In una
lunga intervista apparsa sul numero della settimana scorsa di Jeune Afrique, il presidente rwandese Paul Kagame, allontanando da sè l'accusa di voler diventare un monarca, rintuzza tutte le critiche circa le modifiche costituzionali introdotte per consentire un terzo mandato presidenziale, ricordando che è stato il popolo a volere la sua permanenza al potere. Kagame non si sottrae ad alcuna domanda che il compiacente intervistatore,
Francois Soudan già autore di un libro-intervista su Kagame, gli formula.E' nota la politica editoriale del settimanale africano, una sorta di house organ dei leader africani che si dimostrano attenti alle politiche commerciali (inserzioni pubblicitarie) della rivista. Anche in questa intervista, infatti, tutte le domande sono finalizzate a consentire al presidente di ribattere alle critiche che gli vengono da diversi paesi occidentali, a partire dagli Usa, circa il suo attaccamento al potere e alla scarsa dialettica democratica esistente nel paese. Esaurita nella prima parte dell'intervista l'incombenza di giustificare il terzo mandato, dopo che nel passato proprio in un'intervista a JA era stata esclusa tale possibilità, Kagame tocca il tema caldo della crisi burundese, quello sempre aperto della frontiera con la R.D. del Congo e dei rapporti, mai definitivamente rasserenati, con la Francia che da sei mesi attende il gradimento sul suo nuovo ambasciatore a Kigali.
Il termine dell'intervista riserva una certa novità che si riallaccia alla stretta attualità. Richiesto dall'intervistatore se il Rwanda sia al sicuro dall'ISIS e dal terrorismo jihadista, Kagame, pur dichiarando il Rwanda più al sicuro rispetto ad altri paesi, non nasconde la possibilità di qualche rischio anche alla luce di alcuni fatti. Ricorda, infatti, che "una
manciata di giovani musulmani reclutati in Belgio, Rwanda e Sudan stanno
combattendo nelle file dello Stato Islamico", ricorda altrsì"l'incidente a Bangui nel mese di agosto 2015, quando uno dei nostri soldati del contingente ONU uccise quattro dei suoi commilitoni. Le indagini svolte hanno
rivelato che il soldato aveva legami indiretti con Daesh". Alla luce di questi fatti Kagame sottolinea come abbia raccomandato "ai rappresentanti della piccola comunità musulmana rwandese di gestire internamente
i casi di radicalizzazione" Diversamente"la polizia è pronta in ogni
momento ad intervenire" come dimostrato di recente con il caso del vice imam.
L'ultima domanda dell'intervistatore riguarda le motivazioni che hanno portato al cambiamento delle denominazioni della principali città rwandesi, con la sola esclusione di Kigali, all'indomani della conclusione della guerra civile.
Questa è la risposta che ha soddisfatto quella che era anche una nostra curiosità: " Per due motivi.Il primo è psicologico: molti di questi
nomi erano associati con feudi etnici, politici e personali, nel senso
peggiore. Prima e durante il genocidio.Abbiamo dovuto rompere con questa
eredità troppo connotata. Il secondo è storico: abbiamo effettivamente
restituito a queste città i nomi precisi che avevano prima della
colonizzazione. Ruhengeri è tornato Musanze; Gisenyi, Rubavu;Butare,
Huye, etc. Non si è quindi trattato di fare tabula rasa del passato, ma di cancellare un passato di odio e di riportarsi a una passata grandezza".