“Ci auguriamo che la verità emerga
e che il giornalista in questione venga rilasciato; dubbi, sì, li abbiamo sul
fatto che le sorelle fossero a conoscenza di questi traffici e stessero per
denunciarli”: così le saveriane, in una nota della congregazione pervenuta alla
MISNA relativa alle indagini sull’assassinio delle tre missionarie a
Bujumbura il 7 settembre e in particolare all’arresto di Bob Rugurika,
direttore dell’emittente Radio Publique Africaine. All’origine del fermo e
della successiva incriminazione per “complicità in omicidio” una ricostruzione
giornalistica che identifica come mandante degli assassinii il generale Adolphe
Nshimirimana, ex capo dei servizi segreti tuttora vicino al presidente Pierre
Nkurunziza. Stando a questa versione, suor Olga Raschietti, suor Lucia Pulici e
suor Bernardetta Boggian sarebbero venute a conoscenza di malversazioni
compiute da Nshimirimana, relative in particolare a traffici di medicinali e minerali
che avrebbero coinvolto la parrocchia Guido Maria Conforti di Kamenge alla
quale appartenevano le missionarie.Nella nota, firmata dalla superiora generale
Giordana Bertacchini, si sottolinea ora la volontà di “mantenere il riserbo”.
“Ci auguriamo – si legge nel comunicato – che la verità emerga e che il
giornalista in questione venga rilasciato. Dubbi, sì, li abbiamo sul fatto che
le sorelle fossero a conoscenza di questi traffici e stessero per denunciarli.
La cosa sembra assolutamente inverosimile. Per il resto aspettiamo e ci
auguriamo che la verità emerga e che giustizia sia fatta”.Al riguardo, risulta
particolarmente forte la denuncia dello stesso Bob Rugurika, conosciuto
difensore dei diritti umani, direttore della Radio Publique Africaine secondo il
quale, come riferisce Il Sole 24 Ore, «C'e'
un silenzio totale da parte della comunita' internazionale, inclusi Governo
italiano e Ue. Un caso sul quale, nonostante quello che vorrebbero farci
credere, la verita' non e' stata nemmeno sfiorata. Questo silenzio irrita la
comunita' locale e chi, in Burundi, lotta perche' sia fatta giustizia su questo
come su altri casi».Un atto d'accusa forte che però non sorprende visto come il governo italiano aveva
seguito la vicenda nelle sue fasi iniziali, quando non si era neppure sentita l’esigenza
di far rientrare in sede l'ambasciatore a Kampala, Stefano Dejak, (dato genericamente in Europa, forse al seguito della moglie stilista, impegnata proprio in quei giorni in un evento di moda a Londra), competente per il Burundi, e si era lasciata la gestione a una semplice incaricata d'affari che aveva rappresentato l'Italia ai funerali (vedi post).
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