"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra". Benedetto XVI


martedì 18 febbraio 2014

Un grave stop nel processo d'integrazione della comunità batwa di Kibali

Dal Rwanda arrivavano notizie sempre più preoccupanti circa il continuo deteriorarsi delle  situazione presso la comunità batwa di Kibali. Si parlava di case abbandonate e distrutte, di campi incolti, prima ancora di partire giravano confuse notizie di fatti di sangue. Purtroppo il sopralluogo effettuato unitamente al direttore della Caritas diocesana,l’abbé Emmanuel, non ha fatto che confermare i resoconti che ci erano stati fatti. I campi, coltivati fino alla scorsa stagione agricola, si presentavano per la gran parte della superficie abbandonati e incolti.  Molte delle piccole costruzioni destinate ai servizi risultavano distrutte o gravemente degradate, cinque case sono state letteralmente rase al suolo; si vede solo la sagoma delle fondamenta e la terra battuta di quello che era il pavimento; il resto ha letteralmente preso il volo, nel senso che è stato rubato e venduto: Una delle case era di una donna anziana nel frattempo morta, mentre un’altra era di proprietà di un detenuto in  carcere che al momento della messa in libertà ha abbandonato tutto per andare in un’altra comunità. Per la verità, alcune case sono  conservate con cura dagli abitanti che le custodiscono con gelosia; alcuni sono arrivati a murare alcune finestre per meglio difendersi dai ladri. E qui veniamo alle voci circa i fatti di sangue. Un componente della comunità batwa sorpreso a rubare in casa di uno degli abitanti del paese vicino è stato aggredito e finito a bastonate, mentre un complice è stato gravemente ferito e, nel momento in cui scriviamo, sembrerebbe che sia morto.Breve parentesi:si spera che il lettore italiano non si lasci andare a facili giudizi, visto che fatti analoghi sono accaduti anche da noi. Naturalmente le  notizie dell’accaduto  non sono apparse sulla stampa locale, troppo attenta a non incrinare la cartolina  di un Rwanda felix.Di fronte a un simile quadro si fronteggiano due interpretazioni. Da una parte chi vede confermate le proprie certezze circa l’impossibilità per i batwa di affrancarsi dai loro ancestrali stili di vita: “era solo questione di tempo” ma prima o poi sarebbero tornati alle antiche abitudini.Dall’altra chi si chiede cosa sia successo per far precipitare nel passato quegli stessi batwa che per cinque anni sembravano aver intrapreso un percorso che a piccoli passi li sollevasse dalla loro situazione di estremo degrado. Basta al riguardo ripercorrere le notizie che nel tempo sono state date nel blog. A questo punto chi ha ancora a cuore la sorte di questa comunità deve necessariamente interrogarsi cos’altro si possa fare per questi ultimi. Al momento il primo passo sembra essere appunto quello di mettere attorno a un tavolo tutti i benefattori che negli anni si sono interessati, in vario modo, della comunità batwa, per decidere se e come intervenire. Naturalmente anche le autorità civili dovranno fare la loro parte, ben sapendo che fino a quando sulla comunità vigilava un loro incaricato, le cose sono andate per il meglio. A questo punto, far finta di niente sarebbe una sconfitta per tutti.

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