Più volte, il presidente rwandese Paul Kagame ha additato la città stato di Singapore come esempio a cui ispirarsi per modellare il futuro del nuovo Rwanda. Abbiamo qualche volta avuto modo di fare riferimento al modello Singapore in precedenti post. In che cosa si sostanzi il "modello Singapore" ce lo spiega bene questo articolo, apparso sul quotidiano on line La Bussola quotidiana, a firma Stefano Magni, in cui viene rappresentata la città stato costruita su un'intuizione visionaria di Lee Kuan Yew, il padre-padrone del piccolo stato asiatico, morto ieri all'eta di 91 anni. Leggendo l'articolo che riproponiamo qui di seguito, si scoprono con curiosità le molte analogie, nel bene e nel male, già mutuate dal modello Singapore per l'edificazione del nuovo Rwanda, e, soprattutto, le possibili evoluzioni che il Rwanda potrebbe avere, volendo seguire in toto l'esempio del presidente Lee Kuan Yew.
Il fragile gioiellino di Lee Kuan Wew
di Stefano Magni
Cosa resterà di Singapore dopo la morte del suo padre-padrone Lee Kuan Yew? Sconosciuto in Italia, poco citato nei nostri media, la morte di questo signore 91enne può anche sembrare una semplice ed esotica curiosità dei nostri media. Ma Lee Kuan Yew ha saputo creare, nel bene e nel male, con le buone e con le cattive, una società multiculturale funzionante ed è riuscito a trasformare un piccolo angolo malarico del terzo mondo in una piccola potenza economica, caso pressoché unico in tutta l'Asia. Da questo punto di vista, il personaggio non può passare inosservato."Ho fatto la mia parte" aveva dichiarato Lee Kuan Yew quando aveva dato le dimissioni nel 1990, ritirandosi dalla carica di premier di Singapore tenuta per 31 anni filati. Era salito al potere alla testa del Partito d'Azione Popolare, una formazione indipendentista (Singapore era una colonia britannica), di sinistra ma anticomunista. L'indipendenza dell'isola asiatica fu duplice: prima si emancipò dall'Impero Britannico, poi dalla Malesia di cui faceva parte come città-stato confederata. Divenne indipendente contro la sua volontà, come disse lo stesso Lee nel 1965: la città venne espulsa dalla Federazione Malese a seguito degli scontri razziali fra la locale maggioranza cinese e la minoranza malese. "Per capire Singapore – dichiarava Lee alNew York Times cinque anni fa – devi partire da una storia improbabile: Singapore non doveva esistere". Perché è una "nazione" composta, appunto, da un misto di cinesi, malesi, indiani, indonesiani, priva di risorse naturali, poverissima, senza una sua storia passata se non quella di avamposto militare britannico. Lee, laureato in legge a Cambridge, l'ha letteralmente tirata su dal nulla, come un'impresa familiare di successo, un "gioiellino" come si direbbe in Italia. Ma un gioiellino fragilissimo "Siamo sopravvissuti per 42 anni – diceva Lee del suo paese – sopravvivremo per altri 42? Dipende dalle condizioni del resto del mondo, non solo da noi".
Questa nota di pessimismo, il riconoscimento dei propri limiti, spiega le mille contraddizioni di Lee Kuan Yew e della sua città: autoritarismo duro in politica, libertà economica illimitata, una politica fatta di marce indietro e accelerazioni a seconda dei casi. "Siamo liberi da ideologie" diceva il padre di Singapore. Per qualunque cosa si chiedeva: "Funziona? Se funziona, procediamo, altrimenti andiamo in un'altra direzione". Ha funzionato il melting-pot fra religioni ed etnie differenti, ma col pugno di ferro: forte dell'esperienza del 1965 ogni forma di "sciovinismo" nazionale e religioso viene punito col carcere o con la pena capitale. La libertà di religione è limitata dalla Legge per l'Armonia Religiosa. Il governo può mettere al bando i culti ritenuti divisivi e capaci di creare conflitti. Ad oggi, solo due confessioni, i Testimoni di Geova e la chiesa del Reverendo Moon, sono state considerate tali e bandite per legge. I cristiani sono il 18% della popolazione (il 7% composto da cattolici) e non subiscono particolari discriminazioni, stando al rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre. I musulmani costituiscono il 14% della popolazione e sono sempre più influente. Di recente hanno ottenuto anche una legalizzazione parziale della poligamia: sono stati riconosciuti primi 8 matrimoni poligamici, su 33 richiesti.
Singapore è famosa in tutto il mondo per la sua capacità di attrarre investitori e lavoratori. Nata già come realtà multi-etnica e multi-religiosa, ospita sul suo territorio quasi un milione di immigrati, un quinto della sua popolazione. Il business arriva da tutto il mondo perché è l'unico paese del Sud Est asiatico che è riuscito a combattere la corruzione con successo, usando incentivi e pugno di ferro. Incentivi, soprattutto: gli stipendi dei parlamentari e dei funzionari pubblici sono calcolati in base agli equivalenti nel settore privato. I dipendenti del pubblico, in questo modo, non guadagnano niente di più, ma neppure nulla di meno, rispetto alla società che devono servire. Per incrementare la ricchezza, le tasse sono molto basse (20% per i redditi personali, 17% per le imprese), la spesa pubblica è ridotta al minimo indispensabile (pari al 14% del Pil), non ci sono tariffe doganali. La formula ha avuto successo, considerando che, al giorno d'oggi, a Singapore il reddito medio individuale è uno dei più alti al mondo. Le regole sono poche e vengono fatte rispettare. Index of Economic Freedom, per il secondo anno consecutivo, classifica Singapore come seconda economia più libera al mondo, dopo Hong Kong (che però fa parte della Cina).
Questo scenario da paradiso liberista non deve trarre in inganno. I valori tradizionali, in Singapore, sono fatti rispettare col pugno di ferro. Cose normali, come masticare il chewing gum o sputare per terra sono vietate, scrivere su un muro o danneggiare una proprietà pubblica costa la galera o punizioni corporali. Per lo spaccio di droga, ad ogni livello, c'è la pena di morte. Idem per ogni uso delle armi: omicidi o rapine a mano armata sono puniti con l'impiccagione. Su tutte le questioni che riguardano la famiglia, Lee ammetteva di seguire il mondo: "Per sopravvivere e continuare ad essere parte di questo mondo, dobbiamo prendere qualunque direzione venga dettata dalle condizioni del mondo. Se non restiamo connessi a questo mondo, siamo morti. Torneremmo ad essere il villaggio di pescatori che eravamo in origine" – diceva al New York Times. Ma non come lo intendiamo noi. Di fronte al tendenziale calo delle nascite, negli anni 80 mise in piedi l'unica agenzia matrimoniale governativa al mondo. Contro l'omosessualità restano regole rigide (più che in tutti gli altri Stati della regione), ma applicate in modo tollerante. "Abbiamo una posizione ambigua, in merito – ammetteva Lee – Diciamo: va bene, fatevi i fatti vostri, ma lasciate la legge per quel che è e non accettiamo gay pride". In futuro potrebbero esserci cambiamenti, ma per ora "abbiamo una parte di popolazione musulmana, un'altra parte costituita da cinesi e indiani tradizionalisti. Andiamo per gradi. E' un approccio pragmatico per mantenere la coesione sociale".
Se si tocca il capitolo della libertà personale, però, si va necessariamente ad aprire il capitolo più tragico: quello della completa assenza di libertà politica. Come nel resto dell'amministrazione, Lee Kuan Yew, ha trattato la politica della sua città-Stato come un'azienda di proprietà privata. Chiunque lo abbia criticato (di autoritarismo o nepotismo) è stato dunque personalmente querelato. Questo ha provocato la rovina economica o il carcere di tutti i suoi oppositori politici nel corso dei decenni. Se l'Index of Economic Freedom classifica Singapore secondo in classifica, Freedom House lo relega a metà classifica, fra i paesi "parzialmente liberi" e più tendente alla dittatura che alla democrazia. Le elezioni ci sono, ma il Partito d'Azione è praticamente l'unico ad entrare in parlamento. Solo nel 1981 un seggio è stato vinto da un oppositore. Nelle ultime elezioni gli oppositori hanno preso 6 seggi (su 84) ed è considerato un record. Di fatto stiamo parlando di una "democrazia" a partito unico.
Il governo è un affare di famiglia: dopo le formali dimissioni di Lee, nel 1990, il governo è passato prima nelle mani del suo collaboratore Goh Chok Tong, poi del figlio Lee Hsien Loong, tuttora primo ministro da 11 anni. I fratelli e le sorelle minori dell'attuale premier dirigono le principali aziende di Stato di Singapore. Un feudo, a tutti gli effetti. Ma c'era alternativa? No, ovviamente secondo il defunto Lee: "Per sopravvivere abbiamo dovuto fare tutte queste cose – ammetteva, riferendosi al suo autoritarismo patriarcale e alla repressione del dissenso – ciò che vedete ora, tutta la sovrastruttura di questa città moderna, ha una base molto sottile, fragile, di quelle che possono disintegrarsi molto facilmente".
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