Riportiamo l'Introduzione del libro Aiutiamoli a casa Il modello Rwanda Da Goma a Davos, dal baratro della guerra civile a esempio di sviluppo per l'Africa, grazie agli aiuti e alla buona governance.
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Introduzione
Mai l'anziano sacerdote avrebbe potuto immaginare che una di quelle lunghe scie bianche,
lasciate dai jet nel limpido cielo valtellinese di una fredda giornata di
gennaio, potesse, anche solo lontanamente, richiamare il dramma di cui, tanti
anni prima, era stato partecipe e commosso testimone. Eppure, su uno di quei
jet, in procinto di atterrare nella vicina Engadina, in Svizzera, viaggiava una
folta delegazione ruandese pronta a partecipare al World Economic Forum di
Davos del 2018. Così lontano era, infatti, la drammatica realtà che il sacerdote
si era trovato di fronte in quell’estate del 1994, quando, in rappresentanza
della Caritas italiana, aveva portato aiuti al campo profughi di Goma nello
Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo).Là dove un’umanità disperata di
rifugiati ruandesi viveva gli ultimi sussulti di una feroce guerra civile, in
una sorta di girone dantesco, cui faceva da cornice una cappa di fuliggine nera
sollevata dalla terra vulcanica del campo. Più di venti anni separano quella
scia sfavillante tracciata nell’azzurro cielo valtellinese dalla cupa atmosfera
del campo di Goma. Anni trascorsi alla ricerca di un faticoso riscatto, grazie
alla resilienza di un popolo coraggioso e al supporto di una comunità
internazionale ansiosa di mondarsi di qualche colpa del passato. Dal 1994,
conclusa la tragica guerra civile, il popolo ruandese vive in pace, una
situazione non particolarmente diffusa in Africa. Basterebbe questo dato per
apprezzare il percorso compiuto dal Rwanda in questo ventennio. In realtà,
oltre a questo dividendo politico che, di anno in anno, la governance espressa
dal presidente ruandese Paul Kagame è stata in grado di garantire ai propri
governati, vi è una sorta di valorizzazione del capitale sociale, sottoscritto
all’indomani della tragedia ruandese, conseguente allo sviluppo che il Paese ha
compiuto in questi anni. Il Rwanda, un Paese di dodici milioni di abitanti,
facente parte di quei 58 paesi dell’ultimo miliardo a rischio di diventare
sempre più poveri, attraverso gli aiuti internazionali supportati dall’impegno
della sua governance, è stato messo nelle condizioni, all’uscita del sanguinoso
conflitto che insanguinò il Paese dal 1990 al 1994, di ricostituire la propria
statualità e ritessere le trame di un tessuto sociale lacerato. Attraverso il
perseguimento di una forte identità nazionale, innervata dalla riscoperta dei
valori della tradizione, una sorprendente apertura all’innovazione e moderni
modelli gestionali, l’attuale governance ruandese è riuscita a dare vita a un
modello sociale vincente. Sembra, infatti, potersi dire che si siano create in
Rwanda le condizioni perché un cittadino ruandese valuti che i propri figli possano
vivere dignitosamente nel proprio Paese, non lasciandosi attrarre, come succede
per altri abitanti del continente africano, dal richiamo di improbabili avventure
nei paesi occidentali. Va anzi sottolineato come il nuovo Rwanda sia stato
capace di favorire il rientro di oltre tre milioni di ruandesi rifugiati nei
paesi confinanti, a partire dall’indipendenza e in conseguenza della guerra
civile. Senza dimenticare l’impegno delle autorità ruandesi, attraverso il
programma "Come
and see, Go and Tell – "Vieni e vedi, vai e racconta",
di favorire il rientro dei componenti della diaspora ruandese sparpagliati nel
mondo per concorrere allo sviluppo dell’economia e delle istituzioni del Paese.
Percorso che il Rwanda ha iniziato grazie agli aiuti internazionali, confluiti
nel Paese successivamente alla tragedia del 1994, che hanno trovato una
governance capace di farne buon uso, con un approccio originale, in cui
l’agenda del loro utilizzo non è mai stata quella dei donatori, ma quella
decisa dai governanti ruandesi. Aiuti internazionali e buona governance hanno
così fatto del Rwanda, Paese penalizzato dalla mancanza di risorse minerarie
proprie, privo di accessi al mare, esposto a possibili rigurgiti di conflitti
interetnici, uno dei paesi meglio organizzati del continente africano. Come
autorevolmente sottolineato dalla Banca Mondiale che, in un proprio rapporto
del novembre 2017, riconosce come “il Rwanda sia stato in grado di realizzare
importanti riforme economiche e strutturali e di sostenere i suoi tassi di
crescita economica che, tra il 2001 e il 2015, hanno registrato una media della
crescita del PIL reale di circa l'8% annuo. Accompagnando la forte crescita
economica con sostanziali miglioramenti degli standard di vita, con un calo dei
due terzi della mortalità infantile e con una frequenza quasi universale della
scuola elementare, oltre che con il conseguimento, entro la fine del 2015,
della maggior parte degli Obiettivi di sviluppo del millennio (OSM).Una forte
attenzione alle politiche e alle iniziative nazionali ha contribuito a
migliorare in modo significativo l'accesso ai servizi e agli indicatori di
sviluppo umano. Il tasso di povertà è sceso dal 44% nel 2011 al 39% nel 2014,
mentre la disuguaglianza misurata dal coefficiente di Gini è scesa da 0,49 a
0,45.” Pur essendo ancora significativa la dipendenza dagli aiuti, c’è
l’impegno del governo ruandese a mettere in campo politiche volte ad attenuarne
nel tempo l’incidenza. Mentre l’efficace gestione delle risorse, resesi
disponibili nel corso di questi anni, è stata autorevolmente riconosciuta dal
report sull'efficienza dei governi nel 2014 stilato dal World
Economic Forum, una speciale classifica che pone in relazione i risultati
raggiunti dai singoli governi con le risorse impiegate, che attribuisce al
governo del Rwanda un prestigioso settimo posto a livello mondiale (a fronte di
un’Italia relegata al penultimo posto). Viene riconosciuto al governo ruandese
soprattutto il basso livello di spreco nella spesa pubblica; in ultima
analisi si dice che il Rwanda ha saputo e sa fare un ottimo utilizzo delle
risorse proprie e di quelle ricevute dai donatori internazionali. Senza
dimenticare gli sforzi compiuti per creare le condizioni di sicurezza e di
facilitazione del fare impresa per richiamare investitori internazionali a dare
vita a nuove imprese nel Paese. Grazie anche all’apporto, in via sussidiaria
alle autorità civili, della Chiesa cattolica e delle altre confessioni cristiane
presenti nel Paese (cattolici e protestanti rappresentano circa il 90% della
popolazione, una delle più alte sul continente) in campo educativo e sanitario,
con centinaia di scuole di ogni ordine e grado, con centri di sanità,
assistenza di base e ospedali, sono stati conseguiti gli obiettivi del millennio
nei richiamati settori. Nel tempo, a fatica e pur fra mille
contraddizioni, in cui il percorso nella conquista delle libertà civili è
ancora lungo e accidentato e il solco che divide il livello di vita tra
città e campagne rischia di accentuarsi, si stanno purtuttavia
creando in Rwanda le condizioni perché il diritto a rimanere non sia un vuoto
slogan, ma una reale alternativa, e la tentazione di migrare non faccia breccia
nei giovani ruandesi che, in effetti, non sono tra i migranti che sbarcano dai
barconi. E questo perché qualcuno, in anticipo di anni sui primi barconi
solcanti il Mediterraneo, li ha aiutati a casa loro: dalle grandi istituzioni
internazionali ai paesi donatori, dalle grandi ONG fino alla più piccola delle
onlus e all’ultimo dei volontari.
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