"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


venerdì 14 marzo 2014

Mons. Rukamba, vescovo di Butare, intervistato da Il Settimanale

Mons. Philippe Rukamba
Il Settimanale della diocesi di Como dedica un’intera pagina del suo ultimo numero al Rwanda, intervistando il vescovo di Butare, mons. Philippe Rukamba, alla vigilia della celebrazione dell’anniversario del genocidio del 1994. Dell’intervista, curata da Michele Luppi, riportiamo le parti più interessanti.Interpellato circa le ragioni che hanno portato alla violenza del 1994, mons. Rukamba ricorda  che  “nel 2000, in occasione del Giubileo della Chiesa rwandese come vescovi ci siamo interrogati su questo. Per capire le radici del genocidio bisognerebbe ripercorrere la storia del Paese, tornare all’indipendenza del 1962 quando, dopo che per anni la politica coloniale aveva lavorato puntando sui tutsi si era passati a sostenere l’altro grande gruppo gli hutu.Fu allora che si organizzarono i partiti politici identificandoli con  i gruppi etnici e cominciando a creare una divisione che si è andata allargando fino alla guerra del 1990. Da un punto di vista della Chiesa dobbiamo però rilevare anche un degradamento nella fede della gente rispetto a quella dei nostri nonni e riconoscere l’incapacità di approfondire il valore sociale della fede. Forse come Chiesa non siamo stati chiari, fin dall’epoca dei primi partiti nel far capire che per i cattolici l’unità è più importante degli interessi di parte.”
Dopo aver parlato dell’esperienza dei tribunali gacaca, il presule passa ad analizzare la situazione attuale, descritta dall’intervistatore come caratterizzata  da “un rapido sviluppo, ma  anche ….da una deriva autoritaria del governo del presidente Kagame”.

”Quando parliamo di democrazia e di come si governa, non sempre in Europa e in Africa abbiamo la stessa visione” - sostiene mons. Rukamba – che prosegue “certamente quello rwandese è un governo forte, ma la democrazia non significa avere solo una maggioranza e una minoranza, ci devono essere diritti umani, ci deve essere un percorso da preparare, è necessario privilegiare la protezione sociale della gente”. Di fronte al rilievo dell’intevistatore che  ricorda come “nonostante la crescita economica...la forbice tra ricchi e poveri si allarghi”, il vescovo riconosce che “quando un Paese cresce rapidamente alcuni cominciano a correre, altri, invece, per vari motivi non riescono: oggi in Rwanda solo il 20% della popolazione ha accesso alla corrente elettrica. 

 Come Chiesa abbiamo avviato in tutte le diocesi progetti per il microcredito perché uno dei problemi per molte persone, specialmente le donne, è quello di trovare un po’ di soldi per poter avviare un’attività. Si sta cercando anche di favorire la nascita di piccole associazioni e cooperative. Questa è una metodologia non solo della Chiesa, ma di tante associazioni che sono impegnate nella promozione sociale. E’ chiaro che se pensiamo alle sfide che ci attendono la strada appare lunga: penso ad esempio all’istruzione per tutti o all’accesso alla sanità. Senza dimenticare come oggi in Rwanda manchi una generazione: quella morta durante il genocidio”.
L’intervista si conclude con il contributo che la Chiesa può dare per il raggiungimento della pace nella regione dei Grandi Laghi, in primis in Congo. Al riguardo, mons. Rukamba ricorda come i vescovi abbiano “incontrato i presidenti dei due Paesi (Rwanda e Congo) per cercare di portare avanti il cammino di pace, ma siamo consapevoli di come ci siano molte forze e interessi in gioco, anche esterni.La speranza è che la gente possa capire che la fratellanza è più importante”.

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