Mons. Philippe Rukamba |
Il Settimanale della
diocesi di Como dedica un’intera pagina del suo ultimo numero al Rwanda,
intervistando il vescovo di Butare, mons. Philippe Rukamba, alla vigilia
della celebrazione dell’anniversario del genocidio del 1994. Dell’intervista,
curata da Michele Luppi, riportiamo le parti più interessanti.Interpellato circa
le ragioni che hanno portato alla violenza del 1994, mons. Rukamba ricorda che “nel
2000, in occasione del Giubileo della Chiesa rwandese come vescovi ci siamo interrogati
su questo. Per capire le radici del genocidio bisognerebbe ripercorrere la
storia del Paese, tornare all’indipendenza del 1962 quando, dopo che per anni
la politica coloniale aveva lavorato puntando sui tutsi si era passati a
sostenere l’altro grande gruppo gli hutu.Fu allora che si organizzarono i
partiti politici identificandoli con i
gruppi etnici e cominciando a creare una divisione che si è andata allargando
fino alla guerra del 1990. Da un punto di vista della Chiesa dobbiamo però
rilevare anche un degradamento nella fede della gente rispetto a quella dei
nostri nonni e riconoscere l’incapacità di approfondire il valore sociale della
fede. Forse come Chiesa non siamo stati chiari, fin dall’epoca dei primi
partiti nel far capire che per i cattolici l’unità è più importante degli
interessi di parte.”
Dopo aver parlato
dell’esperienza dei tribunali gacaca, il presule passa ad analizzare la
situazione attuale, descritta dall’intervistatore come caratterizzata da “un rapido sviluppo, ma anche ….da una deriva autoritaria del
governo del presidente Kagame”.
”Quando parliamo di democrazia e
di come si governa, non sempre in Europa e in Africa abbiamo la stessa visione”
- sostiene mons. Rukamba – che prosegue “certamente quello rwandese è un
governo forte, ma la democrazia non significa avere solo una maggioranza e una
minoranza, ci devono essere diritti umani, ci deve essere un percorso da
preparare, è necessario privilegiare la protezione sociale della gente”. Di
fronte al rilievo dell’intevistatore che
ricorda come “nonostante la crescita economica...la forbice tra ricchi e
poveri si allarghi”, il vescovo riconosce che “quando un Paese cresce
rapidamente alcuni cominciano a correre, altri, invece, per vari motivi non
riescono: oggi in Rwanda solo il 20% della popolazione ha accesso alla corrente elettrica.
Come Chiesa abbiamo avviato in tutte le diocesi progetti per il
microcredito perché uno dei problemi per molte persone, specialmente le donne,
è quello di trovare un po’ di soldi per poter avviare un’attività. Si sta
cercando anche di favorire la nascita di piccole associazioni e cooperative.
Questa è una metodologia non solo della Chiesa, ma di tante associazioni che
sono impegnate nella promozione sociale. E’ chiaro che se pensiamo alle sfide
che ci attendono la strada appare lunga: penso ad esempio all’istruzione per
tutti o all’accesso alla sanità. Senza dimenticare come oggi in Rwanda manchi
una generazione: quella morta durante il genocidio”.
L’intervista si conclude con il
contributo che la Chiesa può dare per il raggiungimento della pace nella
regione dei Grandi Laghi, in primis in Congo. Al riguardo, mons. Rukamba
ricorda come i vescovi abbiano “incontrato i presidenti dei due Paesi (Rwanda e
Congo) per cercare di portare avanti il cammino di pace, ma siamo consapevoli
di come ci siano molte forze e interessi in gioco, anche esterni.La speranza è
che la gente possa capire che la fratellanza è più importante”.
Nessun commento:
Posta un commento