Quest'anno,
per la prima volta, dopo tante missione in Rwanda, abbiamo sentito una parola -
fame- che sembrava scomparsa dal vocabolario del nuovo Rwanda, il paese
di cui questo blog, senza mai abdicare a un doveroso approccio critico quando
necessario, si sforza di dare conto dell’indubbio cammino compiuto sulla
strada di uno sviluppo dove non abbiano diritto di cittadinanza fantasmi di altri tempi, come appunto
la parola fame. Quella che, sussurrata sommessamente quasi per non farsi
sentire da orecchi indiscreti, sembrava quasi una maledicenza, ha poi trovato conferma in diverse conversazioni con i nostri interlocutori rwandesi:
negli ultimi mesi lo spettro della fame si è materializzato nelle campagne
rwandesi. Forse non basta la siccità di questi mesi, che ha inaridito le fonti
di sostentamento degli abitanti delle campagne, a giustificare un simile stato
che ha spinto taluni abitanti dell’Umutara ad abbandonare le loro
case per cercare miglior sorte nella vicina Uganda. La siccità, cui si aggiunge
un'inflazione che a gennaio segnava un + 7,4% su base annua, non ha fatto
altro che esasperare gli effetti di scelte di politica economica che, imponendo
le monoculture in diverse zone del paese, hanno fortemente penalizzato
l’agricoltura di sussistenza, fino a quasi cancellarla in certe zone, che
consentiva comunque di mettere qualcosa in tavola ad ogni famiglia contadina
dedita alla coltivazione del proprio piccolo appezzamento di terreno. Anche
senza prestare troppa attenzione a certe denunce formulate dalle opposizioni,
che parlano di vere e proprie manifestazioni popolari contro le autorità
locali, abbiamo dovuto constatare quanto il livello di vita nelle campagne del
nord est del paese sia ancora purtroppo molto lontano da quello messo
in mostra nella vetrina della capitale. Abituati come siamo a leggere le
corrispondenze degli inviati dei media internazionali che senza muoversi da Kigali
inviano ai loro lettori la solita bella cartolina di una capitale linda,
ben tenuta e sicura, dove le innovazioni tengono il passo con quelle
occidentali, dove i segni della povertà e del degrado sono banditi e le
contraddizioni sociali sono ridotte al minimo, è difficile per chi nutre una certa simpatia per questo
paese e i suoi abitanti misurarsi con la dura realtà delle campagne, come
potrebbe essere quella di Kibali, un villaggio del nord del paese. Troppo
stridente è, per esempio, lo spettacolo degli scolari della capitale che nelle
loro linde divise vanno disciplinatamente a scuola, con quello ben diverso dei
troppi bambini che s’incontrano soli e malvestiti sulle strade dei villaggi
in orari della giornata in cui dovrebbero essere a scuola. Oppure
constatare come in certi villaggi lo stato centrale non sia presente con
proprie strutture per erogare un servizio fondamentale come quello
dell’istruzione primaria, dovendo far conto sulla supplenza delle parrocchie,
senza che, nel caso di specie, si alzi il solerte ministro Evode
Uwizeyima a contestare la preparazione didattica del clero, così come
aveva contestato la conoscenza delle problematiche familiari a un vescovo.
Come
ne uscirebbe l’immagine del Rwanda, faticosamente e anche meritatamente
costruita a livello internazionale, se i grandi inviati, spingendosi una
volta tanto oltre i confini metropolitani della capitale, datassero le loro
corrispondenze da Kibali invece che da Kigali, facendo entrare nei loro
reportages, e conseguentemente nella rassegna stampa che quotidianamente arriva
sulla scrivania di chi governa, anche la vita degli abitanti delle campagne?
A supporto di queste nostre considerazioni giunge quantomai puntuale e condivisibile la coraggiosa conclusione dell'articolo Il salto finale oltre il miracolo economico del 1994, apparso oggi su The
New Times, a firma dell'opinionista Eddie B. Mugarura, dove si
sostiene che : "Per fare in modo che la trasformazione economica
possa arrivare al definitivo compimento, è fondamentale che il cosidetto C+I+G,
ovvero consumi, investimenti e spesa pubblica, non rimangano concentrati
solamente nella capitale Kigali, ma che si diffondano su tutto il territorio
del Rwanda.Questo per superare definitivamente l'anomalo gap che c'è tra la
ristretta ma economicamente potente middle class urbana e la maggioranza della
popolazione rurale povera".