwanda, comprensivo di spese per la sanità, l'educazione, la difesa e tutto quanto erogato dallo stato, per 12 milioni di abitanti. Un dato che dovrebbe far riflettere circa il miglior uso delle scarse risorse economiche disponibili, a fronte della molteplicità dei bisogni. Ma scendiamo dai grandi numeri di un bilancio statale alla quotidianità, sgomberando da subito il campo dall'immaginabile obiezione delle anime belle dell'accoglienza, pronte a respingere la riduzione del tutto a mero fattore economico e invocare il sacrosanto principio che dietro ogni migrante c'è una persona, con la sua storia e i suoi bisogni, e a quella bisogna primariamente guardare. Verissimo. Ma persone lo sono anche quelle che rimangono, dimenticate e ben più numerose, in Africa. E allora, superata questa obiezione fuorviante, torniamo al problema del miglior uso che un governante è chiamato a fare dei soldi raccolti con l'imposizione fiscale. Individuiamo quindi un misuratore che dia contezza immediata, anche a chi è digiuno di conoscenze di teoria economica, sul miglior utilizzo che si può fare del denaro speso, con riferimento al suo utilizzo alternativo in Africa. Al riguardo, sembra che un buon parametro possa essere individuato nel costo giornaliero che lo Stato si accolla per il mantenimento di un migrante arrivato in Italia, pari a 35 euro. Ecco, chiameremo questo valore Costo Accoglienza Migranti-CAM, declinandolo nelle unità: giorno 35euro, mese 1000 euro, anno 12.000 euro. Con queste unità di misura possiamo procedere a quantificare prestazioni, servizi, beni che si possono acquistare in un paese africano, sapendo che da noi è il corrispettivo del costo per una giornata di ospitalità. Vediamo allora qualche esempio attinto dall’esperienza maturata sul campo e riferito a una realtà come quella del Rwanda, che rispecchia un dato medio africano. Utilizzando l'unità di conto CAM in Rwanda ci troveremmo nella situazione di avere questi valori:
0,50 CAM/giorno: salario mensile di un lavorante agricolo;
1 CAM/giorno: costo giornaliero di mantenimento di 150 rifugiati nei campi dell'UNCHR in Rwanda;
1 CAM/giorno: stipendio mensile di una maestra d'asilo;
2 CAM/giorno: stipendio di un insegnante medio;
3 CAM/giorno: somma per adottare un bambino a distanza;
4 CAM/giorno: stipendio di un veterinario;
1 CAM /mese: costo di una moto-taxi;
3,5 CAM/mese: importo necessario per avviare un allevamento di 50 capre con tanto di stalla e stipendio per un guardiano;
1,2 CAM/anno: costo di un asilo con tre aule;
1,5 CAM/anno: costo di un acquedotto da una decina di km di tubazioni, cisterne e fontane per rendere accessibile l’acqua a 900 famiglie
4,1 CAM/anno: costo di un complesso scolastico con 5 aule per complessivi 300 mq.
Solo non confrontandosi con la dura realtà dei numeri si può sostenere la bontà di una politica dell'accoglienza che fa un uso antieconomico delle limitate risorse disponibili e, soprattutto, è del tutto incapace di misurarsi con l'evidente e profonda ingiustizia insita in una politica miope che privilegia la minoranza di chi sbarca, dimenticandosi delle centinaia di milioni di persone, lontani dalle telecamere, che non vogliono o non possono partire.

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